Le mie recensioni

   

 

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I LIMONI E LA MALVAROSA

Il boschi di Musolino

Vincenzo Andreacchio

T. Ferrum (Biagio Pirito)

Francesca Gallello

Enzo Di Bragno
L'Italia si cerca e non si trova

Mario Quintieri
(Uccidere è faticoso)

Enza De Rose

Emilia Pasculli

Salvatore Aquila

e
Don Pietro Pontieri 

             Maria Stella Marino

Mimmo Cavallo

      Vincenzo Gentile
La Calabria strappata


Giuseppe Scalise

Tracce di monachesimo italo-greco nella Presila dell'Alto Crotonese 


Baldassarre De Marco
(Proverbi in vernacolo tramandati nel territorio di Caccuri e dintorni) 
 
      


     Mario Morrone
    (Ricordi di contadino)

       Luigi Ventura
 (Caccuri, città di santi..)

                 
      Olimpio Talarico
(Il due di bastone)
 (Il controcanto del          bombardino)

D. Marino
Maria Francesca Allevato
     (Invito al viaggio)
             

  
     Luigi Spadafora

   (
Con la luce nel cuore)

                     
        Sara Secreti
      Cuore di carta

 

                                            Don Pietro Pontieri 

Confini, Editoriale Progetto 2000, Agosto 2009

    

             L'ultimo libro di  Don Pietro Pontieri qui ritratto nel corso di un convegno

    Ho appena finito di leggere l’ultimo libro di Don Pietro Pontieri romanziere, un Don Pietro non molto diverso dal Don Pietro saggista o dal Don Pietro biografo, sempre preciso, puntuale e "innamorato "del proprio lavoro, ma qui tutto intento a cogliere  l’umanità profonda della gente della nostra terra,  degli umili, dei derelitti, dei poveri, costretti a vivere una vita grama, fatta  di sacrifici, di sofferenze, di duro lavoro,  un'umanità che  questi uomini e queste donne riuscivano a trasfondere nei loro atti quotidiani, nell'amicizia,  nella tolleranza, nei gesti di solidarietà dei quali erano capaci nei confronti dei loro simili, anche quando quest’ultimi forse non  facevano niente per meritarsi tutto ciò.
   “Confini” è   titolo di una raccolta di brevi racconti che prende l'abbrivio da due vicende di confinati, uno  politico antifascista, l'altro un pregiudicato, per disegnare una metafora della vita degli abitanti (confinati) di un piccolo e sperduto paese, un cucuzzolo della presila, edito  da  Progetto 2000  ed è stato stampato nell' agosto del  2009. 
    I protagonisti dei racconti sono personaggi verghiani, uomini e donne uniti dalla stessa cultura, ma divisi dalle loro scelte, oppressi e guidati, comunque, da un destino ineluttabile al quale non riescono a sfuggire e che non possono neanche volgere, almeno in parte, a loro favore. E’ il caso dell’adolescente Noemi che viene ospitata da una zia nel paese di origine,  lasciando così Napoli per sfuggire ad un destino infame al quale l’avrebbe condannata la madre scellerata divenuta prostituta in seguito alla morte del marito, ma che, nella casa che la ospita, finisce per cadere nelle grinfie di un cugino imbelle, costretto a studiare medicina da un padre autoritario, pur