L'Isola
Amena inaugura oggi una nuova rubrica dedicata a pillole di storia e
curiosità caccuresi. sperando di0 far cosa gradita agli amici visitatori.
Grazie per l'attenzione.
Oggi
voglio fare un omaggio ai grandi carabinieri caccuresi che non sono più
con noi ma ch, con il loro lavoro, il loro coraggio e il loro
altruismo, mettendo generosamente a repentaglio la loro vita, resero un
grande servigio all'Italia, alle Istituzione, alla sicurezza dei
cittadini. In questa occasione l'omaggio è rivolto a quelli più altri
in grado, a cominciare dagi ufficiali superiore, ma nei prossimi giorni
ricorderemo anche tanti sottoufficiali e carabinieri semplici che non
furono da meno e che meritano altrettanta stima e il plagio dei
compaesani.
Il primo della lista,e primo d sinistra
in alto è il tenente colonnello Umberto Iaconis, medaglia d'0eragento
della Grande guerra e comandante, oltre che del
Comando provinciale dei carabinieri di Salerno, anche comandante
partigiano che dal 9 al 26 settembre del 1943, al comando
dei suoi carabinieri e di una banda partigiana, liberò Salerno e tutto
il territorio della provincia campana dai nazisti che in
precedenza avevano cercato di disarmare i carabinieri e di saccheggiare
il capolugo:
Il secondo da sinistra in altro è il tenente colonnello
Enrico Pio Del Bene, anch'egli medaglia d'argento della Grande Guerra e
comandante della Scuola
Carabinieri di Firenze.
Un altro ufficale dei carabinieri fu il fratello di
quest'ultimo, capitano Pappino Del Bene (Terzo da sinistra in alto),
comandante delle tenenze Adrano e di Taormina che lo videro
brillante investigatore capace di far luce su efferati delitti, rapine e
sgominatore di feroci bande criminali collezionando numerosi encomi e
riconoscimenti.
Nella fila in basso troviamo il carabiniere Giovanni
Dardani, medaglia d'argento al valor militare morto nell'ospedale di
Palermo, dov'era stato ricoverato perché gravemente ferito in un
conflitto a fuoco con la banda Giuliano, il 10 maggio
del 1946.
Il secondo della fila in basso da sinistra è il luogotenente
Rosario Perri, che prestò a lungo servizio nel Veneto e infine il
maresciallo maggiore aiutante Domenico Blaconà, già comandante della
Stazione dei carabinieri di Ciampino, in servizio nel 1949 -50 a
Corleone con l'allora capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa nelle
suqdriglie di repressione del banditismo, , poi a Roma l Sios,
cavaliere, cavaliere ufficiale e commendatore,. Il luogotenente Blaconà
era il padre del maggiore dei carabinieri Antonio Blaconà
collocato in pensione alcuni giorni fa. Questi sono i carabinieri
caccuresi che raggiunsero i più altri gradi, ma Caccuri diede i natali
a tanti altri carabinieri che raggiunsero il grado di appuntato,
brigadiere e maresciallo e di carabinieri semplici come il grande
Giovanni Marullo, Annunziato Tallerico, Luigi antonio Lacaria ed altri
che ricorderò nei prossimi giorni. Onore e gloria a questi nostri
eroi.
FONTI
STORICHE, INDIZI E PROVE: DOVE'ERA UBICATA L'ANTICA PORTA?
di Peppino Marino
Gli storici che
si rispettano danno sempre grandissima importanza alle fonti
privilegiando, quando è possibile, quelle scritte, ma senza trascurare
o sottovalutare le altre: da quelle orali a quelle mute, a quelle
iconografiche, soprattutto quando quelle scritte risultano poco chiare o
lacunose. Spesso il riscontro con quelle mute e quelle orali risulta
decisivo o, comunque, contribuisce egregiamente alla ricostruzione di
vicende oscure. Come nel caso dell'ubicazione dell'antica caserma
della guardia urbana (poi nazionale) di Caccuri che le fonti scritte
ubicano a ridosso dell'antica Porta grande, all'interno della quale,
l'11 maggio 1869 morì il capo sezione della Guardia urbana Bruno
Lamanna, fabbro ferraio originario i Serra San Bruno. Purtroppo
nei documenti scritti che citano il posto di guardia non è riportato il
numero civico e, comunque, anche se lo fosse, non si avrebbe , la certezza che, in oltre un secolo, la numerazione civica non sia
cambiata, a meno che non si disponga anche di una carta topografica del
tempo che riporti i numeri civici, cosa quasi sempre improbabile. Come
risolvere, dunque il problema? In questi casi, perciò, può essere
utile incrociare la fonte scritta con una fonte orale e con una
muta.
Fino a qualche decennio fa erano ancora in vita anziani che
raccontavano, con evidente enfasi, le cruente scene dell'uccisione nel
sonno di Giovanni Cosco, il povero brigante sangiovannese detto Zirrica
dai suoi compaesani e Zirricu dai caccuresi, da parte del compare
Pintisciolle, il macellaio caccurese Tommaso Secreto del quale il
fuorilegge si fidava ciecamente, la sua decapitazione eseguita con la
maestria che solo un macellaio poteva possedere e di come la testa,
conficcata su di un palo appuntito, venne trasportata da Eido, luogo
dell'uccisione, per i viottoli di Sambuco e Conserva fino a Caccuri dove
fu esposta sul muro del giardino di casa di don Domenico Ambrosio
all'inizio di via Buonasera a monito degli aspiranti briganti e dei loro
possibili manutengoli.
Le fonti scritte, in questo caso un rapporto dei
carabinieri raccontano che fu ucciso il dieci ottobre del 1868 in un
conflitto a fuoco dalle forze dipendenti dalla zona militare in
territorio di San Giovanni in Fiore(1), non sempre sono completamente
attendibili per cui giova raffrontarle con altre fonti. Per
l'occasione la tradizione orale ci dice che fu ucciso dal
Pintisciolle. Probabilmente c'è del vero in entrambe le fonti,
soprattutto in considerazione del clamoroso errore dei carabinieri che
ubicano la contrada Eido in agro di San Giovanni in Fiore, mentre fece
sempre parte del territorio caccurese ( anche dopo la famosa donazione di
Enrico VI a Gioacchino da Fiore). Durante la guerra di resistenza dei
meridionali, etichettati come briganti, dai piemontesi che avevano
attaccato e conquistato il Regno delle due Sicilie (anche se Zirricu non
era un brigante, ma un bandito, ovvero un delinquente comune) non era
infrequente il caso di decapitazione post mortem del fuorilegge e
l'esposizione al pubblico del macabro trofeo per scoraggiare e intimidire
eventuali manutengoli. E in questo caso, dove collocare il capo reciso
se non su un cippo sul muro del posto di guardia dell'antico corpo di
polizia urbana? C'è comunque un terzo indizio, un documento nel quale
si parla della rivolta del popolo caccurese del luglio 1861 sedata
dall'intervento dell'esercito e dalla Guardia Nazionale al comando
di Antonio Abruzzini. Mentre ancora erano soldati e guardia nazionale
erano impegnati a Caccuri, insorsero
anche Cotronei e Altilia di Santa Severina per cui la
colonna del tenente Magni accorse nella frazione del vicino comune
lasciando sguarnita Caccuri, Fu a questo punto che un numero limitato di
briganti attaccò il nostro paese, ma gli assalitori furono respinti
a cannonate proprio da porta grande disponendo i difensori di un
cannone. Ecco un classico caso di più indizi che possono
formare una prova. Queste notizie e lil racconto orale della cattura di
Zirricu , confermerebbero indirettamente
l'esatta ubicazione non solo del posto di guardia, ma anche dell'antica
porta di accesso al paese, anche se in questo caso si potrebbe parlare
del classico segreto di Pulcinella considerato che ancora oggi la
toponomastica ci parla di una Porta nuova e di una Porta piccola che,
presupponeva, per contrasto, l'esistenza di una porta grande. Infatti, se
non bastasse la tradizione orale che ci ha sempre tramandato l'esistenza
di una porta grande, basterebbe osservare attentamente la
skyline del vecchio borgo (praticamente il disegno dell'antica cinta
muraria) per capire che l'unico posto nel qual e poteva
aprirsi una grande porta nella stessa non poteva essere che
quello riferito dalla tradizione orale. Per questo, se non
si considerano gli anziani ferraglia da rottamare e si ascoltano
i vecchi, quelli che hanno vissuto prima di noi non si perde inutilmente
tempo, ma si imparano un sacco di cose , si preserva la memoria storica
di una comunità e si diventa un po' più saggi.
1)
Archivio Storico di Catanzaro,
Miscellanea di processi penali, busta 8, fasc. 115, lettera
dei Reali carabinieri di Catanzaro, Compagnia di Catanzaro, al Giudice
istruttore del tribunale di Catanzaro del 28-1-1869, prot. 586,
divisione 3.
VIA
E RIONE MERGOGLI - LA STORIA ATTRAVERSO LA TOPONOMASTICA
di Peppino Marino
Una delle cose più interessanti della società contadina era la
capacità di identificare porzioni piccolissime di territorio, a volte
anche un paio di are, con toponimi precisi creando una sorta di
rete cellulare ante litteram che semplificava molto la vita dei nostri
antenati. Con analoga meticolosità riuscivano a dare un nome a
piazze, strade, porzioni ridotte dei centri abitati con un toponomastica
che aveva un occhio di riguardo alla storia o alla caratteristica dei
luoghi. Così a Caccuri ci ritroviamo via Simonetta che celebra un
illustre, forse il più illustre figlio del paese, Cicco Simonetta, via
Murorotto che ci ricorda che la zona a est del paese fu quella nella
quale la cinta muraria che circondava l'antico castro fu la prima a
cedere al degrado e all'abbandono o che via Porta piccola era la strada
per accedere o uscire dal paese attraverso una delle porte che si
apriva a est della cittadina o che la via Buonasera, il cui
toponimo sostituì l'antica Via Principe di Napoli quando i piemontesi
cacciarono dal regno delle due Sicilie i borbone per insediare al loro
posto i Savoia, che quella era la via nella quale, anche dopo la
cacciata dei borbone, si continuava a dare la buona sera ai signori che
al mattino quando i braccanti e i contadini si recavano al lavoro sui
campi dei padroni, dormivano profondamente per cui era impossibile dare
loro il buongiorno. I nomi delle strade del rione Croci, poi, che
ricordano i luoghi e i personaggi della Grande guerra, stanno a
testimoniare che il nuovo rione caccurese nacque dopo il 1919 per
iniziativa dei reduci combattenti che, organizzati nella Lega dei
combattenti reduci, sotto la guida dei popolari di don Sturzo e dei
socialisti, costrinsero i Barracco e il Comune a cedere loro lotti di
terreno compresi tra Munnello e il vecchio abitato di Caccuri per
costruirsi nuove e più comode abitazioni. Nel caso di via Mergoli, per
intitolare la strada e il rione a ridosso, si ricorse, addirittura alla
storia geologica del nostro paese. Per anni mi sono scervellato per
capire l'origine di questo misterioso toponimo. Poi, per caso, facendo
una ricerca di altro genere scoprii un luogo magico, nel Gargano, lo
sperone d'Italia nella bellissima Puglia. Parliamo della Baia dei
Mergoli detta anche Baia delle Zagare apprendendo che i Mergoli sono dei
caratteristici faraglioni, spuntoni di roccia calcarea che emergono
dalle acque e che sono state per millenni sottoposti al lavorio
incessante delle onde. Allora, attingendo ai ricordi ormai lontanissimi
della mia infanzia e chiedendo lumi e riscontri agli anziani, mi sono
ricordato che prima della sistemazione della via Mergoli con la
costruzione di un muro che in quel luogo vi erano alcuni scogli
caratteristici che, circa 250 milioni di anni fa affioravano dalle acque
che cominciavano a ritirarsi dopo aver ricoperto perfino la Serra
Grande. Questi antichissimi scogli, poi nascosti dal muro di
sostegno della soprastante strada, erano i nostri mergoli e da essi
presero il nome la via e il rione soprastanti. Questo quando veramente
il nostro era il paese della cultura. Un vero peccato che in passato,
tanti grandi intellettuali di questo sventurato paese non abbiano
sentito il bisogno di prendere carta e penna e di scrivere un diario,
qualche appunto, collocare qualche lapide e che il primo a lasciare
qualche pagina scritta in un diario sia stato, negli anni 50 del
Novecento, Peppino Gigliotti, un umile fabbro ferraio con la
passione della storia.
