La spedizione dei fratelli Bandiera |
Il 1844 fu l'anno dello sfortunato tentativo dei fratelli Bandiera e dei loro generosi compagni venuti in Calabria per un ideale di libertà e di indipendenza e la cui esistenza fu chiusa da una scarica di fucileria nel vallone di Rovito. I due giovani, ufficiali della marina da guerra austriaca, erano figli del barone Francesco Giulio, ammiraglio della stessa marina. Qualche
tempo dopo l'arruolamento disertarono e aderirono alle idee di
Mazzini fondando, a loro volta, una società segreta, l'Esperia che
era il nome che gli antichi greci usavano per indicare
l'Italia. Sbarcato alla foce del fiume Neto la sera del 16 giugno 1844, il gruppo dei patrioti iniziò il viaggio verso Cosenza preoccupandosi subito di provocare l'insurrezione della popolazione. A questo scopo consegnarono a Gerolamo Caloiro, un fittavolo degli Albani, un nobile manifesto che avrebbe dovuto essere affisso a Crotone, ma che il contadino, per paura di conseguenze, evitò di rendere pubblico.
Dopo
una sosta presso la masseria Poerio del barone Albani, si avviarono
verso la Sila, Intanto, Boccheciampe finse di essersi
lussata una gamba per sganciarsi dal gruppo e correre a
denunciare i compagni, cosa che fece regolarmente appena il gruppo
si fu allontanato.
Le Autorità di Crotone furono, così, immediatamente informate
della presenza dei rivoluzionari e misero in allarme la
Guardia Urbana di Belvedere che si appostò nei pressi del paese in
contrada Pietralonga. La sera del 17 il gruppo dei patrioti si
scontrò con gli urbani e caddero in combattimento il capo dei
gendarmi Antonio Arcuri ed il nipote Nicola Rizzuto. Una terza
guardia, ferita gravemente, morì dopo alcun giorni. Secondo alcune
ricostruzioni la morte delle guardie urbane sarebbe da attribuire al
cosiddetto "fuoco amico", ovvero a fucilate degli stessi
loro compagni appostati dalla parte opposta della strada, ma la cosa
non fu mai accertata con precisione. La notizia dello scontro di Pietralonga mise in allarme le Autorità di Caccuri, il paese verso il quale i giovani mazziniani si stavano dirigendo. Intanto, dopo essersi nascosti nella zona di Campodenaro pei l'intera giornata del 18, i patrioti ripresero la marcia notturna e all'alba del 19, giunsero al Bordò.
La giornata del 19 fu densa di avvenimenti, mentre si preparava
l'epilogo della sfortunata impresa. Al casino del Bordò Giuseppe
Meluso, il brigante di cui abbiamo già detto capitolo e che a
Corfù, dove si era rifugiato, si era aggregato al gruppo in
qualità di guida grazie alla perfetta conoscenza dei luoghi, fu
immediatamente riconosciuto. La presenza del Meluso fece ritenere ai
contadini che l'intera comitiva fosse composta da uomini dediti al
saccheggio e all' assassinio, per cui mandarono un ragazzo a S.
Giovanni in Fiore per recapitare un biglietto al capo urbano di quel
paese nel quale lo si informava della presenza dei patrioti e della
loro intenzione di dirigersi verso la cittadina. Certamente,
comunque, gli agrari ed i baroni della zona conoscevano le vere
intenzioni dei giovani e, proprio per questo, per far fallire
un'impresa che ritenevano avrebbe potuto mettere in discussione
l'assetto socio-economico della zona e far sparire i loro privilegi,
si diedero molto da fare per armare quanta più gente
possibile per catturare ed uccidere i sovversivi, coloro i
quali avrebbero potuto ficcare brutte idee in testa ai contadini.
Così, avendoli etichettati come briganti, ebbero anche l'appoggio
dei loro fittavoli. Comunque, per quanto nobili potevano essere,
com'erano in realtà le intenzioni di giovani, la loro era,
comunque, alla luce del diritto internazionale, una spedizione
sovversiva in un paese straniero che aveva lo scopo di rovesciare il
governo legittimo per cui le autorità di polizia erano obbligate ad
agire contro di loro.
Poco dopo mezzogiorno il Sindaco di Caccuri, Pasquale Montemurro,
spedì una lettera allarmata al capo urbano di S. Giovanni così
concepita: "Mi
sollecito notiziarLe che sono venuto a conoscenza
stragiudizialmente, ma con certezza, di essere stata attaccata la
Guardia Urbana di Belvedere e la gendarmeria di Strongoli con
ventidue Corsi sbarcati in questa marina riuniti con altri venti
casalini. Fra i morti
si conta lo sventurato capo urbano di Belvedere. Io, quindi, con
espresso Le ne do conoscenza al momento che corrono le ore 16
(Mezzogiorno attuale) prevenendoLa che io, con gli urbani e
proprietari che si possono riunire vado a mettermi in quei punti ove
potrebbero transitare." Il Sindaco era appena partito quando la comitiva dei patrioti giunse a Laconi.
Laconi (Caccuri) Casolari dell'epoca
A
questo punto il secondo eletto di Caccuri, Luigi Antonio Quintieri,
spedì un secondo dispaccio urgentissimo a San
Giovanni in Fiore con il quale informava che "Una
forza di venti persone armate e due o tre vetture si sono fermate nel luogo
detto Laconi, territorio di Caccuri e sono dirette verso S. Giovanni
in Fiore."
Così nella cittadina florense si organizzò la spedizione che
avrebbe dovuto catturare i "briganti". I patrioti continuarono la loro marcia sostando alla bettola della Stragola ove consumarono una frugale colazione.
Stragola (Castelsilano)
Poco
dopo, verso le 4 del pomeriggio, arrivarono alla fontana della
Stragola, poco distante dalla bettola. Qui furono attaccati da
ingenti forze con una Poco
tempo dopo la cattura, il 25 luglio del 1844, i Bandiera,
furono processati e condannati a morte e fucilati assieme ad altri
sette compagni, Giovanni Venerucci, Anacarsi Nardi, Nicola
Ricciotti, Giacomo Rocca, Domenico Moro, Francesco berti e Domenico
Lupatelli, nel vallone di Rovito, alle porte di
Cosenza. Solo ventiquattro giorni prima, nello stesso
luogo, erano stati fucilati Raffaele Camodeo, Sante Cesareo, Nicola
Corigliano, Giuseppe Franzese, Antonio Rao e Pietro Villacci,
animatori della insurrezione del marzo dello stesso anno.
Come si vede le Autorità caccuresi furono abbastanza solerti nel contribuire alla cattura dei patrioti mazziniani. A questo zelo non fu certamente estranea, come si evince anche dalla lettera del sindaco Montemurro, l'influenza degli agrari locali sempre nemici di qualsiasi rivolta, di qualsiasi tentativo di sovvertimento dell'ordine sociale che potesse rimettere in discussione privilegi e potere. Giuseppe Marino
Note
Attenzione: I testi di questa pagina sono proprietà intellettuale dell'autore e tutelati giuridicamente.
|