non avendone voglia e capacità, che, dopo averla resa ragazza madre, obbedendo al volere dei genitori, l’abbandona al suo destino, mentre lui, laureatosi a stento e sposata una maestrina, diventa una sorta di “medico della muta,” cosi come venne  magistralmente descritto da Luigi Zampa e interpretato da Alberto Sordi. La ragazza finirà poi per cedere alle lusinghe di un impiegatuccio  diventando madre per la seconda volta, prima di essere piantata anche dal secondo ignobile individuo. Ma, evidentemente, Dio, padre di tutte le creature, nella visione del cattolico Don Pietro, non l’abbandona e la sventurata finirà per trovare aiuto ed ospitalità presso un fratello emigrato in Veneto che le trova anche un lavoro consentendole di allevare dignitosamente  i figli e riscattarsi.
  La figura di Noemi, perciò, giganteggia se paragonata a quella degli individui che la circondano, ma quasi tutte le figure femminili dei racconti di “Confini”  “vincono di gran lunga la sfida” con i personaggi maschili, a cominciare da Romualda, la fidanzata romana dello studente di medicina che non cede all’imposizione del padre del fidanzato e fa valere la sua dignità di donna e di medico preferendo rompere il fidanzamento con un uomo imbelle  incapace di opporsi alla volontà di un padre padrone che vorrebbe costringere anche la futura nuora a vivere in uno sperduto paesino, rinunciando ad una brillante carriera di pediatra in una città come Roma. Che dire poi di Evelina, la moglie di “Crispino, l’ultimo brigante”, una donna forte, laboriosa e saggia che fa di tutto per evitare la rovina della famiglia perseguita         quasi tenacemente da un marito ubriacone, scansafatiche, violento e adultero, che farà poi una brutta fine;  e ancora Ersilia, la moglie coraggiosa e forte del tentennante professore di filosofia romagnolo Ilario G., amico di Paolo Fabbri, che consumerà  cinque anni di una scialba esistenza nel confino di Savelli, finendo, lui, che si era forgiato alla scuola della sinistra hegeliana,  per trovare la fede partecipando alla messa di natale, mentre Ersilia, rimasta in Romagna, facendo le veci del marito  tira su la famiglia e fa laureare i figli. Una donna forte e autorevole è anche Checchina, la locandiera che fa da madre e da padre alla sorella minore Tilde fino a quando, quest’ultima, incontrerà un uomo che la sposerà. Donne forti, donne coraggiose, le donne dei racconti di Don Pietro, donne che fanno da contraltare a uomini deboli, incapaci di superare con dignità, saggezza e coerenza le avversità della vita. Paradossalmente l’unico vero uomo è Carmelo, un delinquente comune confinato a Savelli che, insofferente della catena come il lupo del racconto di Solghenitzin, sa che quanto prima tornerà ad essere veramente libero e che urla ai savellesi: “Quanto prima tornerò a casa mia o altrove dove deciderò io di andare con la mia famiglia. I confinati a vita siete voi costretti a vivere su questo cucuzzolo: il vostro isolamento dura da secoli e non c’è speranza che sia spezzato.”
 