IL QUADRILATERO DEGLI
UOMINI ILLUSTRI
di Peppino Marino
Dal
Castello, l'antico palazzo ducale dei Cavalcante, scendendo per via
Salita castello, la via Buonasera (già Principe di Napoli, piazza
Umberto, via Portapiccola, Murorotto, e risalando per via Simonetta fino
a largo MIsericordia si percorrono circa 1.000 passi, poco più di
900metri. Sembra incredibile, ma lungo questo breve percorso, a parte i
rampolli della famiglia Simonetta (Angelo, ambasciatore preso la
gloriosa Repubblica di Venezia, Giovanni, lo storico autore della
Sforziade e il celeberrimo Cicco, diplomatico, cancelliere e segretario
del Duca Francesco Sforza, nacquero anche quattro vescovi, due generali
dell'esercito, due tenenti colonnello e un capitano dei carabinieri, un
erudito abate cistercense, il direttore delle scuole italiane in
Uruguay, notai ed altri uomini illustri.
Nell'antico
palazzo ducale nacquero e vissero i fratelli arcivescovi Francesco
Antonio e Domenico Antonio Cavalcante, presuli rispettivamente di
Cosenza e di Chieti. Nel palazzo De Franco, nacque l'arcivescovo di
Catanzaro Raffaele De Franco, un uomo di chiesa che resse la diocesi
catanzarese in un periodo storico particolarmente turbolento a ridosso
delle vicende risorgimentali subendo anche minacce e ricatti dai nuovi
padroni piemontesi e dai loro ascari locali e al quale la città di
Catanzaro deve davvero molto. A poche decine di metri dal castello visse
il poeta Umberto Lafortuna, autore del volume di racconti e poesie per
l'infanzia Pupille infantili, edito, nel 1930, dall'editore milanese
Trevisini con la prefazione di Giuseppe Lombardo Radice, il più grande
pedagogista europeo del tempo. Nei pressi del palazzo de Franco, a venti
metri dalla casa di Umberto Lafortuna, nacquero anche il professore,
cavaliere Francesco Macrì, direttore delle scuole Italiane in Uruguay
e, nel XVI secolo, mons. Giovanni Carnuto, vescovo di Carinola e poi di
Cerenzia - Cariati e l'abate Cornelio Pelusio, agiografo autore del De
"De Abbatia Florens et eius filiabus", un manoscritto
conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, priore florense e
preside dei Cistercensi di Calabria e Lucania dal 1586 al 1605. In via
Buonasera, proprio sotto la canonica nacquero il tenente colonnello dei
carabinieri Enrico Pio Del Bene, decorato di medaglia d'argento della
Grande Guerra e Comandante della Scuola Carabinieri di Firenze e il
fratello, capitano dei CC. Giuseppe del Bene, comandante della tenenza
di Taormina, padre del calciatore di serie A Pierluigi, terzino del
Napoli e dell'Udinese. In via Buonasera, nacque, nel 1932, il compianto
Vincenzo Sgro, generale dell'esercito, uomo con uno spiccato senso del
dovere e un rispetto profondo per le Istituzioni , un uomo generoso ed
altruista, impegnato nelle associazioni di volontariato. Fu, infatti, il
fondatore della delegazione della Croce Rossa di Palmanova. Era figlio
di mastro Francesco Sgro, priore della Congregazione del Rosario e
nipote di Peppino Sgro, valente ebanista autore della la bara del Cristo
morto custodita nella Chiesa Madre, opera in legno, foderata di velluto
rosso e tempestata di stelle dorate, con quattro angioletti adoranti
agli angoli.
In
via Portapiccola nacque il generale di divisione Antonio Rizzo, l'uomo
che con la cattura di Ras Dastà, genero del Negus, Hailé Selassié,
imperatore di Etiopia, pose fine alla resistenza etiope contro la guerra
di aggressione scatenata dal fascismo. Antonio Rizzo, con le su 27
decorazioni, tra le quali due medaglie d’argento, quattro di bronzo,
quattro croci di guerra, legione d’onore francese, Ordine Militare di
Savoia è ancora oggi il soldato più decorato dell'esercito italiano.
Poco
distante dalla casa di Rizzo nacque e abitò, anche il tenente
colonnello dei carabinieri Umberto Iaconis, medaglia d’argento come
combattente della grande guerra. Nel settembre del 1943, era in sevizio
col grado di capitano a Salerno, Qui lo colse l’armistizio dell’8
settembre 1943, ma il capitano caccurese, a differenza di molti altri
ufficiali dell’esercito e dei carabinieri, non si fece trovare
impreparato. Da qualche giorno era in contatto con una formazione
partigiana salernitana e l’intuito gli suggeriva di stare all’erta,
così quando la mattina del 10 una quindicina di soldati tedeschi
comandati da un ufficiale e armati di pistole mitragliatrici a bordo di
un’autoblinda fecero irruzione nel cortile interno della sua caserma
intimandogli di consegnare le armi, si rifiutò e si dichiarò pronto al
combattimento. I tedeschi, abituati alla facile resa degli ufficiali
lasciati senza direttive dall’imbelle Badoglio e dal re fellone, colti
alla sprovvista, desistettero dai loro propositi e si diedero alla fuga.
Nel
pomeriggio dello stesso giorno, ormai in ritirata, decisero di dare
l’assalto alla filiale del Banco di Napoli ubicata nei pressi del
Teatro Verdi con lo scopo evidente di saccheggiarla ed impossessarsi del
denaro e degli altri beni custoditi nell’istituto di credito. Il
capitano Iaconis e il maresciallo Telesca, con i loro carabinieri e con
il supporto di un gruppo di partigiani, riuscirono a sventare il
tentativo di saccheggio attaccando in armi i tedeschi e mettendoli in
fuga. Il successo galvanizzò militari e partigiani che continuano le
loro scaramucce contro gli invasori nazisti fino al 29 settembre quando
l’intera provincia venne abbandonata dai nazisti. Per questi meriti il
capitano caccurese venne “equiparato, ai sensi del DL 93 del 6
settembre 1946, ai combattenti volontari della libertà quale comandante
di una formazione partigiana dal 9/9/1943 al 26/9/1943 in Salerno.
E' incredibile la
quantità di uomini illustri nati in un quadrilatero di poche centinaia
di metri quadrati che seppero dare lustro e decoro al nostro
paesino che lasciarono, la loro impronta nella storia nazionale e
d europea. se Caccuri diede i natali a tanti grandi e, soprattutto, come
nel caso dei Simonetta, ma anche di altri grandi, artisti, uomini di
lettere, uomini delle Istituzioni la possibilità di formarsi,
evidentemente c'è sempre stato, sin dai tempi antichissimi, un
substrato culturale adeguato. La grandezza di questi
uomini è pari solo all'oblio nel quale li abbiamo lasciati noi
compaesani pese per secoli.
DOVEROSO OMAGGIO A UN GRANDE CACCURESE: IL TENENTE COLONNELLO IACONIS,
UN CARABNIERE CHE ONORO' L'ARMA E IL PAESE.
In questa casa nei pressi dell'antica
Porta Piccola, in una stradina ch immette nel rione Iudeca nacque,
verso la ine del XIX secolo, uno dei più illustri figli della nostra
Caccuri, il concittadino Umberto Iaconis, uomo onesto,coraggioso,
fedele servitore dello stato che si coprì di onore e gloria e diede
lustro e decoro all'Italia e al suo paese natale. il tenente colonnello
dei carabinieri Umberto Iacons, figlio di Giuseppe e di Costanza
Secreto. il "carabinire caccurese", dopo essersi coperto
di gloria nella Grande Guerra e prestato onorevole servizio in Libia e
in Albania, nel settembre del 1943, col grado di capitano, è in
servizio alla compagnia di Salerno. L'9settembre l'Italia, in
guerra assieme alla Germania contro gi Alleati Anglo - Americani,
firma l'Armistizio ponendo praticamente fine alle ostilità. I tedeschi,
sentendosi traditi, occupano in armi parecchie caserme e costringono i
nostri militari a consegnare e armi e ad arrendersi e prendono il
comando delle caserme e delle città italiane dando vita a una feroce
occupazione dl paese che da alleato diventa nemico. Molti soldati e
ufficiali italiani vengono fatti prigionieri e deportati in
Germania nei campi di lavoro, le città saccheggiate e depredate,
gi oppositori al regime fascista e i nazisti passati per le armi sena
distinzione tra a militari e civili. Gli occupanti tedeschi e i fascisti
locali si abbandonano a stragi feroci di civili inermi che insanguinano
il paese da Nord a Sud. La mattina del 10, due giorni dopo la firma
dell'Armistizio, una gruppo di tedeschi armati e a bordo di autoblindo
si presentano al comando dei carabinieri di Salerno con l'intensione di
disarmare i militi e impossessarsi delle armi e della caserma e far
prigionieri i militi, ma il capitano caccurese non si la scia intimidire
e, a differenza di altri militari italiani, non solo si rifiuta di
consegnare le armi, ma , alla testa dei suoi carabinieri, mette in fuga
i nazisti. Poi si unisce a una banda partigiana che operava nella zona
della quale assume il comando e con questi combattenti e con i suoi
carabinieri e coadiuvato dal valoroso maresciallo Telesca, sventa
un assalto dei tedeschi alla filiale del Banco di Napoli nei pressi del
teatro Verdi di Salerno impedendone il saccheggio da parte dei nazisti.
Il successo
galvanizza militari e partigiani che continuano le loro scaramucce
contro gli invasori fino al 29 settembre quando l’intera
provincia viene abbandonata dai nazisti. Intanto il 27 settembre, anche
a Napoli, molti ufficiali, così come aveva fatto il capitano caccurese,
si unirono ai cittadini napoletani e ai partigiani dando vita
all’insurrezione conosciuta come “Le quattro giornate di Napoli”
che portarono alla liberazione della città partenopea ben prima
dell’arrivo degli Alleati e quella di molte altre città italiane.
Per questi meriti il capitano
caccurese venne “equiparato, ai sensi del DL 93 del 6 settembre 1946,
ai combattenti volontari della libertà quale comandante di una
formazione partigiana dal 9/9/1943 al 26/9/1943 in Salerno.”
Successivamente il capitano Iaconis fu promosso prima maggiore e poi
tenente colonnello dei CC.
L'eroico carabiniere caccurese si spense a Roma il 19
settembre del 1956 all'età di 60 anni.
E' molto strano come fino a un paio di anni fa io non abbia
mai sentito parlare di questo eroico carabiniere, combattente per la
libertà, fra l'altro zio materno della nostra amica e compaesana Anno
Gallo e del collega Peppino col quale abbiamo insegnato per anni
nella stessa scuola, famoso a Salerno e in altre città italiane,
ma non nel suo paese. Ho scoperto questo caccurese illustre, uno dei
più illustri, solo per caso facendo alcune ricerche su altri due grandi
carabinieri caccuresi, il tenente colonnello Enrico Pio Del bene e il
fratello, il Capitano Giuseppe, ma si s, i caccuresi non si vantano
volentieri della loro storia, siamo gente modesta.
A me, comunque, piacerebbe che un giorno fosse collocata, sulla facciata
della casa natale del colonnello Iaconis una targa ricordo e che magari
gli venisse intitolato il viottolo che collega Portapiccola alla Iudeca
nel quale la stesse è ubicata e che, mi risulta, senza nome, in attesa
cerco di farlo virtualmente su l'Isola Amena. è tutto ciò che poso
fare, ma lo faccio con gioia e orgoglio.
LA CACCURI DI INIZIO SEICENTO NELLE RELAZIONI ad limina dei vescovi di
cariati
La
terra di Caccuri si bene havea molte chiese curate tutte, non di meno si
sono redotte ad una sola chiesa matrice la quale è servita
dall’Arciprete et altri curati i quali col detto Arciprete hanno la
cura dell’anime per familias; e l’entrate loro sono le decime de’
Parrocchiani le quali sono così tenue che non sono sufficienti appena a
mantenere uno sol curato, per lo che sarebbe forse espediente unir
l’entrate e la cura in un solo arciprete, perché se farebbe il
servitio d’Iddio N. Signore con più frutto dell’anima et il curato
viverebbe con più decenza. Vi sono ancora in detta terra altri
sacerdoti et chierici li quali serveno alla detta chiesa, cappelle,
oratorij e compagnie. Vi è la sola compagnia del Santissimo Sacramento.
Molto
interessante questa relazione di un
dottissimo religioso originario di Castrovillari (ebbe tra i suoi
allievi anche Francesco di Sales) vescovo di Cariati e Cerenzia dal 15
aprile 1602 al 12 dicembre 1618, giorno della sua morte.
Non
conosciamo l’anno preciso della relazione che comunque ci fornisce,
sia direttamente, sia indirettamente preziose notizie sulla Caccuri
dell’inizio del XVII secolo, un secolo che comincia male per un paese
quasi completamente spopolato e in declino. La popolazione caccurese,
infatti, anche in virtù del diploma di Carlo V del 1530 che esentava
dal pagamento di tributi e concedeva gli usi civici a chi costruiva case
e andava ad abitare nel territorio dell’abazia florense retta all’epoca
dall’abate Salvatore Rota, si era trasferita in massa, assieme a
quella della vicina Cerenzia, in quella che poi diventerà San Giovanni
in Fiore. Le tracce di quest’esodo le ritroviamo nelle decine di
cognomi sangiovannesi di origine caccurese come i De Luca, gli Oliverio,
i Pignanelli, i Rao, i Militerno, i Secreto che per errori anagrafici diventano Secreti ed
altri ancora.
