Baldassarre De Marco

                       Proverbi in vernacolo tramandati nel territorio di Caccuri e dintorni
                                                 
                                                    

   E' stata davvero una gradita, piacevolissima sorpresa ritrovarsi sotto gli occhi questo  volumetto del professore Baldassarre De Marco, insegnante di lettere, preside, per molti anni, della Scuola media di Caccuri, uomo di solida e vasta cultura. Scoprire che questo intellettuale caccurese che ho sempre sentito esprimersi solo ed esclusivamente in lingua italiana, sia quando ho avuto la fortuna, anche se per pochi mesi, di essere suoi alunno, sia al di fuori della scuola, è  un cultore appassionato e competente del nostro dialetto  è stato davvero bello.  E' stato bello, altresì, leggere nella prefazione dei timori del professore De Marco per un possibile assorbimento del dialetto nella lingua nazionale e del ruolo che la scuola può e deve assolvere per scongiurare una ipotesi del genere favorendo la coesistenza tra i due idiomi.
   In questa  pubblicazione, che si avvale della presentazione della professoressa Beatrice Aloisio, l'Autore mette a confronto i proverbi in dialetto con la relativa traduzione in italiano, con quelli in lingua latina che presentano evidenti analogie con gli stessi. Il risultato di questa originale operazione è davvero eccellente in quanto il professore, oltre a farci conoscere molti proverbi che non conoscevamo, contribuisce a farci conoscere meglio anche le opere di molti grandi autori latini, da Cicerone a Terenzio, a Orazio, , a Svetonio, a Ovidio, a Seneca, a Cornelio Nepote. Il volume si chiude poi con un piccolo vocabolario del dialetto caccurese.
   L'accostamento tra il dialetto ed il latino, lingua che il professore De Marco conosce alla perfezione,  che purtroppo è stata  forse troppo frettolosamente e incredibilmente messa in soffitta e che rischia oramai di diventare un rudere linguistico oggetto di studio per pochissimi iniziati,  ci fa capire quale potrebbe essere il rischio mortale per il nostro dialetto sempre meno usato dalle giovani generazioni che tendono a sostituirlo con la lingua italiana o con termini mutuati da altre lingue, spesso scimmiottate anche a sproposito, come testimoniano  le numerose, eccessive, ridicole insegne in lingua inglese di locali pubblici ed esercizi commerciali dei nostri piccoli paesi. Attenzione, sembra ammonirci il l'Autore, che il dialetto non finisca in soffitta come il latino e che da lingua viva,  parlata corrente, strumento di identificazione della nostra comunità locale non diventi un reperto di archeologia linguistica oggetto di studio e di culto per soli iniziati.