I BOSCHI DI MUSOLINO
DI GIULIO LUCENTE

                                                                                       PRESENTAZIONE DI GIUSEPPE MARINO

  

 

   Sono rimasto piacevolmente sorpreso nell’ammirare i quadri di Giulio Lucente che si ispirano alle vicende del brigante Musolino e che sono oggetto di questa mostra.  A parte le emozioni che suscitano, le considerazioni di carattere estetico, la tecnica pittorica, ciò che colpisce è l’originalità dell’idea di celebrare un fuorilegge calabrese, il “Re dell’Aspromonte”, l’imprendibile Giuseppe Musolino, impropriamente etichettato come brigante, la cui storia si intreccia casualmente con quella del mio paese (il mio e quello di Giulio) anche perché Mario Camerini, nel 1950, decise di ambientare a Caccuri un film sul carbonaio di Santo Stefano in Aspromonte.
  Si diceva dell’uso improprio deIl’apposizione ”brigante” nel caso di Musolino che andrebbe catalogato più come bandito che come brigante, almeno nel significato che storicamente ha assunto quest’ultimo sostantivo. Il brigantaggio è un fenomeno complesso e variegato spesso liquidato sbrigativamente da storici poco attenti, a volte improvvisati o infarciti di retorica. Questo sostantivo fu usato e abusato dai francesi prima e dai piemontesi poi per bollare i partigiani del Regno meridionale che si battevano contro la loro aggressione. Ci fu dunque un brigantaggio politico, ma ci fu anche un brigantaggio sociale i cui protagonisti erano braccianti, “contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti” come scrisse Gramsci, vittime della rapacità di nobili e ricchi borghesi che usurpando le terre demaniali e ricorrendo a ogni sorta di sopruso, rendevano loro la vita impossibile costringendoli alla dolorosa alternativa di morire per fame o per una palla in fronte della guardia urbana o degli scherani e guardiani degli agrari e ci fu anche un brigantaggio criminale che sarebbe più giusto definire banditismo praticato, appunto, da uomini che venivano inseriti nelle liste di fuorbando, banditi dalla società e attivamente ricercati dalle forze dell’ordine per reati e delitti commessi senza alcuna giustificazione sociale o politica, ma solo per indole delinquenziale.
   Peppe Musolino non rientra in nessuna di queste categorie e non è nemmeno il brigante generoso, giusto, il “Robin Hood” come Giosafatte Talarico, il brigante colto che rubava ai ricchi per aiutare i poveri, l’unico brigante calabrese e meridionale che morì di morte naturale, in un’isola tra le più belle della penisola, in una casa regalatagli dal re assieme a una pensione in cambio della sua costituzione. Il brigante aspromontano era solo un uomo mosso da una sordida sete di vendetta per probabili torti subiti, anche se la tradizione popolare, ne fece spesso una sorta di eroe circondandolo di un’aureola leggendaria come si evince dalle canzoni riprese e fatte conoscere dal maestro Profazio, ma anche dal film di Camerini interpretato da Amedeo Nazari e Silvana Mangano e, per una fortuita circostanza girato in gran parte a Caccuri, come un’altra fortuita circostanza lega indirettamente Musolino al paesino della presila crotonese. 
  
  Musolino fu catturato fortunosamente dal brigadiere dei carabinieri Antonio Mattei, padre di Enrico, il futuro presidente dell’Eni morto nel tragico e misterioso incidente aero di Bescapè. Quando il partigiano bianco Enrico Mattei fu catturato dai fascisti che si preparavano a metterlo al morte, riuscì a evadere e a tornare alla clandestinità grazie a una coraggiosa guardia carceraria caccurese, Gesino Spatafora al quale rimase grato per tutta la vita e al quale, dopo la guerra, offri un prestigioso posto di lavoro in quel di Como dando origine a una sorta di diaspora caccurese sulle rive del Lario.
   La misteriosa figura di Musolino, i boschi che gli offrirono rifugio e protezione, il sangue che versò per consumare le sue vendette, l’orrore delle vendette stesse, gli amori misteriosi mia vissuti, tutto ciò mi è parso di cogliere nelle sapienti pennellate di Giulio Lucente che avvolgono in una sorta di malinconico velo uomini e paesaggi apromontani.