In quegli anni i caccuresi
abitanti nel vecchio centro storico circondato ancora dalle antiche mura
e quelli sparsi nelle campagne o che dimoravano nelle grotte di Filezzi
erano appena 800. Molte invece le chiese, come ci fa sapere il vescovo:
la chiesa matrice, la chiesa della Madonna del Soccorso alla quale
l’abate Rota, che oltre a essere il commendatario dell’abazia
florense era anche parroco della parrocchia caccurese di San Nicola dal
1539, aveva regalato la statua della Vergine che difende un fanciullo
dal diavolo, la chiesa di San Marco, ai piedi della Serra Grande, la chiesa di
San Bernardo, a sud est della cittadina, e molte chiese rurali a San
Biagio, Serra del Bosco, a Giachetta con uno stuolo di religiosi
il cui mantenimento gravava sulle spalle di quei poveri caccuresi che
non avevano approfittato delle concessioni di Carlo V ed erano rimasti a
Caccuri, fra l'altro già vessati dai feudatari.
Mons. Maurizio Ricci,
il vescovo che succede a Filippo Gesuaidi ritorna su questo grave
problema e in una nuova relazione alle autorità ecclesiastiche scrive:
“fu parimenti terra insigne, ma hora destrutta per il mal governo
farà 800 anime governata d’un Arciprete et un altro curato, l’entrade
de’ quali sono tenue. L’arciprete anderà a ducati 25 et la cura a
12, vi sono da circa 18 sacerdoti tutti servono la Matrice, ma poveri
perché non vi sono beneficij né hanno patrimonio”, quindi propone
di spostare le rendite e le messe, delle quali godevano i frati
dell’abbazia dei Tre Fanciulli, in favore della matrice anche perché
molte volte le messe in suffragio non venivano celebrate “e dall’altra si levava “quel nido de ladri,”
Tornando alla relazione del vescovo Gesualdi apprendiamo
che vi era una compagnia religiosa intitolata al Santissimo Sacramento
che, evidentemente, assisteva i bisognosi, ma non fa cenno alla congregazione dell’Annunziata
che , probabilmente si era già sciolta. Una settantina di anni
dopo un gruppo di devoti caccuresi darà vita alla Congregazione del
Santissimo Rosario ed edificherà la più bella chiesa del paese.
L’edificazione di questa cappella che fece dopo il 1690 seguito
alla costruzione del palazzo ducale dei Cavalcante che era iniziata nella seconda
metà dello stesso secolo contribuirono a rilanciare un paese morente,
anche se ci vorranno ancora un paio di decenni prima chela popolazione torni
a crescere seppur lentamente.
FRAMMENTI DI STORIA IN UNA POESIA DI GIGLIOTTI
La storia,
come insegnano gli storici di professione, gli addetti ai lavori, non si
costruisce solo con le fonti scritte, i documenti, meglio se provenienti
dagli archivi di Stato, con quelle iconografiche, con quelle orali, ma
anche grazie all'ausilio di fonti letterarie come racconti o poesie. Ve
ne propongo un esempio con una poesia di mastro Peppino Gigliotti,
valente fabbro e presidente della Sezione di Caccuri dei reduci
combattenti della Grande Guerra.
Abbozzo
su qualche cosa di Caccuri
di
Giuseppe Gigliotti
I
Santi abbandonati nel Convento
Solo dei delinquenti siete amanti
E maltrattate i buoni ciecamente
Caccuri
dell’Ottocento
Col suo Sindaco incostante
andava alla rovina totalmente
Vendendo per un nulla Destro e Manco
Del Convento appropriato del Comune
Con tutto l’ortalizio circostante
Don Guglielmo, innamorato pazzo,
invita il Sindaco a mangiare nel Palazzo
Questo
gli fa domanda accarezzando
Questo convento mi piace tanto
Se me lo date. Facciamo la caserma alle finanze.
Fece l’offerta al Sindaco
Del prezzo con tutto l’ortalizio confinante,
prezzo irrisorio , del tutto innominate:
800 lire fabbricato e campo.
Il
Sindaco prontissimo, ridente
Cede a Barracco l’ortalizio ed il Convento;
notaro pronto, vendita effettuata,
il Sindaco ha firmato,
al palazzo Barracco una bella scampagnata.
QUELLA
FERROVIA CHE ASPETTIAMO DA 113 ANNI
In
Calabria la viabilità è ancora allo stato adamitico, senza che ancora
avessero potuto usufruire della più grande scoperta del secolo, la
vaporiera, tutti i nostri paesi che abitano molti chilometri dalla
ferrovia e, per arrivarci, occorre una giornata intera, nella massima
parte attraverso viottoli, burroni e guadando fiumi perché sforniti di
ponti. I prodotti della nostra terra ubertosissima, per mancanza di
viabilità, non possono facilmente trasportarsi alle più vivine piazze
commerciali, quindi la fertilità della terra non è remunerativa per i
nostri contadini i quali, incalzati dalla miseria ed allettati dal
miraggio di una ricchezza per lo più effimera, sono stati e sono
costretti ad emigrare nelle lontane americhe ove, in mezzo a privazioni
e sacrifici inauditi, esplicano la loro attività ricordando, con le
lacrime agli occhi, la patria e il campicello avito.
Francesco Maida, sindaco di Caccuri, 1902
Capita spesso di
sentire qualche amico inveire contro i politici meridionali responsabili
a suo dire della spaventosa carenza di servizi e infrastrutture in
Calabria e in altre regioni meridionali. Certo i politici meridionali
nel corso di 160 anni di storia unitaria hanno grandissime colpe, a
cominciare dal gattopardismo che consenti loro, quasi tutti baroni o
esponenti della nuova borghesia agraria, di mantenere odiosi privilegi
in cambio dell'acquiescenza alla politica di spoliazione e
colonizzazione del Mezzogiorno perpetrata dai "patrioti
liberatori", ma detto questo, bisogna a mio avviso denunciare con
forza la gravissima responsabilità di decine e decine di governi nord
centrici che hanno dirottato gli investimenti per la realizzazioni
delle grandi infrastrutture sempre e solo al nord. Una pratica che è
durata almeno un secolo, ma che dura tutt'ora. Cercare di scaricare la
colpa di questa carenza al malgoverno regionale (che ha
altre e non meno gravi colpe, ma non questa) o, addirittura ai
comuni, magari anche a quelli piccoli, è una mascalzonata e un gettare
nel tritacarne amministratori disonesti e inefficienti e amministratori
capaci, onesti, ma chiamati ad amministrare enti ridotti alla canna del
gas. Ci sono migliaia di provvedimenti o di mancati provvedimenti a
testimoniare le canagliate dei governi, atti ufficiali, non lamentele e
piagnonerie .
Spulciando alcuni antichi documenti mi è capitata tra le mani
una Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 1911 nella quale fu pubblicato un
Regio Decreto del 26 gennaio dello stesso anno sulla "Concessione
della costruzione e dell'esercizio delle ferrovie a scartamento ridotto
di Basilicata e Calabria "stipulata tra i ministri dei lavori
pubblici e del tesoro in rappresentanza dell'Amministrazione dello Stato
e i legali rappresentanti della Società italiana per le strade ferrate
del Mediterraneo" che prevedeva, all'articolo 2, paragrafo g, la
costruzione di una linea ferroviaria Pedace - Cutro - Crotone che
avrebbe toccato tutti i comuni presilani fino a San Giovanni in Fiore e
poi ancora Casino (attuale Castelsilano), Cerenzia, Caccuri, Cotronei,
Petilia, Roccabernarda, San Mauro, Marchesato, Cutro - Scandale,
Papanici, Apriglianello, Crotone e Crotone Porto.
A distanza di 113
anni aspettiamo ancora quest'opera di civiltà, mentre i paesi interni
stanno morendo anche per mancanza di collegamenti ferroviari con le
grandi città della regione e con il resto del Paese. Intanto, non solo
non si è mai realizzata questa grande opera per motivi che non
conosciamo e che cercheremo di scoprire, anche se non è difficile
intuirli in un paese dove ancora oggi, nonostante l'abbattimento delle
barriere doganali, la globalizzazione, la libera concorrenza si
elargisce il "Bonus tricolore" per l'acquisto di auto, ma si
è abolita anche la tratta Cosenza - San Giovanni in Fiore attiva fino
alla fine degli anni 60.
comm' è amaRu stu
ppane
“Ti procurerai
il pane
con il sudore del tuo volto, finché tornerai alla terra dalla quale
sei stato tratto: perché tu sei polvere e in polvere tornerai"
esclamòo un Dio furioso con Adamo per il furto di una mela quando una
mela costava appunto un'ira di dio e prima di prendersela con Eva alla
quale rivolse queste affettuose parole: "Io
moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza;
con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo
marito, ed egli dominerà su di te”.
Ma se fino al secolo scorso a procurare il pane col sudore
del suo volto era l'uomo, chi sgobbava per portarlo in tavola era la
donna. Fino a 60 - 70 anni fa, almeno nei nostri paesi il pane non si
comprava come oggi dal fornaio o al negozio di alimentari o nei
supermercati, ma lo si faceva in casa in quantità tale da durare minimo
un paio di settimane, quando non, soprattutto nelle zone di montagna
spesso innevate, anche un paio di mesi.
Preparare e cuocere il pane era per le massaie una fatica
immane. Le nostre nonne si alzavano di solito nel cuore della
notte, verso le 3 - le 4 del mattino,"sciasciavano"
(toglievano le fasce) al pupo, il pannolino, lo lavavano, lo fasciavano
nuovamente e lo rimettevano a letto, quindi setacciavano la farina col
"crivu" (setaccio), l'impastavano con l'acqua aggiungendovi 'u
criscente"(lievito naturale) che si scambiavano tra loro. Quindi
lavoravano a lungo l'impasto con i pugni chiusi e con le mani e, quando
i polsi erano a pezzi, lo coprivano con una tovaglia di lino e lo
lasciavano lievitare per qualche ora dedicandosi ad altre faccende
a volte ancor più faticose.
Quando la pasta era lievitata era il momento di "scanare",
cioè di formare i panetti dopo avere ripreso e lavorato un po' la
pasta. Intanto avevano già acceso il forno a frasche alimentandolo
continuamente fino a quando la volta e le parenti interne
diventavano completamente bianche. Quello era il momento di pulire
rapidamente il fondo con lo "scupazzu", uno straccio bagnato
legato a una lunga pertica e di infornare le pagnotte. Dopo qualche
minuto la fragranza del pane cotto si spandeva per tutta la casa. Allora
la massaia con la "pala 'e ru fornu" sfornava i pani ancora
caldissimi e con un tovagliolo li ripuliva dalla cenere e li metteva in
una cesta di vimini per poi sistemarli sulla "cannizza" (la
rastrelliera appesa al soffitto). Solo allora, se intanto non si
svegliava il pupo, poteva concedersi giusto qualche attimo di riposo.
Più che sudore della fronte dell'uomo a essere imperlata era quella
della povera donna, soprattutto quando ardeva il forno, "mpornava e
sciornava"
ANTICHE
TASSE
CACCURESI
Una prime tassa caccuresi delle quali abbiamo
notizie, a parte la decima, tassa del 10% sul prodotto a favore del
signore feudale, allo Stato e poi anche alla Chiesa, fu quella di un
tornese (200^ parte di un carlino) per ogni rotolo (kg. 0,89) di
carne o di pesce consumati dagli abitanti della nostra cittadina
istituita nei primi decenni del Cinquecento per finanziare la
costruzione del convento dei domenicani nel luogo detto Lo Casale, poi
nel corso dei secoli la tassazione cambiò più volte fino
all’introduzione del dazio di consumo.
Questo particolare
dazio fu istituito nel luglio del 1864. A riscuotere questo balzello
erano inflessibili ufficiali daziari che giravano per il paese per
controllare qualsiasi attività economica. Il dazio si pagava
praticamente su tutto. Fino agli anni 50 del secolo scorso si pagava
perfino quando si imbiancavano i tuguri nei quali viveva la povera
gente. Qualche tempo fa mi è capitato tra le mani un documento dal
quale si ricavavano le tariffe daziarie del Comune di Caccuri nel 1927
che pubblico a beneficio degli amici visitatori de L’Isola Amena.
PRODOTTO
QUANTITA’
TARIFFA
Vino
1 ettolitro
15 lire
Aceto
1 ettolitro 9
lire
Birra
1 ettolitro
10 lire
Gassosa
1 ettolitro
5 lire
Vitello oltre un anno
30 lire
Cavalli, maiali, asini
19 lire
Maiali oltre 30 Kg
20 lire
Vitello macellato
1 quintale
35 lire
Sego
1 quintale
5 ire
Curiosa questa tassa
sul sego che di quei tempi contribuiva a svuotare le tasche caccuresi;
l’alternativa era rinunciare a fabbricarsi le candele o a ingrassare
le scarpe da lavoro come facevano
UNA CITAZIONE
LUSINGHIERA
Giuseppe Marino, assai lucidamente, in un suo intervento pubblico,
ribatte che le donne del brigantaggio sono semplicemente
“scriccioli!” Scriccioli di donne che il coraggio non lo avevano,
ma se lo andarono a cercare ed ebbero la forza di trovarlo”.
