L' 8 agosto del 1956 il mondo fu scosso dalla tragedia di
Marcinelle, una delle più grandi sciagure minerarie della storia
che provocò la morte di 262 minatori, 136 dei quali italiani. Tra
quest’ultimi molti meridionali emigrati dalla loro terra che non
dava pane per morire carbonizzati nell’inferno della miniera
belga.
Quella
mattina, nell’infernale cava del Bois du Cazier, nei pressi
di Charleroi erano
al lavoro 274 minatori. Solo pochi si salvarono, gli altri trovarono
una morte orrenda a causa
di un incendio provocato da un vagoncino che, sporgendo da un
ascensore tranciò una condotta di olio in pressione e alcuni cavi
elettrici innescando un
cortocircuito. Un
errore umano, purtroppo, un tragico errore umano fu la causa di una
così spaventosa catastrofe. In
un breve lasso di tempo le varie gallerie si riempirono di
esalazioni mortali e per i lavoratori non vi fu scampo. Alcuni di
loro cercarono si salvarsi scendendo ai livelli più bassi della
miniera essendo preclusa la risalita, ma ciò non valse a
nulla.
I
soccorritori, nelle prime riuscirono
a riportare in superficie solo 9 corpi, poi dovettero attendere ben
quattro giorni prima di poter raggiungere il livello 907. Ai loro
occhi apparve così una scena apocalittica, con centinaia di corpi
arsi per l’immane calore, irriconoscibili che venivano recuperati
e trasferiti nelle camere mortuarie allestite in tutta
fretta. Centinaia di persone trascorsero le notti e i giorni
aggrappate ai cancelli in cerca di notizie, quasi sempre
frammentarie, a volte anche pietosamente reticenti, ma
sempre più drammatiche e strazianti. L’opera pietosa di recupero
dei corpi durò parecchi giorni, poi
fu possibile stilare il terribile bilancio definitivo. Tra i
caduti tantissimi abitanti del Sud d’Italia: siciliani calabresi,
pugliesi, molisani, i
cosiddetti “musi neri” partiti per spalare carbone in Belgio,
anche grazie al vergognoso accordo tra il governo italiano e quello
belga che prevedeva l’acquisto di carbone in
cambio dell’impegno di favorire l’emigrazione di 50.000
minatori. Per il Belgio, paese
allora “affamato di manodopera” in quel disastroso dopoguerra
partirono, invece, 140.000 emigrati lavoratori italiani che si
portarono dietro anche 18.000 donne e 29.000. Tra loro anche l'ex
partigiano caccurese Giovanni Sgro.
Il paese di
Mannoppello in provincia di Pescara fu quello che ebbe il più alto
numero di morti, ma
anche altri paesini del
Meridione diedero il loro contributo di lacrime e di sangue a questa
immane tragedia che, dopo quella di Monongah
nel West Virginia e di
Dawson nel Nuovo Messico fu quella con il maggior numero di
caduti italiani sul lavoro. Il dolore per le vittime della
tragedia belga si sommò a quello per l’affondamento dell’Andrea
Doria, il più grande e moderno transatlantico italiano speronato,
solo otto giorni prima, al largo di New York, dal piroscafo svedese Stockholm.
In quell’occasione le vittime furono 46, ma Marcinelle provocò
un dolore molto più
atroce e soprattutto la
consapevolezza che nella miniera belga non erano morti soltanto 274
minatori, ma con essi anche la dignità del mondo del lavoro. Fu per
questo che i giornali di tutto il mondo seguirono giorno dopo giorno
la triste vicenda per capirne le ragioni, informare l’opinione
pubblica mondiale sulle condizioni di lavoro dei minatori, dare un
loro contributo alla formazione di una cultura della prevenzione per
evitare il ripetersi in futuro di tali catastrofi.
Della tragedia di
Marcinelle si sono occupati anche scrittori, poeti, sceneggiatori,
registi cinematografici che hanno inteso, con le loro opere, tenere
vivo il ricordo della sciagura e desta l’attenzione sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro. Uno dei primi artisti a scrivere
sulla triste vicenda fu il poeta siciliano Ignazio Buttitta con la
sua celebre ballata sullo zolfataro Turi Scordo che lascia la sua
Mazarino per morire orrendamente in Belgio. Di recente la Rai ha
prodotto una toccante fiction tratta da un soggetto di Laura Toscano
e Franco Marotta che
ricostruisce fedelmente il dramma,
l’ambientazione, il disagio dei lavoratori italiani costretti a
convivere con una popolazione locale non sempre molto ospitale, le
fredde baracche nelle quali erono ospitati.
Purtroppo “la lezione
di Marcinelle”, così come quelle di tanti altri grandi incidenti
sul lavoro pare siano servite a
poco e di lavoro, soprattutto di lavoro nelle cave e nelle
miniere si continua a morire, anche se fortunatamente, come nel caso
della miniera cilena di San Josè, grazie anche alle nuove
tecnologi, a volte si riesce anche a sopravvivere.
Giuseppe
Marino
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