  
Ancora una volta, dunque, Don Pietro Pontieri, dopo "Fiori di agave", ha saputo emozionarci, appassionarci, regalarci piacevolissimi momenti di lettura, riportare alla luce fatti e personaggi di un mondo rurale che sta per sparire,    costruire una pregevole opera letteraria con "materiali" apparentemente poveri, ma che trasudano valori. 
             

                 13/10/2009                  Giuseppe Marino       

 

 

Santi senza aureola , Editoriale progetto 2000, 2005   

    
                              Il libro di don Pietro Pontieri  l'Autore nel corso di un convegno

E' uscito,  lo scorso mese di agosto, l'ultimo libro di don Pietro Pontieri, sacerdote della Diocesi di Crotone - Santa Severina, pubblicista e direttore dell'Ufficio diocesano per la Comunicazione sociale. "Santi senz' aureola":  è  questo il titolo dell'ultima fatica dell'attivissimo prete, da sempre impegnato a fare emergere i valori veri, profondamente radicati nelle nostre comunità. I "santi" di cui don Pietro si occupa sono trentuno parroci che, in epoche diverse, in tempi difficili e in una realtà complessa e afflitta da gravi, annosi problemi, ressero altrettante parrocchie del Crotonese, a volte con  la comprensione e l'affetto dei parrocchiani, a volte contraddetti, se non apertamente contestati, come fa rilevare nella presentazione mons. Agostino, già vescovo di Crotone e Santa Severina, ma , quasi sempre amati e rispettati per il loro impegno, per il loro sacrificio che costituisce, in definitiva, quella "santità silenziosa e poco appariscente", per dirla ancora col vescovo, alla quale don Pietro fa riferimento. Immergendosi nella lettura del  pregevole libro, si ha il piacere di riscoprire figure di sacerdoti che abbiamo conosciuto e che, pur da cattolici tiepidi, se non da laici incalliti, abbiamo rispettato e apprezzato per l'impegno, la fede, la passione, a anche per il rispetto dei loro parrocchiani (di tutti i parrocchiani)  che hanno caratterizzato lo svolgimento della loro missione pastorale.  Le biografie di Don Giovanni Greco, l'amato parroco di Caccuri degli anni '60 e '70, di don  Ciccio Fazio, parroco di Cerenzia per alcuni decenni, ci riportano ad anni difficili, ma, per tanti versi esaltanti e proficui; anni di accese passioni  politiche, di momenti di lacerazioni nel tessuto socio - culturale dei nostri paesi, superati, anche grazie all'equilibrio e all'apertura mentale di questi "preti di campagna" dotati di una grande cultura, solida preparazione e notevoli capacità pastorali. Purtroppo, come accade quasi sempre, ci si ritrova a lodare "la bontà della quercia" quand'è ormai caduta. 
     Il grande merito dell'Autore è quello di avere  scavato nella  memoria per ripescare momenti significativi e importanti della vita di questi umili servitori del Signore che, con la loro testimonianza e il loro impegno hanno contribuito a elevare le nostre popolazioni, non solo portando loro la parola del Signore e della Chiesa del Concilio, ma, spesso, adoperandosi anche per migliorare le difficili condizioni di vita dei loro parrocchiani. Questi momenti significativi ce li fa poi  rivivere  aiutandoci a capire meglio i problemi di quei tempi e il valore dell'opera di quei sacerdoti. Da uomo schietto e passionale, don Pietro non si sottrae al giudizio critico sull'operato dei sacerdoti di cui narra le vicende, ma lo fa, sempre, nel rispetto delle proprie idee e cercando, quanto più possibile, di essere obiettivo.
                                                                           