E sta tutta qui, nella raffinata analisi del docente calabrese la
forza e l’unicità delle donne del brigantaggio, proprio nel
percorso di ricerca del coraggio, nella loro capacità di trasformare
l’odio, sentimento che esamineremo più avanti, in azione concreta di
ribellione.
Valentino Romano
Essere citati in un articolo di giornale, in una tesi di laurea, in un
libro fa sempre piacere; se poi a citare un tuo scritto è un
ricercatore, uno storico, uno scrittore del calibro di Valentino Romano
alla mia sinistra in questa foto con Enzo Di Brango, altro grande
storico e scrittore di gran vaglia, la soddisfazione è davvero
grande.
Valentino Romano, ricercatore rigoroso e storico di gran
vaglia, è autore di decine di pregevoli libri tra i quali
Dalle Calabrie agli Abruzzi. Il generale José Borges tra i briganti di
re Francesco II che ricostruisce la storia del tentativo del generale
spagnolo di riconquistare il Regno delle due Sicilie, Nacquero
contadini, morirono briganti. Storie del Sud dopo l'Unità dimenticate
negli archivi, Brigantesse. Donne guerrigliere contro la conquista del
sud (1860-1870) e Brigantaggio e rivolta di classe. Le radici sociali di
una guerra contadina scritto a quattro mani con Enzo Di Brango solo per
citarne alcuni, testi assai preziosi per chi volesse approfondire
lo studio dell'Unità d'Italia nel Mezzogiorno, la nascita della
questione meridionale e la storia del brigantaggio post unitario
contrabbandato spesso per un fenomeno criminale e assimilato al
banditismo, ma generato e alimentato da cause economiche, sociali e
politiche preesistenti la conquista violenta del regno meridionale e
aggravate ulteriormente da una politica scellerata dei colonizzatori
piemontesi. Il rigore scientifico, la serietà nella ricerca, la
puntualità delle sue analisi, l'assenza di enfasi e di retorica
fanno di Valentino Romano uno storico estremamente obiettivo e dunque
attendibile.
NOTIZIOLE STORICHE
di Peppino Marino
Scartabellando vecchie carte si trovano sempre notiziole sulla storia
minuta di Caccuri che intrecciate tra loro, approfondite, vagliate alla
luce di quello che si sa consentono di fare un po’ di luce sul nostro
passato come quando si entra in una stanza buia chiusa da decenni alla
fioca luce che penetra da qualche infisso sgangherato. Poi, pian piano,
a fatica, si riesce ad aprire un po’ le imposte e la luce ci mostra un
pochino meglio all’interno della stanza, vecchie suppellettili,
cianfrusaglie, oggetti che non avremmo mai immaginato di trovare. Ecco,
per me questa è ricerca storica. Così mi è capitato di constatare da
un vecchio documento che nella toponomastica caccurese del 1882 via
Buonasera era indicata come Via Principe di Napoli nella quale era
ubicato il palazzo De Franco. Se non si è trattato di un errore di
qualche impiegato sbadato il nome di Buonasera avrebbe origini molto
meno antiche di quanto abbiamo sempre pensato e che a cambiare il nome
alla strada potrebbero essere stata l’Amministrazione comunale e il
sindaco Guglielmo Barracco per compiacere i nuovi governanti.
Parliamo ovviamente
per ipostesi fin quando non ci capiterà fra le mani qualcosa di più
concreto, L’intitolazione della strada al Principe di Napoli potrebbe
risalire al XV secolo quando già esisteva un nucleo consistente del
centro storico e venne eretta la prima chiesa di Santa Maria delle
Grazie. Quel che è certo è che nelle immediate vicinanze del paese o
all’interno di quello che è oggi l’abitato esistevano
molti toponimi alcuni dei quali scomparsi come Canalagi (scritto con la
g), Cangemi, Sautante, Simigadi, Biamonti, Lenzana, lo Caccazzaro, lo
Casale, Santo Ligorio, lo Funaro, nomi curiosi ma legati a particolari
vicende e caratteristiche del nostro vecchio paesello.
Un particolare interessante: Santu Ligorio, ovvero San Liborio,
era un fazzoletto di terra occupato oggi dalle case del professore
Baldasarre De Marco, da quella di Antonio Loria da parte del cortile
attorno a casa mia, da quello di Bruno e Luigi De Rose e dalla casa di
Antonio Marasco e Rocco Rugiero. Fino
agli anni 30 del Novecento vi era una sorgente e una fontana rudimentale
alla quale i primi abitanti del rione Croci attingevano l’acqua
potabile, un’acqua che anticamente era probabilmente ritenuta efficace
per l’espulsione dei calcoli renali. Da qui l’intitolazione della
sorgente e del luogo al santo francese del IV secolo dopo Cristo
invocato ancora oggi nelle coliche renali.
Negli anni 30 però un ufficiale postale originario di Squillace
prese in fitto la casa oggi di proprietà dei signori Mancuso adiacente
a quella di Vincenzo Fazio (Ciciarone) e costruì un pozzo nero in largo
Montegrappa e da allora la gente smise di bere l’acqua di Santo
Ligorio.
UN PO' DI STORIA DEL BRIGANTAGGIO ANI UNITARIO A CACCURI
di Peppino Marino
Nonostante i tentativi di far passare per briganti e fuorilegge gli
oppositori all'unità d'Italia nonostante i risultati del
Plebiscito per l'annessione evidentemente truccati che in un paese come
Caccuri diedero un risultato unanime (296 si su 296 votanti) nei nostri
paesi ci fu una notevole resistenza con scontri anche violenti, arresti,
condanne, fatti di sangue come dimostra un episodio del 28 gennaio del
1861 e altri di qualche mese o di qualche anno successivi.
Il 28 gennaio 1861 sul monte Gimmella a pochi chilometri da
Caccuri la Guardia Nazionale di San Giovanni in Fiore al comando di
Salvatore Barberio insieme al luogotenente dei carabinieri Leopoldo
Bianchi e al tenente Antonio Ripoli intercettano e arrestano un certo
Domenico Scarcella mentre si reca ad Acquafredda, la frazione divisa a
metà tra i comuni di Caccuri e di San Giovanni in Fiore distante un
paio di chilometri per partecipare a una riunione cospirativa per
preparare una rivolta anti piemontese alla quale era presente il frate
padre Clemente da Sersale noto agitatore filo borbonico. Evidentemente
lo Scarcella, non resse al sommario interrogatorio e confessò lo scopo
della sua presenza sul monte presilano in una giornata freddissima.
Carabinieri e Guardia Nazionale accorsero ad Acquafredda, ma non
trovarono nessuno per cui dopo un pò si avviarono per rientrare a San
Giovanni. Ancora una volta a Gimmella, mentre infuriava una tormenta si
imbatterono in tre individui intabarrati che si aggiravano per il bosco.
Due vennero catturati mentre il terzo riuscì a dileguarsi nei boschi
innevati mentre il vento soffiava gelido e impetuoso. Qualche tempo dopo
si seppe che l'uomo che sfuggi alla cattura era proprio il capo della
resistenza duosiciliana della zona.
Due giorni dopo,
il 30 gennaio, un gruppo di "briganti" probabilmente com' era
stato stabilito nella riunione di Acquafredda penetrarono nel territorio
di Caccuri. La loro presenza vene segnalata nelle campagne di Arghili,
Vattinderi e Lauro. Ancora una volta accorrono carabinieri e Guardia
nazionale, ma dei partigiani non fu trovata alcuna traccia.
L'attività di cospirazione, facendo leva sul malcontento della
popolazione e sugli abusi e sulle violenze delle forse della
repressione, diede i suoi frutti.
Il sette
luglio dello stesso anno, nel cuore della notte, la popolazione di
Caccuri insorse e issò una bandiera borbonica sul campanile della
chiesa di S. Maria delle Grazie. La guardia nazionale, a comando di
Antonio Abruzzini, riuscì a sedare la rivolta e chiese l’aiuto
dell’esercito. La mattina dopo, una colonna mobile dell’armata
nazionale, al comando del tenente Magni, entrò in paese per scoraggiare
eventuali nuovi tentativi insurrezionali, ma il clima era davvero caldo
e l’ufficiale chiese ancora la collaborazione della guardia nazionale
di San Giovanni in Fiore. Qualche giorno dopo, il 16 luglio, nel cuore
della notte, i rivoltosi caccuresi sorpresero e massacrarono le guardie
doganali Celestino Cefalone, Antonio Papa, Angiolo Angiolillo De
Maria e Michele Domenico Addari.
Le guardie doganali, allocate il un casolare di
località Troncone dal quale vigilavano sulle cave di salgemma che i
caccuresi e gli abitati della vicina Cerenzia e di Verzino utilizzavano
per condire i loro poveri piatti e per le conserve alimentari erano per
questo particolarmente odiate perché per ordine dei nuovi padroni
piemontesi si vedevano privati anche di questo diritto. Tre anni dopo,
scoppiò una grande rivolta di polo alla quale parteciparono centinaia
di persone di Caccuri e di Cerenzia che armati di fucili, coltelli,
accette accorsero in località Vasalicò, occuparono la cava di salgemma
e cominciarono a estrarre il salgemma. All'arrivo delle guardie
aggredirono il sottobrigadiere Ferrini e il comandante ordinò di aprire
il fuoco. Dopo la prima scarica caddero a terra il mugnaio
caccurese Gennaro Pisano di
Vincenzo di 30 anni e Salvatore Secreto, anch’egli caccurese. Il
Pisano, colpito da diverse fucilate, apparve subito il più grave fra i
due. La reazione delle
guardie convinse gli insorti a desistere e ad abbandonare il sale che
avevano già raccolto. I due, feriti
molto gravemente, furono trasportati a Caccuri. Il Secreto sopravvisse,
ma il Pisano, giunto in contrada Acquacalda, spirò.
Fra i caccuresi denunciati e poi processati figuravano
anche Rocco
Scigliano fu Pietro, Nicola, Giovanni e Michele Pasculli fu Savino,
Francesco Antonio Falbo di Agostino, Salvatore Silletta,
Francesco Falbo di Gregorio, Giuseppe Gigliotti fu Luigi,
Raffaele Secreto fu Rocco, Maria
Lucente fu Giacomo, Scolastica Rao, Stefano Pirito fu Vincenzo,
Salvatore Secreto fu Giuseppe, Angela Maria Falbo, Rocco Perri fu
Carmine, Saverio e Domenico Guzzo fu Lorenzo, Raffaele Falbo di
Agostino, Giuseppe Oliverio fu Benedetto e Gaetano Caputo.
MAESTRANZE CACCURESI
Ho avuto modo di sottolineare più volte la pluralità
delle fonti nella ricostruzione della storia. La fotografia è una delle
più importanti tra quelle primarie e quella di oggi ne è un esempio
lampante. Questa eccezionale foto fu scattata nel 1956 in contrada
Pitera dell'agro di Catanzaro, nella proprietà del dottore Stanislao
Pitaro dove erano in corso, a giudicare dalla numerosa maestranza,
imponenti lavori di ristrutturazione di qualche masseria. Il
dottore Pitaro, caccurese, fratello dell'arciprede don Peppino, si
affidò a capimastri di fiducia del suo paese i quali a loro volta si
portarono dietro manovali che conoscevano e che avevano avuto già alle
loro dipendenze. Alcuni erano figli d'arte nel senso che seguivano le
orme dei padri e dei nonni. Andiamo a conoscerli uno per uno.
Il numero 1, a sinistra, è Angelo Ventura conosciuto in paese
come Micuzzu 'u biunnu ovvero il figlio del Biondo, alias Luigi Ventura
al quale era stato dato questo soprannome per il colore dei capelli.
Il numero 2 era mastro Enrico Aggazio, muratore, figlio d'arte.
Domenico Aggazio, il padre, era anch'egli muratore e aveva lavorato, nei
primi anni del secolo, alla costruzione del palazzo del dottore Pitaro a
Sant'Andrea sotto la guida di mastro Vincenzo Tangani, famoso capomastro
cerentinese che aveva
lavorato a lungo a Buenos Aires acquisendo fama e professionalità. Enrico
aveva sposato la figlia di Gregorio Battigaglia, un altro bravo
scalpellino originario del Catanzarese.
