Cari
visitatori,
in questa pagina troverete molte notizie relative alle vicende storiche
della chiesa di Santa Maria delle Grazie, monumento di patronato del
Comune di Caccuri, almeno per la parte che riguarda la costruzione e i
numerosi interventi di ricostruzione e di manutenzione straordinaria.
Dietro queste paginette c’è un lungo lavoro di ricerca delle fonti e
di trascrizione di antichi documenti che ha richiesto un bel po’ tempo
e uno sforzo visivo non indifferente. Fare ricerca costa, comporta
lunghi viaggi, dispendio di energie e di danaro, ma mi gratifica, ogni
volta, la soddisfazione di far luce in qualche angolo buio del nostro
passato per riannodare, attraverso la ricostruzione di vari frammenti,
le fila di una storia lunga sedici secoli. Non lo faccio per
interessi, meno che mai economici, come non ho fatto mai in vita mia,
accontentandomi dello stipendio prima e della pensione poi e, come le
cicale che regalano gratuitamente a tutti il loro canto, regalo
anch’io questo mio lavoro, che affido alle pagine del mio sito www.isolamena.com,
a chiunque voglia utilizzarlo per tesi, ricerche, post o quant’altro.
L’unica cosa che chiedo a coloro i quali lo riprenderanno in parte o
in toto, com’è già successo in passato per altri miei scritti, è di
citare la fonte, sia per rispetto al mio lavoro, sia per dar più
credibilità ai loro scritti, sia per non incorrere in errori marchiani
com’è capitato a qualcuno che
ha scambiato poesie e canzoni mie per opere della tradizione popolare
caccurese, anche se averli involontariamente indotti in errore mi ha
piacevolmente sorpreso perché significa che i miei scritti coglievano
in pieno l’essenza della nostra cultura popolare.
Grazie e buona lettura.
Peppino Marino
La chiesa matrice di Santa Maria delle Grazie di Caccuri è il
monumento più colpito da calamità naturali nella storia del paese e di
conseguenza anche il più rimaneggiato.
La storia inizia nel
XV secolo, epoca nella quale la chiesa venne eretta su di una piccola
altura al centro del paese, a
ridosso della stradina che portava alla rocca.
La Chiesa di S. Maria
delle Grazie
E’
il secolo nel quale Caccuri è abitata da famiglie illustri come i De
Gaeta, i De Luca, i Simonetta che faranno poi fortuna alla corte degli
Sforza fino a diventare una delle famiglie più illustri d’Italia e
d’Europa, i Carnuto che daranno alla chiesa un vescovo, i Mignaccio.
Fu in quel periodo che si sviluppò e si organizzò l’antico centro
storico. Prima di allora la
popolazione viveva in villaggi sparsi per la campagna e nelle grotte
scavate nell’arenaria e all’ombra del castro.
Insediamenti
rupestri in località Cucco
L’epoca di costruzione del tempio la si desume, più che da fonti
archivistiche o bibliografiche scarsissime, se non inesistenti, dai
resti di monofore alla base del campanile tipiche di quel periodo.
Il terreno argilloso sul quale viene eretta la chiesa col suo bel
campanile non favorisce la stabilità dell’opera che, come vedremo,
ebbe numerosi problemi. Non passarono infatti due secoli e il monumento
subì danni gravissimi dal catastrofico terremoto del 1638, ma, a
completare l’opera arrivò quello del 1659 che lo ridusse praticamente
a un cumulo di macerie. La chiesa, come quelle di altri paesi della zona
a quel punto era inutilizzabile per il culto delle anime e il vescovo
Geronimo Barzellino decise di farla ricostruire sostenendo egli stesso
una buona parte delle spese necessarie. Iniziati i lavori, la
ricostruzione risultò abbastanza celere per quei tempi, anche rispetto
ad altre chiese come quella di Verzino e nel 1679, sebbene ancora non
completata, fu riaperta al culto. Nel 1681 i lavori furono poi
completamente ultimati.[1]
La chiesa, tornò così luogo di raccolta e di preghiera per i fedeli,
ma non era trascorso ancora un secolo che una nuova, terribile calamità
si abbatté sul tempio.