                                                                          01/09/2005               Giuseppe Marino 

                                                                                
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                              Mario Morrone

M. Morrone, Ricordi di contadino, Pubblisfera, 2007

    

Mario Morrone, cerentinese, classe 1955, vive e lavora a San Giovanni in Fiore. Sindaco di Cerenzia dal 1980 al 1985, alterna il suo lavoro di impiegato a collaborazioni   con vari giornali.   

Qualche giorno fa ho finito di leggere il bellissimo libro  "Ricordi di  contadino" dl mio amico Mario Morrone. 
Si tratta di un pregevole volume di storia minore nel quale Mario ricostruisce, sapientemente, con pennellate agili e veloci, ma cariche di nostalgia e rimpianto, momenti e figure della vecchia società contadina, semplice, pura, fresca, ma capace di dispensare saggezza e valori. Il risultato è una serie di stupendi quadretti, tanti tasselli di un meraviglioso mosaico, un grande quadro, una sorta di "Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo,  che ci dà immediatamente la percezione della nostra storia e delle nostre radici. Mario spazia da " 'A ciuccia", quest'animale così importante nell'economia delle famiglie dei nostri nonni e così amato da grandi e piccini, alle storie de "I contrabbandieri del sale", povera gente che cercava di sopravvivere sottraendo un po' di salgemma, che, fra l'altro, rovinava la salute di chi se ne cibava, dalle saline della zona, rischiando il carcere, le percosse e, spesso, anche la vita nei frequenti scontri con le guardie di finanza, alla mietitura, alle speranze e ai sogni della riforma agraria e dell'OVS, alla transumanza, alle fiere di bestiame che una volta pullulavano nella zona. Non di rado si abbandona a qualche incursione nella storia contemporanea, con in riferimenti al mito di Carnera, alimentato anche nei nostri paesi, alla storia del tunnel del Monte Bianco, realizzato anche grazie alla fatica e al sudore degli operai di Cerenzia e dei paesi vicini, allo sbarco sulla luna di Armstrong e Aldrin e di come fu  vissuto nei nostri paesi. Bellissime anche le foto a corredo del volume.  Dalla lettura traspare tutto l'amore ed il rimpianto dell'Autore per un mondo che non esiste più, ma che ci manca tantissimo e che ricostruisce attraverso i ricordi personali e l'abitudine, del vero ricercatore,  di ascoltare con stima e rispetto i vecchi, di far tesoro della loro saggezza, di accedere ai loro "archivi storici" custoditi gelosamente nella mente.
                                                                                                                                               