Il numero 3 era il muratore Ercole Mangone. Rimasto orfano di
padre, la madre sposò in seconde nozze Angelo Ciorra, un finanziere di
Minturno in provincia di Latina che prestava servizio come guardia di
finanza nella caserma di Caccuri. Quando andò in pensione Ciorra si
mise a fare il banditore (jettabannu) in concorrenza con il carabiniere
in congedo Giovanni Marullo dando luogo a scontri verbali che erano dei
veri e propri siparietti da avanspettacolo per la la gioia dei
giovani caccuresi che se la spassavano senza nemmeno dover pagare il
biglietto. Ercole aveva sposato Emilia
Caputo sorella del vigile urbano Gigino Caputo . Nei primissimi anni 50
si costruì una casa in via Vittorio Veneto attualmente di proprietà di
Pierino Falese, ma dopo qualche anno emigrò a Roma con tutta la
famiglia e non fece più ritorno a Caccuri.
Il numero 4 era Antonio Pitaro, anch'egli muratore e
parente del dottor Stanislao.
Il numero 5 era un personaggio importante essendo stato,
fra l'altro, per molti anni il priore della Congregazione del Rosario di
Caccuri. Si tratta del capomastro Francesco Sgro, figlio di Vincenzo,
muratore classe 1860 che emigrò a Rosario in Argentina dove lavorò
nell'edilizia e nel 1929 fece ritorno a Caccuri. Mastro Francesco era
il padre
del generale di brigata Vincenzo Sgro, fratello di Peppino,
falegname ed ebanista che realizzò la bara del Cristo morto che si
conserva nella Chiesa Madre e dell'ostetrica Checchina.
Il numero 6 era il giovanissimo Limo Mangone, figlio di mastro
Ercole, mentre il numero 7 è il nostro amico Salvatore Lacaria che non
ha certo bisogno di presentazione.
Il numero 8 era un altro nostro paesano poi emigrato in America con
la famiglia. Si tratta di Francesco Lacaria detto Ciccillu 'u
capurale perché figlio del caporale Salvatore, quindi fratello di
Carolina e Stella Lacaria. Ciccillo per qualche anno gestì la pompa di
benzina in piazza che aveva rilevato da Salvatore Blaconà ceduta poi al
cognato Francesco Loria che da Blaconà aveva acquistato il forno e da
questi a Antonio Noce meglio conosciuto come Vincenzo.
Il numero 9 era Francesco Drago, rampollo di una famiglia di
maestri scalpellini originaria di Serra San Bruno trapiantatasi poi a
Caccuri. I Drago erano dei veri artisti della pietra chiamati a Caccuri
dal barone Barracco per scolpire i graniti e la pietra tufacea
adoperata per la ristrutturazione del vecchio palazzo ducale dei
Cavalcante trasformato dall'architetto napoletano Adolfo Mastrigli in
una graziosa imitazione di un castello con l'aggiunta di una torre
cilindrica e un bastione merlato. Il padre Vincenzo e lo zio mastro
Giannino si stabilirono a Caccuri, Vincenzo per sempre, mentre Giannino
dopo qualche anno sposò una ragazza di Badolato e si trasferì nel
paese del Catanzarese dove lasciò la sua impronta di grande
maestro.
Il numero 9 era il compianto Pasquale Noce che, ancora giovane,
emigrò nel comasco assieme al fratello Peppino dove fondarono una
rinomata imprese edile che costruì centinaia di case e palazzi.
Il numero 11, infine, era il fabbro Giuseppe Pisano che negli
ultimi anni, prima di trasferirsi con la famiglia ad Acri, aveva la
forgia sotto la piazza .
Grandi artigiani quelli nella foto: muratori, fabbri,
carpentieri, scalpellini altamente specializzati come tanti altri
caccuresi, maestranze di un paese che nei secoli ha prodotto sempre
grandi artisti e manodopera specializzata. Basterebbe pensare ai maestri
campanari, ai Trocino, eccellenti ebanisti che scolpirono pergami e
scanni corali in diverse chiese del Crotonese, al famoso mastro Peppino
Gigliotti, il fabbro ferraio richiestissimo dai nobili e borghesi della
provincia ed altri ancora. Una grande fortuna per Caccuri, ma,
paradossalmente, anche una delle cause del suo declino demografico.
Quando nei primi anni 60 riprese la grande ondata migratoria moltissimi
meridionali presero la via del Nord. Per quei paesi nei quali non
c'era una manodopera altamente specializzata si trattò di una
emigrazione stagionale per cui molti lavoratori tornarono a casa, ma
quelli caccuresi, grazie alla loro specializzazione, riuscirono a
trovare lavori qualificati, posti di lavoro stabili, fecero
fortuna e rimasero per sempre al nord o nei paesi europei
ACCADDE
OGGI:IL
15 GENNAIO 1935 MONS.
CARNUTO è IL NUOVO
VESCOVO DI CERENZIA E CARIATI
Il
15 gennaio 1535 il caccurese mons. Giovanni Carnuto viene trasferito
dalla diocesi di Carinola in provincia di Caserta a quella di Cerenzia e
Cariati.
L’antica
Diocesi di Carinola (Calinensis o Carinolensis) comprendeva i
comuni di Carinola, Mandragone e Falciano e le numerose frazioni del
paese sede della diocesi. Fu affidata al vescovo caccurese dal 21ottobre
del 1530 fino, appunto, al 15 gennaio del 1535 quando gli subentrò il
vescovo Taddeo Pepoli.
Approfondendo
le ricerche su questo presule del XVI secolo ho scoperto alcune curiosità
. Gabriele Barrio, lo storico calabrese contemporaneo del vescovo,
nel XXII capitolo del Libro IV della sua opera più nota, il De
Antiquitate et sutu Calabriae del 1571 pubblicata una trentina di anni
dalla morte del religioso, scrive che “Fuerunt ex Cacurio alii viri
celebres” tra i quali “Ioannes
Carnutus, ex Episcopo Carinolensi Episcopus Geruntinus et
Chariatensis anno 1535”, ma secondo Wikipedia mons. Carnuto era
in realtà di origine spagnola e sarebbe nato a Gerona, una città della
Catalogna nella quale pare abbia esercitato per qualche tempo il
ministero sacerdotale. Il
Barrio dice che era di Caccuri, ma non precisa se nacque a Caccuri . Se
fosse davvero di origini spagnole potrebbe essere capitato nel nostro
paese nei primi anni del XVI al seguito delle truppe e dei funzionari
spagnoli inviati nella nostra regione che faceva parte del Viceregno di
Napoli come sacerdote prima che papa Clemente VII lo nominasse vescovo
della cittadina campana, anche se la cosa mi pare improbabile. A questo
punto, non disponendo di altri riscontri non mi sento di escludere le
origini spagnole, ma tra Wikipedia e Gabriele Barrio che, fra l’altro,
forse conobbe anche di persona il vescovo in questione, mi fido più
dello storico di Francica
anche perché l’enciclopedia on line, stranamente, mentre
liquida come inattendibile la
presunta origine caccurese del prelato perché non supportata da
opportuno riscontro bibliografico, pur citando il testo del Barrio,
evita di però di citare fonti e riscontri bibliografici che ne
dimostrerebbero le origini catalane.
Quel
che è certo è che il 15 gennaio del 1535 papa Paolo III lo trasferì
alla Cattedra cariatese alla quale era stata aggregata anche
l’antichissima diocesi di Cerenzia. Nove anni dopo il suo
trasferimento a Cariati, nel luglio del 1544 i pirati saraceni, sotto la
guida del corsaro Khayr
Al Din più noto come Barbarossa, assaltarono la cittadina e
catturarono decine di persone tra le quali mons. Carnuto e le
deportarono ad Algeri dove il presule caccurese morì l’anno dopo in
cattività.
ACCADDE
OGGI: L'8
GENNAIO DEL 1690 CONCESSA L'AUTORIZZAZIONE A COSTRUIRE "LA
CONGREGA"
L'8 gennaio del 1690 è la data ufficiale della fondazione della
Chiesa del Santissimo Rosario meglio conosciuta a Caccuri come la
"Congrega". E' in questa data, infatti che il Padre
Provinciale dei Predicatori concede l'autorizzazione a un gruppo di
confratelli caccuresi della Congregazione del SS. Rosario, Francesco
Saverio Bonaccio, Orazio Antonio Novello, Filippo e Francesco Mele e
Santino Falbo di erigere una cappella consacrata alla Vergine del
Rosario in una stanza del Convento dei Domenicani proprio all'entrata
del chiostro aderendo alla richiesta di qualche mese prima in cambio del
pagamento da parte dei confratelli di 15 carlini annui da destinare alle
elemosine.
Ottenuta l’autorizzazione i confratelli si misero
subito all’opera e, grazie anche alla munificenza dei Cavalcanti, la
cappella si arricchì sempre più di capolavori dell’arte barocca,
sculture e quadri. Particolarmente sensibile e generoso si mostrò don
Antonio Cavalcanti, figlio primogenito del duca Don Marzio che rinunciò
alla successione per farsi cavaliere di Malta e che convinse il padre a
donare alla Congregazione, con un atto del 4 gennaio 1750 stilato nel
castello di Caccuri e controfirmato dal suo segretario Diego Guarascio,
che era anche il sindaco dell’epoca, il ricco terreno denominato
Vignali a sud est della cittadina. Ciò gli valse una epigrafe in latino
che è possibile ancora leggere sugli scanni corali della chiesetta e
che ci informa che “tutto ciò che si vede nel tempietto fu condotto a
termine dal frate dominicano Antonio Cavalcanti, nell’Anno del Signore
1753, in voto alla Vergine del Rosario perché la si possa lodare.” (1)
Nel 1824 la Congregazione implorò il Papa affinché
concedesse l’indulgenza plenaria per coloro i quali visitavano la
chiesa nei giorni delle feste principali e in tutte le domeniche
dell’anno. I confratelli chiedevano inoltre che questo privilegio
fosse perpetuo ed applicabile “pur in suffragio delle anime del
Purgatorio”.
Il Papa Leone XII, il 24 luglio dello stesso anno, su
sollecitazione del cardinale Nava, concesse il privilegio. Infine,
qualche anno dopo confratelli chiesero al Santo Padre di “voler loro
accordare la partecipazione ai privilegi che si godono dall’ordine dei
Predicatori, quantunque vengano diretti nello spirituale dai Religiosi
riformati, venendo raccomandati dal proprio ordinario coll’attestato
che si umilia qui annesso.”
Anche quest’ultimo privilegio venne concesso dal papa
Gregorio XVI° il 27 marzo del 1835. Il nome dei confratelli trapassati
dal 1835 al 1860 venivano annotati in un registro conservato nella
stessa chiesa. Il lunedì di Carnevale, poi, sempre nella stessa
chiesetta, veniva celebrata una messa in loro suffragio con la presenza
sull’altare dei teschi di alcuni defunti tra i quali quello dello
stesso fondatore Antonio Cavalcanti. Questa singolare tradizione rimase
in vigore fino alla metà degli anni ’50 quando la Congregazione fu
sciolta.
La piccola , splendida chiesa è adornata da un
altare barocco con tela raffigurante la Vergine del Rosario e S.
Domenico inginocchiato ai suoi piedi nell’atto di ricevere dal
Bambinello, che è in braccio a Maria, il rosario. Si tratta di una
rappresentazione unica nel suo genere in quanto non vi è raffigurata, a
differenza di molte altre tele simili, S. Caterina che invece compare in
una riproduzione del quadro sulla volta della stessa scappella. Ai lati
dell’altare, in due nicchie, sono custodite le statue
dell’Addolorata e della Madonna dei Fratelli. Sulla volta sono
rappresentate scene del vecchio testamento. All’interno degli scanni
corali, come è già stato detto, vengono custoditi i teschi dei
confratelli defunti recuperati, agli inizi del XIX secolo dalle fossae
mortuorum.
A
PROPOSITO DI TURDILLI E PIZZULIONI
Ieri si parlava di turdilli e di pizzulioni, due dolci completamente
differenti, ma spesso confusi tra loro. Da quando iniziano i miei
ricordi li avrò visti preparare migliaia di volte, fra l'altro per
quanto riguarda i pizzulioni ho sempre avuto nelle orecchie una sorta di
tormentone di nonno Saverio Chindamo usato a mo' di affettuoso sfottò,
mentre nonna Maria Scigliano ne preparava a quintali per nonno Peppino
che li accompagnava col suo generoso vino. Quando ho sentito chiamare i
turdilli col nome di pizzulioni per qualche attimo ero andato in pallone
arrivando a dubitare della mia lucidità, poi, oltre ad avere consultato
alcuni vecchi amici caccuresi, ho fatto una breve ricerca su google
scovando decine di siti con video, ricette e curiosità sui turdilli
chiamati in alcuni posti anche crustuli. Per gli amanti di questi
squisiti dolci tipici calabresi (e caccuresi) riporto alcuni link
dedicati appunto ai turdilli.
https://nonnacalabrese.it/blogs/ricette-della-nonna-calabrese
https://www.youtube.com/watch?v=KINMOnvS12A
https://www.youtube.com/watch?v=MTFCccuRmdA
https://www.youtube.com/watch?v=arlKpkRpWCc
https://blog.giallozafferano.it/semplicecucinare/turdilli-calabresi/
https://ricette-utenti.cookaround.com/turdilli-calabresi.html
SUA
MAESTà 'A PITTA 'MPIGLIATA
Ed eccola anche per quest'anno
Sua Maestà la pitta 'mpigliata, la regina dei dolci natalizi le cui
origini si perdono nei millenni. Secondo
alcuni storici era conosciuta già ai tempi della Magna Grecia e
costituiva il "pane dei marinai" nelle lunghe e
perigliose navigazioni per il Mediterraneo. Poi nel corso dei secoli ha
iniziato la sua penetrazione verso l'interno quando gli scambi
commerciali tra le popolazioni magno greche e gli abitanti delle zone
montuose della Calabria si intensificarono finendo per diventare il
dolce caratteristico della Presila, da Petronà fino ad Acri e
Longobucco, anche se alcune leggende metropolitane ne fanno risalire
l'origine a qualche secolo fa. Quel che è certo, al di là delle favole
e dei tentativi di "appropriazione
del brevetto" è che da almeno un millennio questo dolce calabrese
troneggia sulle nostre tavole natalizie per addolcire le nostra
esistenza assieme ai turdilli, ai pizzulioni, alle crucette e alle altre
leccornìe che le nostre antenate si inventarono utilizzando
ingredienti tipici della società contadina.