Il
1° luglio del 1769 un furioso incendio, innescato probabilmente da una
candela accesa sull’altare maggiore, la ridusse in cenere. Grande fu
la costernazione della popolazione e del clero caccurese che, tuttavia,
si rimboccarono presto le maniche e in pochi anni la chiesa fu
ricostruita per la seconda volta più o meno come la vediamo adesso, in
più arricchita dagli scanni corali ai lati dell’altare maggiore e dal
pergamo fabbricato nel 1795 del maestro caccurese Battista Trocino,
rampollo di una famiglia di intagliatori caccuresi assai conosciuti
nella provincia per aver realizzato diversi lavori del genere in altri
chiese dei paesi vicini. Anche questa volta, a meno di un secolo
di distanza,
la Matrice fu seriamente danneggiata dal terremoto dell’8 marzo del
1832 che produsse danni consistenti alla navata di sinistra e al muro
esterno dallo stesso lato.
I danni vennero minuziosamente descritti
dall’ingegnere alunno Vincenzo Sassone, incaricato del sopralluogo in
paese, nella relazione inviata a Federico Bausan, del Corpo degli
ingegneri di acque e strade incaricato dal re Ferdinando II della
ricostruzione dei paesi del Crotonese devastati dal sisma.
“Il
muro laterale di detta chiesa, scrive l’ingegnere Sassone, poggia su
un terrazzino; dietro le replicate scosse di tremuoto quest’ultimo si
è ribassato perché sostenuto da un debole muro, in conseguenza il
detto muro laterale è uscito fuori di piombo cagionando grave danno
alla volta della nominata chiesa, essendosi di già divisa in tre
sezioni longitudinali.”[2]
Il debole muro di cui parla l’ingegnere Sassone è quello a ridosso
della canonica, ricostruito in quell’occasione e poi ancora dopo il
terremoto del 1908, mentre la volta che si è divisa in tre sezioni
longitudinali è quella della navata sinistra col Santissimo, il fonte
battesimale e le nicchie di San Giuseppe e dell’Immacolata, lesionata
in seguito al cedimento verso l’esterno del muro perimetrale della
stessa chiesa. Ancora una volta le autorità locali si adoperarono per
riparare celermente, grazie ai ducati elargiti dal re e dal governo
borbonico, i danni subiti dalla chiesa di proprietà (di patronato),
come vedremo in seguito, del Comune di Caccuri. Determinante fu anche il
contributo dell’arciprete Antonio Gabriele nella sua qualità di
componente della Commissione locale per il “restauro dei danni del
tremuoto che incontriamo anche nelle aule di un tribunale come teste in
un processo intentato a Giuseppe Meluso, brigante sangiovannese, poi
guida dei fratelli Bandiera nella loro spedizione che voleva sovvertire
il Regno, accusato di aggressione e violazione di domicilio ai danni di
un caccurese.”[3]
Muro
esterno lato sud ricostruito dopo il terremoto del 1832
Sistemata la navata sinistra ci si sarebbe aspettati un po’ di pace
per il tormentato luogo di culto caccurese, invece, a distanza di appena
20 anni dall’ultimo restauro, la sorte si accanisce di nuovo sulla
chiesa quasi si trattasse di una incallita peccatrice alla quale fare
espiare i misfatti.
Giovedì 20 luglio del 1854 è una giornata calda e
serena, ma nel primo pomeriggio il cielo si rannuvola improvvisamente e
scoppia uno dei soliti temporali estivi. Uno dei tanti fulmini che
saettano nel cielo caccurese colpisce il campanile della matrice con
effetti devastanti. Crolla gran parte dello stesso campanile e il muro
perimetrale della navata di destra subisce una lesione che fa crollare
l’altare di san Francesco d’ Assisi. Crollano anche alcuni
cornicioni interni, mentre le vetrate scoppiano per lo spostamento
d’aria. Una bomba ad alto potenziale non avrebbe potuto fare di
peggio; mai visto un fulmine così terrificante.
Campanile
demolito dal fulmine nel 1854
Le
autorità caccuresi si attivano con una solerzia incredibile, molto
superiore a quella mostrata in occasione del disastroso terremoto del
1832. Immediatamente viene contattato il Sottointendente di Cotrone
(Crotone) [4]
al quale viene prospettata la situazione. Il funzionario ordina di
fare redigere una perizia dei danni da far approvare alla Deputazione
delle opere pubbliche del comune e di individuare i capitoli del
bilancio comunale ai quali attingere per finanziare l’opera
vincolandone i fondi.