Giuseppe Marino

                                                                              'A libretta, antica carta dì credito

'A libretta, una specie di block notes piccola, con copertina nera e fogli a quadretti era una sorta di carta di credito che ha resistito sino agli inizi degli anni 70. Eppure quasi tutti ne facevano uso, tranne i pochi facoltosi che, di tanto in tanto, ci ricorrevano pure loro. Essa, tacitamente, era regolata da una specie di fiducia reciproca, sottointesa, tra commercianti e clienti. A Cerenzia " a libretta", paradossalmente rapportata ad oggi, costituiva fiducia ed onora­bilità, oltre che naturalmente puro 7&   credito. Tutti o quasi ne onoravano il debito. "Verso la fine degli anno '50 la nostra zona era alle prese con una   tremenda   crisi   ed   Angelino Fazio, il tabacchi ed alimentari che andava per la maggiore,  mi fece capire (senza dirmelo direttamente) che aveva bisogno di un acconto; io non avevo altre chance se non quella di vendere un puledro. Fu cosi che onorai il debito, accumulatosi al negozio nel corso dei mesi e regolarmente ''registrato" sulla libretta. Il puledro, che tolsi alla gioia dei miei figli, alla fiera di Mulerà mi fu pagato 22 mila e 500 lire, tanto quanto da non farmi scom­parire col negoziante". Questo e quanto mi ha raccontato un bravo contadino di Cerenzia
Sulla libretta era scritta la data della spesa a sinistra ed a seguire i prodotti acquistati, mentre sulla destra compariva sempre la cifra. Quando il conto co­minciava ad essere lungo era poi un problema incolonnare le cifre per formare la fatidica addizione. Ma si faceva lo stesso e si confrontava pure con quella del bottegaio, il quale per sua sicurezza conservava un grosso brogliaccio sotto forma di rubrica nel quale erano contenute le uguali cifre e date. Erano i tempi di una libbra di mortadella o di una bustina di farina-latte molto apprezzata come novità, giacché veniva data alla refezione scolastica alla quale avevano diritto i ragazzi meno abbienti. La radio cominciava ad entrare ielle case molto lentamente, mentre la televisione e l'automobile erano un lusso per pochissimi, 3 o 4 persone per paese. La tv, per la verità, dopo poco i conosciuta nelle sale dei due forti partiti dell'epoca: Democrazia cristiana e Partito comunista italiano. Celentano esordiva col "Ragazzo della via Gluk". e sigarette si vendevano sciolte; una nazionale "semplice" costava 9 lire, mentre un'esportazione senza filtro 11, sicché con 100 lire si acquistavano 10 nazionali e un’esportazione, oppure 11 nazionali. I giovani dell'epoca sbarcavano il lunario con solo 20 lire e si rifornivano di una nazionale e un'esportazione (l'euro entrerà in vigore l'1.1.2002). Quando il debitore ogni 3 o 4 mesi saldava il conto o dava un sostanziale acconto, il rivenditore regalava sempre qualcosa al suo cliente: una saponetta, un pacchetto di tabacco a .scelta "trinciato forte" o "asso" se fumatore, e via dicendo, 'A libretta, che oggi può apparire come qualcosa d'antico e di anacronistico, aveva un valore di moralità, di tensione ed era un mezzo col quale i rapporti umani continuavano reciproci, nel segno del rispetto e della partecipazione. Insomma, si viveva senza tanto consumismo sfrenato e chi, per un periodo, non aveva proprio niente da guadagnare non si vedeva "tagliato fuori", emarginato, quasi inutile. 'A libretta, quindi, oltre che una carta di credito costituiva un avamposto di solidarietà, di partecipazione dì un  problema che era poi il dilemma dì molti, una comprensione per dire "deve  pur passare la nottata". 'A libretta era anche un segno di amicizia, d'unione, di accordo, di fratellanza, di consenso. Una persona si sentiva garantita, parte­cipe, quasi sostenuta. Non c'è mai stata prevaricazione, sudditanza o rapporti  tendenti ad essere servili o succubi, né tanto meno offensivi tra il debitore e il I creditore. Forse era ancora, in qualche modo, il periodo del tardo romanticismo, il decadentismo da queste parti non era ancora "arrivato" e vigeva il periodo della partecipazione, del consenso, del credere e dell’essere". A Cerenzia 'a libretta ha segnato un tempo ed ognuno per la propria parte era soggetto impegnato dell'altra. Non si conoscono storie tristi di mal pagatori. In paese chi praticava il credito, 'a crirutu, erano: u tabacchinu-putiga 'e Fazìu (Fazio - Belossi); 'a putiga e Gallu (Francesco Gallo), e la putiga 'e Ntonì 'e carrone (Antonio Caligiuri). Forse tutte le famiglie hanno avuto una libretta, tipica, tradizionale, che serviva anche come "termometro" della spesa: "c'è 'lu prìsuttu 'nzignatu a chi serba la mortatella", era, questa, una frase che si sentiva molto.   Un emigrato dei primi anni '60 non era più tornato in paese ed aveva lasciato insoluto, suo malgrado, un conto sulla sua vecchia libretta; dopo 23 anni, ha rivelato un ex esercente, è venuto a trovarmi ed ha voluto estinguere quel credito: 13.685 lire!, "me li ho presi per far capire lui che quel debito si era estinto, anche se non era più la stessa cifra; poteva farne a meno, chi ci pensava più. Il debitore", ha continuato l'ex commerciante, "forse ha voluto sentirsi liberato da un imbarazzo..". Erano, quelli, ancora i tempi della civiltà e del mondo contadino, genuini e di sani principi, credenti in qualcosa e non vuoti senza ideali. Questo il modo in cui viveva la gente a Cerenzia: forse povero più di altre parti, ma certamente dignioso. 