CRISTO
è ANCORA FERMO A
EBOLI E A VOLTE RISALE LA PENISOLA
"Cristo
non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima
individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti,
la ragione e la Storia"
Queste considerazioni di Carlo Levi riferite all'Aliano degli anni 30
del secolo scorso, il paese ne quale il medico e pittore torinese fu
confinato dall'infame regime fascista sono ancora valide per molti paesi
e città del Mezzogiorno, fatti salvi alcuni inevitabili piccoli
progressi indotti più dalla tecnologia che dall'avvedutezza e dalla
saggezza dei nostri governanti. Basti pensare,
per fare un esempio che Matera, uno dei 107 capoluoghi di provincia
italiani, a distanza di 194 anni dall'invenzione della locomotiva di
Stephenson, non conosce ancora il treno. Ancora oggi i nostri
sgovernanti continuano a penalizzare pesantemente il Sud rubandogli
tutto ciò che si può rubare per dirottarlo al Nord.
Le foto furono scattate in occasione di una visita ad
Aliano negli anni 70 con mio cugino Saverio e Pino Pasculli nei luoghi
tanto amati da Levi che riposa nel cimitero del paesino lucano.
EROI CACCURESI
In questo giorno nel quale in molti
paesi e città d'Italia si commemorano i caduti in guerra, il pensiero
commosso va ai tanti giovani caccuresi periti nel corso dei due
spaventosi conflitti mondiali o caduti compiendo il loro dovere in
operazioni di polizia anche in tempo di pace. Un saluto deferente anche
agli eroi caccuresi decorati per il loro valore alcuni dei quali
sacrificarono la giovane vita nell'adempimento del dovere.
DECORATI
CACCURESI
MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE
Vincenzo
Ambrosio, tenente, caduto a Nivice (Albania) il 10 marzo 1941
MEDAGLIA
D'ARGENTO
Giovanni
Dardani, carabiniere deceduto il 10 maggio 1946 presso l’Ospedale
militare di Palermo a seguito di un conflitto a fuoco con la banda
Giuliano, medaglia d’argento alla memoria
Umberto Iaconis, tenente cpl, Guerra 1915-18 per meriti di guerra
Maurizio Sgro, bersagliere, per l’azione al Passo di Sesis 11-14
giugno 1915
Antonio Rizzo, maggiore dell’esercito, 151 Reggimento fanteria – 2
medaglie d’argento
MEDAGLIA DI BRONZO
Luigi Pizzuti, caporal maggiore 24° Reggimento artiglieria da campagna
Guerra 1915-18, medaglia di bronzo al valor militare
Antonio Rizzo, generale di divisione, 2 medaglie di bronzo per
operazioni di polizia coloniale
Peppino Del bene, tenente dei carabinieri, Adrano (CT) 30-12-1947 per
brillante azione investigativa
Vi
sono poi una serie di croci di guerra guadagnate da tenti altri soldati
caccuresi per il valore dimostrato nelle due guerre mondiali, legioni
d’onore concesse al generale Rizzo, medaglie ricordo in oro ai
seguenti soldati della Grande Guerra
1) Francesco De Marco, via Chiesa
2) Enrico Del Bene, tenente colonnello cc
3) Giovanni Falbo, via Destra
4) Giovanni Guzzo, contrada Annunziata
5) Salvatore Lacaria, viale del Re
6) Francesco Olivito, via Portapiccola
7) Rocco Rao, fraz. Santa Rania
ACCADDE
DOMANI: 2 NOVEMBRE 1918 NASCE Antonio
Fazio
Francesco Antonio Fazio, maestro
elementare, artigiano poliedrico, pittore e scultore versatile, nacque a
Caccuri il 2 novembre del 1918. Dal padre Vincenzo, falegname,
idraulico, fotografo, testimone prezioso di fatti e personaggi della
Caccuri degli inizi del XX° secolo, ereditò l’ingegno multiforme e
la curiosità tipica di chi vuole scoprire l’essenza delle cose, di
chi vuole capire e conoscere la realtà per piegarla a sé, riprodurla e
riproporla alla luce della propria esperienza e della propria sensibilità.
E Antonio (Totò come lo chiamavano affettuosamente) a questo studio, a
questa ricerca, portata avanti con tenacia, ma anche con umiltà,
dedicò molti pomeriggi della sua breve esistenza quando, tornato
da scuola, si tuffava nel suo laboratorio al piano terra di un palazzo
di Crotone per creare i suoi capolavori.
Trascorsa
la fanciullezza a Caccuri, Fazio si iscrisse all’istituto magistrale
di Cosenza e, nel 1939, conseguì l’abilitazione presso il Regio
Istituto Magistrale di Vibo Valentia. Frequentò poi l’Istituto
Orientale dell’Università di Napoli sostenendo anche alcuni esami, ma
nel febbraio del 1941, dovette interrompere gli studi a seguito dello
scoppio della guerra. Fu quindi mandato in
Africa, a Tunisi ove giunse in aereo il 20 febbraio del 1943 per essere
aggregato, col grado di sergente, al 1° Battaglione semovente del 33°
Reggimento carristi, ma, dopo tre mesi, fu catturato dagli Inglesi e
trasferito nel campo di prigionia di Casablanca dove trascorse tre anni.
Tornato in patria nel 1946, insegnò nella scuola elementare di Caccuri
per alcuni anni prima di trasferirsi a Crotone.
Antonio Fazio
aveva davvero un ingegno finissimo; sapeva dipingere, scolpire, lavorare
di intarsio, costruire splendidi mobili, fondere i metalli e si
intendeva di meccanica di precisione. Non v’era apparecchio che non
sapesse smontare, riparare, riadattare, dagli orologi agli accendini,
dagli strumenti di misurazione agli elettrodomestici, ai motori. Questa
sua versatilità gli tornò utilissima durante la prigionia, grazie ai
molteplici lavoretti che faceva per gli Inglesi che gli accordarono, in
cambio, numerosi privilegi.
Già
nel periodo in cui insegnò a Caccuri, ma, soprattutto nel periodo
crotonese, il maestro Fazio ebbe modo di dar libero sfogo all’estro e
alla creatività nei pomeriggi liberi che la professione di insegnante
gli lasciava creando una grandissima quantità di opere d’arte,
quadri, sculture, cassapanche, specchiere intarsiate, tavoli, colonne
per vecchie pendole che arredano le sontuose case di decine di
professionisti crotonesi . E questi capolavori Totò Fazio, il generoso
Totò, li realizzava gratuitamente, senza nulla pretendere in cambio per
il solo gusto di dare libero sfogo a quella grande creatività che lo
divorava come una febbre e che chiedeva prepotentemente di
estrinsecarsi.
Nel 1960
l’artista caccurese donò alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie del
suo paese di nascita la statua lignea di San Luigi, forse una delle sue
opere più rappresentative, destinata a ricordare nei secoli questo
grande, umile artista caccurese.
Si spense
prematuramente a Crotone il 17 agosto del 1976.
'U PI Pò
Quand'eravamo fanciulli, ormai un secolo fa, non esistevano gli
smartphone, i trenini elettrici, le macchinine telecomandate e le altre
diavolerie tecnologiche di oggi, figuriamoci ai tempi dei nostri nonni o
dei nostri bisnonni, Allora i giocattoli te li dovevi inventare, a volte
addirittura immaginare con la fantasia. Così una canna si trasformava
magicamente in un cavalluccio sul quale galoppavamo nelle campagne
intorno al primo nucleo del rione Croci, con la stessa canna e con un
po' di spago ci costruivamo un
fucile che produceva un botto simile a una fucilata e altro ancora. Non
essendoci ancora i parchi giochi ci costruivamo da soli anche
l'altalena, con un pezzo di tronco o un vecchio bidone per fulcro
e una tavola facilmente reperibile in uno dei tantI "cantieri"
aperti per la costruzione di qualche nuova casa.
L'altalena aveva un nome curioso inventato dai nostri nonni
o forse dai bisnonni, chissà: pi pò, una sorta di suono onomatopeico
che si rifaceva al movimento altalenante dell'apparecchio di fortuna: pi
a scendere e po' a salire. Ne avevano di fantasia i nostri antenati!
GRAMSCI COME NINCO NANCO
?
"E Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
e si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale", canta Eugenio
Bennato in una ballata dedicata al brigante lucano. Versi
quelli del musicista e meridionalista napoletano che richiamano alla
mente la requisitoria del pubblico ministero Miche Isgrò al processo
contro Gramsci: "Dobbiamo impedire a questo cervello di
funzionare." Anche Gramsci, infatti, come Ninco Nanco avrebbe
"potuto dire ancora qualcosa di meridionale come queste
considerazioni tratte da I Quaderni Meridionali:
"La
miseria del Mezzogiorno era inspiegabile storicamente per le masse
popolari del Nord; esse non capivano che l'unità non era avvenuta su
una base di uguaglianza, ma come egemonia del nord sul Mezzogiorno nel
rapporto territoriale città campagna, cioè che il Nord concretamente
era una "piovra" che si arricchiva alle spese del sud e che il
suo incremento economico-industriale era in rapporto diretto con
l'impoverimento dell'economia e dell'agricoltura
meridionale."
Figuriamoci se si poteva lasciare libero di pensare e
di agire un pericoloso sovversivo come questo, fra l'altro di
origini terroni!
PAGINE DI STORIA CACCURESE: IL MASSACRO DELLE GUARDIE DOGANALI
Il 16 luglio
del 1861 il popolo caccurese era in guerra contro le forze
dell'ordine del neonato Regno d'Italia. La rivolta era scoppiata nove
giorni prima, il 7 luglio quando i partigiani caccuresi issarono una
bandiera del Regno delle due Sicilie sul campanile della chiesa madre.
Era i segnale che tutti aspettavano per attaccare i nuovi gendarmi,
spesso aguzzini passati prontamente al servizio dei vincitori come
succede ogni volta che si verificano sconvolgimenti e che per questo
cercavano da veri ascari di mostrarsi con la loro ferocia zelanti e
fedeli ai vecchi e ai nuovi padroni tra i quali nobili e borghesi,
gattopardi che rifacevano esattamente quello che avevano fatto i loro
padri e i loro nonni al tempo di Murat per impadronirsi di quelle poche
terre demaniali o di comunità religiose che i rapaci francesi non
avevano fatto in tempo a vendere loro per pochi spiccioli. Numerosi
documenti dimostrano come in questa specifica vicenda le forze della
repressione ricevano ordini e consigli proprio da questi signori.
Nonostante l'ingente spiegamento di soldati agli ordini del tenente
Magni e di uomini della guardia nazionale di Caccuri e di San Giovanni
in Fiore, a distanza di nove giorni non si era ancora riusciti a domare
la rivolta anche perché quasi contemporaneamente erano insorte la
vicina Cotronei, Altila e Belvedere di Spinello.
Tra le forze impegnate nella repressione della resistenza
duosiciliana più odiate, oltre agli "squadriglieri degli agrari e
agli agenti della Guardia nazionale ritenuti traditori della loro patria
figuravano i bersaglieri e i doganieri. Quest'ultimi erano impiegati per
impedire alla povera gente di raccogliere un po' di salgemma, un sale
minerale privo di iodio fra l'altro pericoloso per la salute, nelle cave
di Vasalicò tra il comune di Caccuri e quello di Cerenzia per
salare le pietanze o per conservare gli alimenti. Il governo del
"re galantuomo" e del padre della patria ragioniere Cavour che
doveva saccheggiare le ricchezze del Sud per ripianare la montagna di
debito pubblico del Regnetto di Sardegna aveva bisogno anche di quelle
poche lire che poteva ricavare rubando ai meridionali, alla povera gente
perfino il sale per condire un pomodoro fresato o un'insalata di
portulaca. Logico che l'odio della popolazione verso gli incolpevoli
doganieri che impedivano loro perfino di condire i fagioli era feroce,
perciò nella notte gli insorti caccuresi attaccarono le guardie
doganali e ne massacrarono 4. Morirono così nello
scontro
le guardie doganali a piedi Celestino
Cefalone, Antonio Papa di 50 anni, Angelo Angiolillo De Maria di
anni 48 e Michele Domenico Addari di 46 anni. Fortunatamente la reazione
degli invasori e dei loro manutengoli locali non si mostrò spietata
come in altre occasioni; per molto meno, infatti, furono distrutti altri
paesi come Pontelandolfo, Casalduni, la stessa Belvedere Spinello e la
loro popolazione massacrata.