Interno
della chiesa (navata centrale)
La
perizia, redatta dal “mastro muratore e pubblico perito” Vincenzo
Cosenza prevede una spesa complessiva di ducati 69.08, ma sottoposta
dall’Intendente all’architetto Ciro Candela, viene da questi
giudicata irregolare per cui viene revisionata secondo le indicazioni
del tecnico verificatore. La nuova perizia viene approvata l’ 8
gennaio del 1855 e i lavori possono avere inizio. Tutto sommato,
nonostante alcuni problemi di natura burocratica relativi
all’individuazione dei capitoli dai quali stornare i fondi da
utilizzare, le riparazioni vengono eseguite abbastanza celermente. La
somma necessaria viene messa insieme attingendo ai capitoli relativi al
mantenimento di strade, a quello delle feste civili e a quello delle
spese per la leva.
Come per la realizzazioni di tutte le opere pubbliche
che si rispettano, anche per la riparazione della chiesa di Caccuri
nascono sospetti di malversazioni, imbrogli, ruberie denunciate dal
secondo eletto Luigi Oliverio che scrive all’Intendente:
“Signore,
feci
conoscere all’Intendente che questo Sindaco aveva mandato gli statini
coi verbali di consegna per la fatica fatta in questa chiesa comunale
senza la mia firma che non volli prestare mentre s’agiva per certo
scienza che non gli erano erogati i docati quanto quali sono romasti
(sic) in potere del Sindaco medesimo figurando averli erogati
moltiplicando giornate, sopra i mattoni, figurando di avere comprato
calce, gesso ed altro più del (quatrato?).
Quanto
segnalato potrebbe parimenti sapere dai Deputati i quali per essere
fiduciosi in questo incontro col Sindaco prestarono la firma ai statini
ed ora se sarebbe possibile richiamerebbero le loro firme avendo
conosciuto ulteriormente essere la somma autorizzata spesa in meno di
docati quaranta come sopra.”5
Effettivamente
dal “notamento dei travagliatori”, il rendiconto delle spese
compilato dopo il completamento dei lavori, emergono alcune anomalie. In
particolare si rileva che una parte dei 133 tomoli di calce acquistati
non sono stati utilizzati per la chiesa, ma per “gli
accomodamenti del ponte” (probabilmente il piccolo ponte delle
Monache che si trova sotto quello più grande costruito alla fine del
XIX secolo) e che al muratore e perito Vincenzo Cosenza risultano pagate
90 giornate, mentre in realtà ne ha fatto solo 40. L’intendente
dispone perciò l’invio di un “verificatore” (ispettore) che
accerta i fatti. E qui emerge una storia tutta italiana (anche se
l’Unità d’Italia arrivò solo qualche anno dopo), un misto tra il
meschino e il ridicolo. Dov’era l’inghippo? Il sindaco del tempo,
Giovanni Oliverio, non si fece sfuggire l’occasione di guadagnare
qualcosa anche lui ( teneva anche lui famiglia) per cui si auto assunse
al lavoro effettuando una quarantina di giornate. Ovviamente da
“persona specchiata”, non voleva apparire come quello che
approfittava della situazione per cui il suo salario fu virtualmente
caricato a capo del mastro Cosenza. Sorpreso con “le mani nella
marmellata” il nostro antico sindaco si giustifica così con
l’Intendente:
“Eccellenza,
tutto ciò è vero, ma il supplicante fu anch’egli un ovriere che
impiegò la sua opera nel riatto della Chiesa madre e siccome la
commissione edilizia allora opinò
di non potere egli figurare nei settimanili ché investito della
carica di sindaco egli si stimò coprire sotto il nome di altri le sue
giornate del che la di lei Autorità potrà con informo accertare come
anche dell’esattezza e dovuta diligenza usata in tale
(illeggibile); qui la supplica che d’equità venghi approvata
la residua somma di D. 32 essendo egli un ovriere che vive alla giornata
col travaglio delle proprie braccia.” Ovviamente
quando si parla di sindaci dell’Ottocento non bisogna confonderli di
quelli di oggi per i quali la lauta indennità di carica è spesso il
solo motivo che li spinge a candidarsi e a “sacrificarsi” per la
collettività. A quel tempo, infatti, non si candidavano, ma venivano
nominati direttamente dall’intendente e duravano in carica circa due
anni senza percepire alcuna indennità.
