Spinello (KR)
Devo
al mio amico prof. Armando Iapella la trascrizione di alcuni
documenti tratti dall’archivio privato dei signori Barberio di San
Giovanni in Fiore dai quali è possibile ricostruire la vicenda
della presa e della distruzione di Spinello, paese a pochi
chilometri da Caccuri, che subì la stessa sorte di migliaia
di altri comuni del Regno delle due Sicilie messi a ferro e a fuoco
dagli invasori piemontesi con la collaborazione di baroni, ricchi
proprietari terrieri e loro manutengoli passati lestamente dalla
parte dei vincitori, ancor prima che vincessero, per spianare loro
la strada in cambio della promessa di mantenere inalterati i loro
antichi privilegi e legalizzare le loro “ruberie” ai danni del
demanio che i re borbone avevano tentato, con scarsa fortuna, più
volte, di limitare attirandosi l’odio di queste classi sociali.
Evidentemente molti cosiddetti patrioti che si attivarono per
rendere agevole il compito del prode Garibaldi conoscevano
benissimo questa situazione e quale poteva essere il grimaldello per
aprire la porta ai savoiardi. Un piano ben congegnato che Tancredi
Falconeri, a differenza dello zione, don Fabrizio Salina, conosceva
perfettamente.
La
proclamazione dell’unità d’Italia del marzo 1861, a seguito
della conquista violenta del Regno delle due Sicilie e del
plebiscito truffaldino del 21 ottobre del 1860 non riuscì a
spegnere l’incendio che infuriava nell’Italia meridionale dove
migliaia e migliaia di patrioti presero le armi per cercare
disperatamente di cacciare l’invasore e riprendersi la propria
indipendenza. Questi uomini furono marchiati come briganti dai
brigati veri che avevano aggredito proditoriamente un popolo
pacifico senza nemmeno dichiarargli guerra, che per mesi avevano
saccheggiato, stuprato, massacrato la gente inerme, dopo aver
spogliato le loro case e le loro chiese. Quattro mesi dopo la
proclamazione del Regno d’Italia la rivolta patriottica divampava
più intensa che mai.
Il
7 luglio del 1861 il popolo di Caccuri insorse e issò una bandiera
del vecchio regno sul campanile della chiesa di Santa Maria delle
Grazie. Le guardie nazionali, al comando di Antonio Abbruzzini,
riuscirono ad avere ragione dei rivoltosi e avevrtirono la guardia
nazionale di San Giovanni in Fiore che chiese l’aiuto dell’esercito.
La mattina presto, dopo una marcia forzata, una colonna di una
trentina di soldati al comando del tenente Magni entrò in paese
ristabilendo l’ordine. Stranamente non vi furono eccidi o almeno
non ne siamo a conoscenza. Probabilmente i capi della rivolta
dovevano essere non caccuresi che, alla notizia della marcia del
tenente Magni e dei suoi soldati, abbandonarono rapidamente il paese
che non fu, forse per questa, oggetto di rappresaglia.
Mentre
i soldati si trovavano ancora a Caccuri, insorsero
contemporaneamente anche Altilia, frazione di Santa Severina, e
Cotronei per cui il Magni e i suoi subordinati furono costretti a
mettersi in marcia per Altilia. La notte dell’11, approfittando
della loro assenza, un gruppo di patrioti, probabilmente lo stesso
che aveva innescato la prima rivolta, tentò di rientrare a Caccuri,
ma questa volta la guardia nazionale della cittadina riuscì a
respingere l’attacco anche perché poteva disporre di un cannone.
Poi, dopo l’eccidio di quattro guardie doganali, la notte del 16
luglio da parte dei rivoltosi caccuresi, la situazione la rivolta
scemò, anche perché in paese giunse anche la colonna mobile del
capitano Novelli respinta da Cotronei dai rivoltosi di quel paese.
Intanto anche Spinello era insorta
I
soldati accorsi per sedare la rivolta, verso le 6 del pomeriggio del
12 luglio, si scontrarono con un gruppo di “briganti” in
contrada Gipso che erano già stai attaccati dalla colonna del
maggiore Rossi. Un numero imprecisato di combattenti per la libertà
rimasero sul terreno, come si evince da una lettera di Antonio
Mancini al capitano della Guardia di San Giovanni in Fiore Salvatore
Barberio, mentre da parte piemontese si ebbero solo due soldati
morti. I pochi superstiti tentarono la fuga verso il fiume Lese, ma
si scontrarono con una compagnia di soldati che stazionava sul luogo
e furono sterminati. Tra i morti figurava anche il capo brigante
Gallo.