ACCADDE
OGGI: MURAT
SOPPRIME IL CONVENTO DEI DOMENICANI
Il 7 luglio del 1809, con un decreto
del nuovo re di Napoli Gioacchino Murat, veniva soppresso il convento
dei domenicani di Caccuri e le poche tomolate di terra dalle quali i poverissimi
frati che lo abitavano, a dispetto della famosa
massima "durici monaci tririci porci", non riuscivano a
ricavare nemmeno il loro sostentamento, furono espropriate e rivendute
ai borghesi locali. Il convento caccurese, che non ospitò mai più di
otto monaci era così povero che i religiosi non riuscirono mai nemmeno
a trovare i soldi per completare il campanile e le generose offerte dei
Cavalcante vennero tutte utilizzate per arredare la chiesa di Santa
Maria del Soccorso con statue e altari. Caduto Murat e tornati sul trono
i Borbone nel 1833 l'antico convento fu riaperto, questa volta ai francescani riformati,
ma i religiosi non riebbero mai più le terre e i poveri beni
espropriati fin quando non arrivarono i Savoia che lo chiusero
definitivamente. Il monastero, comprese le rimesse, fu venduto ai
Barracco, mentre la chiesa del Soccorso rimase di proprietà della curia
arcivescovile che non se ne curò mai rimanendo di fatto nelle
disponibilità dei Barracco. Quando questi negli anni 40 rivendettero
l'antico monastero a privati cittadini, il campanile della chiesa fu
occupato dai coniugi Domenico Dardani ('u mutu) e Maria Rosa Urso, i
genitori della medaglia d'oro Giovanni Dardani che l'usarono per qualche
anno come povera dimora. Za Maria Rosa, donna devotissima, sebbene
segnata dal dolore della tragica perdita di tre figli (tutti
"caduti per la patria" lo malgrado), per ringraziare il
Signore del'ospitalità, puliva la chiesa e accendeva qualche candela ai
vari santi le cui statue erano collocate sui rispettivi altari, a
partire da quella più imponente di San Domenico, a quella della Madonna
del Soccorso donata ai frati domenicani dall'abate Salvatore Rota
commendatario dell'Abazia Florense.
A proposito dei rapporti con l'antico monastero dei
basiliani di contrada Patia, qualche caccurese in vena di facezie si
inventò addirittura un passaggio segreto che avrebbe collegato, non si
sa per quale recondito motivo, il convento domenicano, sorto dopo il
1515, al monastero basiliano dei Tre Fanciulli che a quei tempi aveva
perso qualsiasi importanze (se pure ne avesse mai avuta dopo l'avvento
di Gioacchino e la donazione di Enrico VI) ed era abitato da due o tre
frati che puzzavano di fame. Una galleria che se fosse davvero
esistita avrebbe
misurato più di due chilometri, una sorta di tunnel della Gelmini del
Cinquecento. Un'altra leggenda metropolitana nata in anni recentissimi
(anni 90) ha promosso il povero convento caccurese al rango di abazia
come si legge spesso in articoli di giornali o sulle bacheche che ne
illustrano la storia. Pur senza conoscere il diritto canonico,
basterebbe leggere Il nome della rosa senza bersi le facezie come
l'acqua fresca.
ACCADDE
OGGI: MUORE DON
FRANCESCO PASCULLI
Il
16 maggio del 1941 si spegne a Caccuri, all'età di 63 anni, Francesco
Pasculli, ex sacerdote, maestro elementare, tenente propagandista nella
Grande Guerra e legionario fiumano tra i protagonisti del colpo di mano
di D'Annunzio sulla città istriana.
Uomo di azione e di vasta cultura, don Francesco, che trascorse
gran parte della sua vita a Napoli in una casa di via Alessandro
Scarlatti al Vomero, città nella quale insegnò per molti anni, durante
la guerra teneva ai soldati quotidiani sermoni che poi
raccolse in un volumetto intitolato "Il Vate della Patria
o il Senso Cristiano della guerra contro gli in inumani
Austro - Ungarici" che dedicò al generale Pecori - Giraldi.
Scrisse anche un breve saggio per confutare con motivazioni forse un po' ingenue, ma
sincere e meditate, le teorie di Tomas Robert Malthus, espresse nel
"Saggio sul principio della popolazione", sul rischio
che l'incremento demografico comportava per l'Umanità, sostenendo che
"le viscere stesse dell'uomo, l'energia di madre - Terra e la
Provvidenza ci dicono che tutto dev'essere fatto per meglio produrre e
per meglio moltiplicarsi e che nel mare l'uomo può trovare il suo
alimento di prim'ordine in grado di sfamare le moltitudini".
Il pensiero l'opera del professor Pasculli è in gran parte
racchiuso nel poemetto morale inedito Vita, Cuore, Mente. Don Francesco
era nato a Caccuri il 10 marzo del 1878.
ACCADDE
DOMANI: MUORE A MILANO ANGELO SIMONETTA
Il 20 aprile del 1472 muore a Milano Angelo Simonetta, caccurese, zio di
Cicco, il primo ministro, segretario e cancelliere del duca Francesco
Sforza. Angelo, nato a Caccuri agli inizi del XV secolo da Gentile
Simonetta, amministrava i possedimenti del conte Carlo Ruffo tra i quali
il feudo di Caccuri quando lo Sforza, dopo averlo conosciuto e
apprezzato, lo volle con sé a Milano assieme alla sua famiglia della
quale faceva parte anche il giovanissimo Cicco e quando il figlio di
Muzio Attendolo conquistò il Ducato e Cicco ne divenne il primo
ministro e capo della Diplomazia, Angelo fu nominato ambasciatore del
ducato nella Repubblica di Venezia. Dopo la morte venne tumulato nella
chiesa di Santa Maria del Carmine nel quartiere di Brera costruita anche
con il suo fattivo contributo. Un'epigrafe in latino sulla tomba
recita: "Angelus hic situs est clarissimus Mones Simonetta viros
meritis et laudibus unus qui orbit die XX aprilis anno D.
MCCCCLXXII."
ACCADDE
DOMANI: IL CROLLO DI CASA RUGIERO
LA PIU' GRANDE SCIAGURA CACCURESE
di Peppino Marino
Caccuri, 12 marzo 1943
Venerdì
12 marzo del 1943 Caccuri fu teatro di una delle più spaventose
tragedie della sua storia. Da quasi cinque giorni una pioggia
tambureggiante cadeva sul paese e sui dintorni e la popolazione se ne
stava rintanata nelle povere case del centro storico. I ruscelli a nord
e a sud del paese si erano trasformati in impetuosi torrenti che
trascinavano a valle ogni cosa. La cittadina, arroccata sulla rupe,
sembrava essere al sicuro dalla furia degli elementi, anche se quel
tempaccio metteva oggettivamente paura. Il boato
dei tuoni si confondeva con lo scoppio di qualche lontana bomba che
Inglesi e Americani, nonostante le avverse condizioni atmosferiche,
sganciavano nella zona nel tentativo di colpire
gli impianti idroelettrici di Calusia e Timpagrande o i presidi
militari, in preparazione dello sbarco in Sicilia che sarebbe avvenuto
da lì a qualche mese e con i tiri della contraerea che da Casa Pasquale
e dalla Sila cercava, inutilmente, di respingere gli attacchi.
Le
famiglia Rugiero era riunita nella casa di via Murorotto, proprio a
ridosso dell’Arco, una casina col piano terra ed un piano
sopraelevato, con un’unica stanza per piano.
Fuori diluviava, e l’abitazione era rischiarata dalla tenue fiammella
di una lampada a olio. Erano da poco passate le otto di sera. Consumata
una cena che, per le ristrettezze dei tempi, non
poteva che essere frugale, le famiglie di Michele Rugiero, pensionato di
72 anni e del figlio Giovanni, si apprestavano ad andare a letto ed
alcuni membri si erano già sistemati nei loro poveri giacigli. Assieme
a loro c’era anche la figlia, Maria Rosa, sposata con un
crotonese e rifugiatasi a Caccuri per sfuggire ai bombardamenti che
martellavano Crotone.
Giovanni
Rugiero, la moglie Maria Bruno, i figli Michele (il futuro avvocato e
pretore di Savelli), Rosina, Filippo e Emilia Immacolata, si sistemarono
al primo piano, mentre il padre Michele, la madre Maria Greca Zinga,
originaria di Isola Capo Rizzato, la figlia Maria Rosa e la nipote
Antonia Salerno, si apprestavano a sistemarsi nei loro giacigli posti al
piano terra.
All’improvviso,
alle 20,40, si udì un sordo boato, più forte
dei tuoni, più agghiacciante delle bombe, mentre una parete della casa,
in comune con un’abitazione adiacente, cedette di schianto ed il
pavimento del primo piano di casa crollò seppellendo gli
occupanti del piano terra sotto una montagna di detriti e provocando
la morte istantanea di quattro persone.
I
vicini, accorsi sul luogo nonostante le proibitive condizioni del tempo,
si resero immediatamente conto della gravità dell’accaduto e diedero
l’allarme. Qualcuno tentò disperatamente di mettersi a scavare a mani
nude in quell’ammasso di travi, di tegole, di fango, nel buio fitto,
mentre qualcun altro corse a dare l’allarme. Sul
posto, accorsero prontamente molti dei 120 soldati del
presidio militare alloggiato nel castello di Barracco, che, al comando
del tenente Gaetano Pulzone, si misero immediatamente al lavoro scavando
fra le macerie. I militari lavorarono
alacremente sotto la pioggia battente e, dopo qualche ora, cominciò la
triste conta dei morti che risultarono poi essere cinque.
La
prima ad essere estratta fu Emilia Immacolata Rugiero di
due anni, figlia di Giovanni Antonio e di Maria Giuseppa Bruno. Pare che
la bimba, sfuggita in un primo momento alla morte, perse la vita cadendo
dalle braccia della madre svenuta a seguito delle ferite provocate dai
detriti che l’avevano colpita.
Fu
poi la volta di Maria Rugiero di anni 45, zia della
bambina, del padre di quest’ultima, Michele, della
moglie, Maria Greca Zinga, di 66 anni e
di Antonia Grazia Salerno, una ragazza
di 16 anni, nipote di Michele Rugiero, figlia della figlia Maria Saveria
e di Vito Cesare Salerno. Alcune salme, appena recuperate
furono, in un primo momento deposte nella casa di quest’ultimo, mentre
il corpicino della piccola Emilia Immacolata venne trasportato nella
casa della zia materna, Filomena, in via Misericordia. Subito
dopo ebbe inizio il mesto pellegrinaggio di una popolazione affranta e
nel contempo terrorizzata dall’accaduto in visita
alle salme. Nessuno in paese ricordava una sciagura così spaventosa paragonabile
solo a quelle provocate dai terremoti del 1638 e del 1783.
Qualche
giorno dopo il paese partecipò commosso ai funerali delle cinque
vittime, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il mesto corteo era
aperto dalla bara della piccola Emilia Immacolata e chiuso da quella del
patriarca, Michele. A dare l’addio alle povere vittime c’erano anche
i soccorritori, quei soldati e il loro comandante che avevano scavato
alacremente in quell’ammasso di detriti nel vano tentativo di
strappare alla morte quelle sventurate creature.
Ringrazio l'Avv. Prof. Michele Rugiero per avermi fornito
alcune preziose notizie.
di Peppino Marino
Caccuri, 12 marzo 1943
Venerdì
12 marzo del 1943 Caccuri fu teatro di una delle più spaventose
tragedie della sua storia. Da quasi cinque giorni una pioggia
tambureggiante cadeva sul paese e sui dintorni e la popolazione se ne
stava rintanata nelle povere case del centro storico. I ruscelli a nord
e a sud del paese si erano trasformati in impetuosi torrenti che
trascinavano a valle ogni cosa. La cittadina, arroccata sulla rupe,
sembrava essere al sicuro dalla furia degli elementi, anche se quel
tempaccio metteva oggettivamente paura. Il boato
dei tuoni si confondeva con lo scoppio di qualche lontana bomba che
Inglesi e Americani, nonostante le avverse condizioni atmosferiche,
sganciavano nella zona nel tentativo di colpire
gli impianti idroelettrici di Calusia e Timpagrande o i presidi
militari, in preparazione dello sbarco in Sicilia che sarebbe avvenuto
da lì a qualche mese e con i tiri della contraerea che da Casa Pasquale
e dalla Sila cercava, inutilmente, di respingere gli attacchi.