Completati questi lavori si pose subito il problema di un
secondo intervento urgente per porre fine ad altri inconvenienti. Il
tetto e il pavimento del tempio erano in pessimo stato e il muro di
sostegno esterno sotto il sagrato, pericolante. Anche questa volta il
Comune fece approntare una seconda perizia dei lavori dal perito
Vincenzo Aggazio che prevedeva la spesa complessiva di 60,60 ducati. Si
trattava di sistemare il pavimento lungo 50 palmi e largo 42
(rispettivamente 14 e 11 metri ca.), la copertura e il muro esterno
lungo 124 palmi (33 metri), largo 1 palmo e 2/4 (70 cm.) e alto 2 palmi
(53 cm.). La perizia, sottoposta all’esame dei due deputati
delle opere pubbliche comunali, il cav. Luigi Ambrosio e il cav.
Vincenzo Abbruzzini venne ritenuta regolare, così come regolare la
ritennero anche i Decurioni (assessori) Domenico Ambrosio,
Giovanni Lacaria, Vincenzo Madia, Sebastiano Madia e il sindaco, il
falegname e scultore, Filippo Procopio. Non la pensò così, però,
l’architetto Luciano Corea che ritenne eccessiva la quantità di gesso
e di malta prevista per cui ridusse la spesa complessiva a 56,06 ducati.
A questo punto il Consiglio d’Intendenza (Consiglio provinciale del
tempo) si pose il problema della proprietà del bene, dal momento che
spetta al proprietario cacciare fuori i danari per “gli
accomodamenti” per cui l’Intendente chiese al Sottointendente di
Cotrone di accertare se la chiesa fosse di “collazione
o di patronato ecclesiastico, se con clero capitolo o collegiata con
cura di anime, il numero di esse e la rendita annessavi” e,
infine, se sia “di patronato del comune,
mentre in quest’ultimo caso la spesa deve gravare a peso del comune
istesso.” Dagli accertamenti risultò che la chiesa era di
patronato del Comune, come confermò anche il vescovo di Cariati Nicola
Golia, per cui a questo punto il Consiglio d’Intendenza approvò
la perizia e il progetto.
Muro ricostruito nel
1856 su perizia di Vincenzo Aggazio
Ora non c’erano più ostacoli e i lavori poterono
avere inizio. Per completezza di informazione va detto che la spesa
occorrente venne prelevata dagli articoli (attuali capitoli) del
bilancio comunale relativi al riattamento e manutenzione chiesa per 20
ducati, per spese medico chirurgiche per ben 19,10 ducati
(quasi un terzo dell’intera spesa sottratto alla sanità pubblica) e
da quello sulle opere pubbliche per 15,20 ducati.[73]
Altri interventi di manutenzione straordinaria sulla
sfortunata chiesa furono realizzati nel 1908 a causa dei danni prodotti
al muro di sostegno esterno, dalla parte destra, dal terremoto che
distrusse Reggio e Messina (almeno questa la giustificazione ufficiale)
e per l’apertura della porta della sagrestia che dà su via Chiesa con
la conseguente realizzazione dell’anti estetica scaletta in pietra e
negli anni ‘90 del XX secolo le cui tracce sono, purtroppo, ancora
visibilissime.
A. Pesavento, in Archivio storico Crotone,
La Chiesa matrice di Caccuri dedicata a Santa Maria delle
Grazie, http://www.archiviostoricocrotone.it/chiese-e-castelli/la-chiesa-matrice-di-caccuri-dedicata-a-santa-maria-delle-grazie/
G. Marino. Il terremoto del 1832 nel Marchesato di Crotonese. I danni e
la ricostruzione di Caccuri, E. Progetto 2000, Cosenza 2102, pag. 39
G. Marino, Cronache di poveri briganti, Pubblisfera, San Giovanni in
Fiore 20003, pag g. 33 - 36
Dal XVI secolo fino al 1928 la città fu chiamata Cotrone, nome che si
conserva anche nel dialetto “Cutroni “
AS CZ, Intendenza della
Calabria Ulteriore 2^, Esiti comunali,
Busta 120, Fasc.4972, Lettera del 27 settembre 1856
As CZ, ibidem, Lettera
del 24 dicembre 1856
AS CZ, ibidem, Delibera del
Decurionato di Caccuri n. 23 del 18 agosto 1858
|