Completata
la strage i piemontesi rivolgono la loro attenzione al paese difeso
strenuamente da un gruppo di armati. Un certo Michele Cancellieri,
all’epoca fattore del barone Barracco, aveva provveduto a
informare il capitano Antonio Marra, comandante della colonna
mobile, che nei comuni di Belvedere e di Spinello 400 briganti,
insieme alla popolazione, avevano innalzato le bandiere bianche,
distrutto gli archivi comunali e parrocchiali degli anni 1860 e 61
e, soprattutto, abbattuto i busti "dell’amatissimo sovrano
Vittorio Emanuele". A capo dell’insurrezione vi era un tale
Felice Berardi, detto Filicione che operava per conto di Luigi
Muraca, noto reazionario impegnato da sempre contro gli invasori.
Tra gli altri capi figuravano Francesco Gallo, Domenico Patriota,
Domenico Fazio, Carlo Bianchi e
Francesco Marchione.
Briganti
A
questo punto il capitano Marra richiama il tenente Magni che si
trova a Caccuri ordinandogli di raggiungerlo ad Altilia con la sua
colonna di 32 soldati e il tenente Santangeli che, oltre ai suoi 24
soldati, mette a disposizione del militari 250 mazzi di cartucce. Ai
soldati non resta che mettersi in marcia, cosa che fanno alle 3 e
mezza del pomeriggio. La forza attaccante risulta composta da un
luogotenente, dal medico del battaglione, da 95 tra soldati,
ufficiali e sottoufficiali e
da un gruppo di guardie nazionali per un totale di 120 uomini
Guadato il Neto la truppa cominciò a inerpicarsi
lungo i sentire che conducevano a Belvedere. Mentre si avvicinavano
all’abitato notarono una quantità di gente armata pronta a
difendere il paese. Poi, a un tratto, quando i soldati si trovavano
a circa mezzo chilometro, dal paese partì un fuoco intenso, quanto
inefficace, ma che li
costrinse a rallentare la loro avanzata. L’impossibilità dei
patrioti di difendere il paese era manifesta e dovuta,
principalmente alla scarsa portata delle loro rudimentali armi
contro un aggressore che poteva colpirli da molto lontano tenendosi
fuori tiro mentre il resto della truppa avanzava alla cacciatora. Fu
così che la colonna del tenente Magni poté avanzare indisturbata e
conquistare le alture mentre i “briganti” iniziavano al loro
ritirata. Verso le 8 di sera le colonne dei tenenti Magni,
Santangeli e Gucciarelli conquistarono la spianata dove vennero
raggiunte dal resto della truppa. A questo punto il capitano Marra
diede il segnale d’attacco al grido di “Viva il re”.
Rapidamente arrivarono alla chiesa che superarono sia dal lato
destro che da quello sinistro sbucando improvvisamente nel paese.
La
chiesa aggirata dai soldati per entrare in paese
La
resistenza dei difensori fu molto debole. Secondo il comandante dei
soldati alla fine i briganti morti risultarono essere solo 7,
anche se è sempre lecito il sospetto che alcuni morti possano
esseere stati fatti sparire, dal momento che le autorità filo
savoiarde del tempo non si preoccupavano certamente di
"aggiornare l'anagrafe", ma una così facile
vittoria su di un avversario inconsistente non fu sufficiente,
evidentemente, a placare la loro violenza che trovò sfogo nell’incendio
del paese, mentre la popolazione terrorizzata correva, nelle
tenebre, verso Belvedere. I danni patiti dall’esercito si
ridussero a tre feriti e due contusi leggermente.
La
prima casa alla quale diedero fuoco fu il palazzo del principe
Ercole Giannuzzi Savelli che l’anno prima si era trasferito
definitivamente a Napoli. La colpa del Savelli, agli occhi dei
savoiardi e dei loro manutengoli era quella di essere ritenuto un
filoborbonico in quanto, dal 1857, comandante del plotone della
guardia d’onore di Ferdinando II.
Resti
del palazzo del principe Giannuzzi Savelli
Soldati
Tra
gli eroi di sì epica battaglia figurano il tenente Ampelio Magni,
il caporale Gaspare Pratesi, il tenente della Guardia mobilizzata
Pietro Giuseppe Arcuri e il luogotenente Narciso Gucciarelli.
Questa
vicenda scosse, evidentemente, molto i caccuresi tanto che da allora
" 'U focu 'e Spinellu" divenne sinonimo di cosa
spaventosa, terrificante da cui la minaccia: "Te fazzu vìrere
'u focu 'e Spinellu."
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