                                                                                            Le indimenticabili fiere dei tempi andati

Parlare oggi di fiere appare come descrivere  di un viaggio nel tempo. Quasi una gita e una fuga dallo stress, per scoprire che in passato esistevano appuntamenti di scambio legati alla lotta per la vita, che lasciavano poco spazio ai divertimenti. E i viaggi erano una fonte di pericolo, non certo di svago. Nel territorio presìlano e dintorni erano quattro le fiere che richiamavano, tra la primavera e l'autunno, centinaia di allevatori e tantissimi compratori. Fra, la fiera di santo Janni, dal 20 al 28 maggio sotto l'abitato di Santa Severina,fiera della Ronza di Campana (prese il nome, presumibilmente, dalla vicina chiesetta di santa Maria de Runtia, tuttora in attività e che si tiene i primi di luglio); la fiera della Decollazione che sì svolge a San Giovanni in Fiore i 26 al 28 agosto (in passato nella parte alta della cittadina, zona Bacile e, successivamente, nella parte a valle dell'abitato e sino a Palla-Palla), e la fiera di Mulerà che si svolgeva alla periferia di Roccarbernarda dall'8 al 15 settemre. Bisogna però aggiungere che, in questo hinterland, si teneva pure un'altra fiera: quella di San Vito a Verzino che apriva i battenti agli inizi di agosto. La più antica di queste fiere è certamente quella della Ronza, istituita da Ferdinando d'Aragona, re di Napoli, nel 1464, col fine di accrescere lo scambio commerciale di animali, soprattutto ovini e bovini, e vendere prodotti artigianali e mercanzie dei luoghi. A Campana, centro della Sila Greca, c'era comunque chi sostiene che Ronza derivi dalla presenza in zona di acque sorgive, da qui dunque "ruanzu" che sta ad acquitrino, quindi Ronza. Comunque sia, quest’antichisima fiera godeva di piena franchigia in quanto era “franca e libera d’ogni angaria” e “Vi si negozia da chi si voglia con tutta libertà e senz'altra gravezza” oltre che frequentata “da amendue le Calabrie, Citra e Ultra”.
Delle quattro, poi, ne sono sopravvissute  solo due e ridimensionate, stante il notevole mutamento delle civiltà e le scarse richieste di mercato di animali, nel cui commercio erano specializzate. Un tempo queste fiere erano davvero straordinarie. Migliaia di capi di bestiame (bovini, ovini, caprini e suini; ma anche asini, muli, cavalli) erano concentrati nelle zone, partendo dai vari paesi e dalle campagne a notte fonda, per essere sul posto alle prime luci dell'alba, quando i compratori si facevano già avanti per non farsi "scappare" l'affare. Per essere presenti alla fiera della Decollazione (in onore di San Giovanni Decollato), presente nei calendari fieristici dal 1723, molti mandriani, sia pure in parte, anticipavano la transumanza dalla Sila alle Marine. E proprio in questa fiera lo scambio con altre bestie era notevole, così altrettanto si registrava un grande smercio di suini che si aggirava oltre i cinquemila capi e i più richiesti erano quelli di origine jorka. Tuttavia, quando qualcuno (ed erano davvero in pochi) non concludeva alcun affare alla fiera di San Giovanni, vigeva una sorta di adagio o ammonimento, secondo cui : "Se non compri qua devi acquistare a Mulerà." Adesso di quelle fiere non c'è che il ricordo: sono tutte cambiate e diventate immensi concentramenti di casalinghi, utensilerie e vestiari. Una nota di particolare colore la conferivano gli spassosi zingari, con il cappello simile a quello degli alpini, i quali mercanteggiavano soprattutto asini: bestie utili, delle quali quasi non c'è più traccia  e che erano utilizzate anche per spostarsi da un posto all'altro. Come affermare che il loro posto, surclassandoli, è stato preso dalle auto. Gli zingari erano in ogni modo ritenuti nell'immaginario collettivo grandi speculatori: pronti ad acquistare e vendere in un batter d'occhio. Ancor dì più non erano leali ed erano, invece, abili a consegnare bestie vecchie facendole passare per giovani. Per la loro più che goffa esuberanza e spiritosaggine, man mano risultarono privi d'attendibilità e quasi emarginati. Ma questa è già un'altra cosa.


                        

                                       

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                    Luigi Ventura

 
  
"Caccuri - Città di santi e feudatari": è questo il titolo dell'opera prima di Luigi Ventura, caccurese dottore in economia e commercio, dirigente aziendale della Lombardia. Si tratta di un poderoso volume sulla storia di Caccuri realizzato attingendo alle opere di centinaia di storici del passato, arricchite con  ipotesi di studio originali e interessanti, suscettibili di ulteriori approfondimenti. L'opera è corredata da centinaia di immagini sui monumenti, le bellezze ambientali e paesaggistiche, la vita sociale, i reperti archeologici, le opere d'arte presenti nelle chiese della cittadina. Molti i riferimenti ai feudatari che si alternarono nel possesso delle terre di Caccuri, dai Ruffo di Montalto ai Cavalcante, ai Barracco, nonché alla famiglia Simonetta e al suo più illustre rampollo, Cicco, Cancelliere e primo ministro del duca di Milano, Francesco Sforza.  Il volume è edito dalla Fondazione Terzo Millennio che devolverà il ricavato della vendita al restauro di alcuni altari della Chiesa di Santa Maria del Soccorso. 

                                                                 20-08-2005          Giuseppe Marino                                                    

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