Quannu
venìa Natale, Ciciarone
ravari manu alla ciaramella,
e allura, n’tru paise, pe’ ogni via
sentìa la festa ed era ‘n’allegria.
Da " I Crici 'e na vota" di Peppino Marino
Vincenzo Fazio,
alias Ciciarone è uno dei tanti vecchi caccuresi che ho avuto la
fortuna di conoscere e di godere della loro stima e della loro amicizia.
Aveva ereditato, probabilmente dal nonno, oltre che il mestiere di
pastore, anche il soprannome, che non ha niente da vedere col famoso
avvocato e oratore romano, ma si riferisce a una caratteristica fisica.
In questo caso, infatti, sta per grosso cece, persona alta, robusta.
Vincenzo, come tutti i pastori, era una miniera di
conoscenze che affondavano in una cultura antica e profonda che aveva
assimilato negli anni. Da lui appresi non solo il sistema di calcolo
delle fasi lunari basato sull'epatta, ma anche come individuare la
stella polare e le altre costellazioni e come si salassano le capre e le pecore per salvarle da
un ictus o da altri malanni.
Tra i tanti ricordi che ho di lui, mi è rimasto impresso
quello di una bellissima giornata che trascorsi insieme a lui e alla sua
famiglia, nel 1969 a Lepre dove Vincenzo aveva il gregge. Era una
giornata dedicata alla tosatura che, per tradizione, si trasformava in
una grande festa. All'epoca avevo una vecchia Seicento che aveva
già 11 anni di vita e parecchi acciacchi. Il giorno prima la moglie, za
Giovannina, mi chiese se l'indomani potevo accompagnare lei e le figlie
dal marito spiegandomi che era impegnato nella tosatura e che avrebbero
avuto piacere di avermi ospite a pranzo. Accettai con entusiasmo per la
curiosità di assistere a questa pratica e per trascorrere una giornata
all'aria aperta in una contrada caccurese che allora non avevo ancora
visitato. Così il
mattino dopo stipati nella "vecchia carretta", io zia
Giovannina e tre delle sue figlie, raggiungemmo l'ovile dove trovammo
Vicenzo intento a tosare gli animali e una "quarara" sul fuoco
con dentro un'intera pecora che cuoceva alla "pecurarisca",
con acqua, sale e cipolla e che divorammo con gusto dopo un paio di ore.
La carne alla pecurarisca, con l'aggiunta di un po' di peperoncino è un
cibo paradisiaco; mangiato poi all'aria aperta, a Lepre (Repule), una
delle più belle campagne caccuresi era il massimo della goduria. Fu una
giornata stupenda nella quale imparai più cose di quanto se ne
imparavano nella scuola superiore, almeno in quella che frequentai io.
Vincenzo ebbe anche una vita avventurosa e passò un grosso
guaio. Quando il 9 settembre del 1943 giunse anche a Caccuri la notizia
dell'armistizio firmato il giorno prima a Cassibile, i soldati di stanza
nel castello di Barracco al comando del tenente Gaetano Pulzone, si
precipitarono a Laconi, al bivio con la vecchia 107 per avere notizie
più dettagliate dai motociclisti e dagli automobilisti di passaggio che
provenivano da Crotone o scendevano da Cosenza verso Crotone e al
ritorno, avuta la certezza della fine della guerra, lungo le Monache
festeggiarono a loro modo con spari e lancio di bombe a mano. Qualche
mese dopo Vincenzo Fazio e un altro pastore caccurese, Pietro Falese che
pascolavano il gregge nella zona, rinvennero una bomba inesplosa che
scambiarono per una torcia elettrica. Mentre armeggiavano con l'ordigno
esplose ferendo gravemente i due. Il Falese perse la vista, mentre
l'amico subì vaste ferite alle gambe che lo costrinsero a letto per
lunghi mesi e si temette a lungo che gli arti fossero stati
irrimediabilmente compromessi. Fu allora che Vincenzo, che pativa
dolori atroci, mentre cantava "Sante campane mie, sante
campane!" per cercare di vincere il dolore, fece il voto, nel caso avesse riacquistato l'uso delle
gambe, di attraversare la chiesa in ginocchio la sera di Natale,
suonando una pastorale con la zampogna. Per fortuna guarì perfettamente
e da allora, fin quasi alla metà degli anni '80, rispettò il
giuramento dando luogo a una tradizione tra le più belle del nostro
paese che, purtroppo, scomparve assieme al mitico Ciciarone.
Spesso, quando mi capita di fare il bilancio della mia vita, tra
le cose belle, positive, proficue, struggenti, metto la fortuna di avere
conosciuto uomini come Vincenzo.
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