Le
famiglia Rugiero era riunita nella casa di via Murorotto, proprio a
ridosso dell’Arco, una casina col piano terra ed un piano
sopraelevato, con un’unica stanza per piano.
Fuori diluviava, e l’abitazione era rischiarata dalla tenue fiammella
di una lampada a olio. Erano da poco passate le otto di sera. Consumata
una cena che, per le ristrettezze dei tempi, non
poteva che essere frugale, le famiglie di Michele Rugiero, pensionato di
72 anni e del figlio Giovanni, si apprestavano ad andare a letto ed
alcuni membri si erano già sistemati nei loro poveri giacigli. Assieme
a loro c’era anche la figlia, Maria Rosa, sposata con un
crotonese e rifugiatasi a Caccuri per sfuggire ai bombardamenti che
martellavano Crotone.
Giovanni
Rugiero, la moglie Maria Bruno, i figli Michele (il futuro avvocato e
pretore di Savelli), Rosina, Filippo e Emilia Immacolata, si sistemarono
al primo piano, mentre il padre Michele, la madre Maria Greca Zinga,
originaria di Isola Capo Rizzato, la figlia Maria Rosa e la nipote
Antonia Salerno, si apprestavano a sistemarsi nei loro giacigli posti al
piano terra.
All’improvviso,
alle 20,40, si udì un sordo boato, più forte
dei tuoni, più agghiacciante delle bombe, mentre una parete della casa,
in comune con un’abitazione adiacente, cedette di schianto ed il
pavimento del primo piano di casa crollò seppellendo gli
occupanti del piano terra sotto una montagna di detriti e provocando
la morte istantanea di quattro persone.
I
vicini, accorsi sul luogo nonostante le proibitive condizioni del tempo,
si resero immediatamente conto della gravità dell’accaduto e diedero
l’allarme. Qualcuno tentò disperatamente di mettersi a scavare a mani
nude in quell’ammasso di travi, di tegole, di fango, nel buio fitto,
mentre qualcun altro corse a dare l’allarme. Sul
posto, accorsero prontamente molti dei 120 soldati del
presidio militare alloggiato nel castello di Barracco, che, al comando
del tenente Gaetano Pulzone, si misero immediatamente al lavoro scavando
fra le macerie. I militari lavorarono
alacremente sotto la pioggia battente e, dopo qualche ora, cominciò la
triste conta dei morti che risultarono poi essere cinque.
La
prima ad essere estratta fu Emilia Immacolata Rugiero di
due anni, figlia di Giovanni Antonio e di Maria Giuseppa Bruno. Pare che
la bimba, sfuggita in un primo momento alla morte, perse la vita cadendo
dalle braccia della madre svenuta a seguito delle ferite provocate dai
detriti che l’avevano colpita.
Fu
poi la volta di Maria Rugiero di anni 45, zia della
bambina, del padre di quest’ultima, Michele, della
moglie, Maria Greca Zinga, di 66 anni e
di Antonia Grazia Salerno, una ragazza
di 16 anni, nipote di Michele Rugiero, figlia della figlia Maria Saveria
e di Vito Cesare Salerno. Alcune salme, appena recuperate
furono, in un primo momento deposte nella casa di quest’ultimo, mentre
il corpicino della piccola Emilia Immacolata venne trasportato nella
casa della zia materna, Filomena, in via Misericordia. Subito
dopo ebbe inizio il mesto pellegrinaggio di una popolazione affranta e
nel contempo terrorizzata dall’accaduto in visita
alle salme. Nessuno in paese ricordava una sciagura così spaventosa paragonabile
solo a quelle provocate dai terremoti del 1638 e del 1783.
Qualche
giorno dopo il paese partecipò commosso ai funerali delle cinque
vittime, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il mesto corteo era
aperto dalla bara della piccola Emilia Immacolata e chiuso da quella del
patriarca, Michele. A dare l’addio alle povere vittime c’erano anche
i soccorritori, quei soldati e il loro comandante che avevano scavato
alacremente in quell’ammasso di detriti nel vano tentativo di
strappare alla morte quelle sventurate creature.
Ringrazio l'Avv. Prof. Michele Rugiero per avermi fornito
alcune preziose notizie.
Caccuri, 12 marzo 1943
Venerdì
12 marzo del 1943 Caccuri fu teatro di una delle più spaventose
tragedie della sua storia. Da quasi cinque giorni una pioggia
tambureggiante cadeva sul paese e sui dintorni e la popolazione se ne
stava rintanata nelle povere case del centro storico. I ruscelli a nord
e a sud del paese si erano trasformati in impetuosi torrenti che
trascinavano a valle ogni cosa. La cittadina, arroccata sulla rupe,
sembrava essere al sicuro dalla furia degli elementi, anche se quel
tempaccio metteva oggettivamente paura. Il boato
dei tuoni si confondeva con lo scoppio di qualche lontana bomba che
Inglesi e Americani, nonostante le avverse condizioni atmosferiche,
sganciavano nella zona nel tentativo di colpire
gli impianti idroelettrici di Calusia e Timpagrande o i presidi
militari, in preparazione dello sbarco in Sicilia che sarebbe avvenuto
da lì a qualche mese e con i tiri della contraerea che da Casa Pasquale
e dalla Sila cercava, inutilmente, di respingere gli attacchi.
Le
famiglia Rugiero era riunita nella casa di via Murorotto, proprio a
ridosso dell’Arco, una casina col piano terra ed un piano
sopraelevato, con un’unica stanza per piano.
Fuori diluviava, e l’abitazione era rischiarata dalla tenue fiammella
di una lampada a olio. Erano da poco passate le otto di sera. Consumata
una cena che, per le ristrettezze dei tempi, non
poteva che essere frugale, la famiglie di Michele Rugiero, pensionato di
72 anni e del figlio Giovanni, si apprestavano ad andare a letto ed
alcuni membri si erano già sistemati nei loro poveri giacigli. Assieme
a loro c’era anche la figlia, Maria Rosa, sposata con un
crotonese e rifugiatasi a Caccuri per sfuggire ai bombardamenti che
martellavano Crotone.
Giovanni
Rugiero, la moglie Maria Bruno, i figli Michele (il futuro avvocato e
pretore di Savelli), Rosina, Filippo e Emilia Immacolata, si sistemarono
al primo piano, mentre il padre Michele, la madre Maria Greca Zinga,
originaria di Isola Capo Rizzato, la figlia Maria Rosa e la nipote
Antonia Salerno, si apprestavano a sistemarsi nei loro giacigli posti al
piano terra.
All’improvviso,
alle 20,40, si udì un sordo boato, più forte
dei tuoni, più agghiacciante delle bombe, mentre una parete della casa,
in comune con un’abitazione adiacente, cedette di schianto ed il
pavimento del primo piano di casa crollò seppellendo gli
occupanti del piano terra sotto una montagna di detriti e provocando
la morte istantanea di quattro persone.
I
vicini, accorsi sul luogo nonostante le proibitive condizioni del tempo,
si resero immediatamente conto della gravità dell’accaduto e diedero
l’allarme. Qualcuno tentò disperatamente di mettersi a scavare a mani
nude in quell’ammasso di travi, di tegole, di fango, nel buio fitto,
mentre qualcun altro corse a dare l’allarme. Sul
posto, accorsero prontamente molti dei 120
soldati del presidio militare alloggiato nel castello di Barracco, che,
al comando del tenente Gaetano Pulzone, si misero immediatamente al
lavoro scavando fra le macerie. I militari
lavorarono alacremente sotto la pioggia battente e, dopo qualche tempo,
cominciò la triste conta dei morti che risultarono poi essere cinque.
La
prima ad essere estratta, Emilia Immacolata Rugiero, di
due anni, figlia di Giovanni Antonio e di Maria Giuseppa Bruno. Pare che
la bimba, sfuggita in un primo momento alla morte, perse la vita cadendo
dalle braccia della madre svenuta a seguito delle ferite provocate dai
detriti che l’avevano colpita.
Fu
poi la volta di Maria Rugiero di anni 45, zia della
bambina, del padre di quest’ultima, Michele, della
moglie, Maria Greca Zinga, di 66 anni e
di Antonia Grazia Salerno, una ragazza
di 16 anni, nipote di Michele Rugiero, figlia della figlia Maria Saveria
e di Vito Cesare Salerno. Alcune salme, appena recuperate
furono, in un primo momento deposte nella casa di quest’ultimo, mentre
il corpicino della piccola Emilia Immacolata veniva trasportato nella
casa della zia materna, Filomena, in via Misericordia. Subito
dopo iniziava il mesto pellegrinaggio di una popolazione affranta e, nel
contempo, terrorizzata dall’accaduto. Nessuno
in paese ricordava una sciagura così spaventosa paragonabile
solo a quelle provocate dai terremoti del 1638 e del 1783.
Qualche
giorno dopo il paese partecipò commosso ai funerali delle cinque
vittime, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il mesto corteo era
aperto dalla bara della piccola Emilia Immacolata e chiuso da quella del
patriarca, Michele. A dare l’addio alle povere vittime c’erano anche
i soccorritori, quei soldati e il loro comandante che avevano scavato
alacremente in quell’ammasso di detriti nel vano tentativo di
strappare alla morte quelle sventurate creature.
ACCADDE
OGGI - DUE UOMINI: STESSA FEDE, STESSO DESTINO
di
Peppino Marino
Il 10 marzo è una data particolare nella
storia di Caccuri che accomuna due personaggi molto simili: il sacerdote
parroco di accuri, poi tenente propagandista e legionario fiumano
Francesco Pasculli e l'avvocato tenente degli arditi Vincenzo Ambrosio.
Il primo nacque a Caccuri il 10 marzo del 1878, il secondo, nativo di
Roma, figlio dell'avvocato caccurese Giuseppe Ambrosio, trovò la morte
il 10 marzo del 1941 a Nivice, in Albania, in
combattimento mentre era all'assalto per la terza volta, al comando
degli Arditi del 231° Reggimento della Brigata Avellino di una
postazione nemica. Entrambi volontari, entrambi accomunati dalla stessa
passione e dalla stessa "fiducia incrollabile nei destini della
patria" che, invece, crollarono miseramente qualche anno dopo. Un
destino, pietoso, non quello della Patria, ovviamente, volle che
nessuno dei due vedesse il crollo rovinoso di quel regime e di quell'Italietta
fascista superba e violenta, quanto fragile che si verificò nel giro di
un paio di anni trascinando nel baratro l'intero paese. Anche don
Francesco, infatti, si spense il 16 maggio dello stesso anno a poco più
di due mesi dall'avvocato medaglia d'oro al valor militare.
ACCADDE
DOMANI: GIUSEPPE MELUSO SI SCONTRA CON GLI URBANI DI COTRONEI
di
Peppino Marino
Il
6 marzo del 1834 Giuseppe Peluso detto in Nivaro che ritroveremo col
falso nome di Battistino Belcastro come guida dei fratelli Bandiera nel
corso del loro tentativo eversivo del 1844, assieme ad altri due
fuorilegge sangiovannesi, Rosario Spatafora e Giovanni Candalise, ebbero
un conflitto a fuoco in località Manche di Barone, agro di Cotronei,
con la Guardia urbana della stessa cittadina. I tre, che alcuni giorni
prima avevano sequestrato due fratelli di Papanice, Salvatore e
Pantaleone Clausi e che stavano attraversando il territorio cotronellaro
probabilmente per trasferire gli ostaggi in Sila, furono costretti a
liberare i due fratelli e, attraversato l’Ampollino, si diedero alla
fuga verso Campo di Manna. Qui si scontrarono ancora una volta con un
gruppo di cacciatori scambiati per urbani. A seguito dei numerosi reati
commessi nei territori di San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cotronei e
Casino (Castelsilano) il brigante sangiovannese, ricercato attivamente
dalla guardia urbana dei vari paese e dalla gendarmeria, con l’aiuto
del principe Giannuzzi Savelli riuscì a espatriare a Corfù dove
conobbe i Bandiera che lo assunsero come guida per la loro spedizione
che si concluse alla Stragola ed ebbe il suo epilogo nel vallone di
Rovito con la fucilazione dei fratelli veneziani e di alcuni loro
compagni.
Pagine
di storia caccurese
Uno spaccato del comune nel 1911
Nel
1911 va in pensione il segretario comunale Giovanni Martucci in servizio
al Comune di Caccuri da oltre 40 anni con una liquidazione di 460 lire.
Il segretario era il padre dell’ingegnere Stanislao una cui figlia
sposerà poi il medico cerentinese Giuseppe Dima. Al segretario Martucci
subentrò per qualche tempo Vincenzo Ammirati al quale fu assegnato uno
stipendio di 960 lire annue. Il segretario Ammirati fu poi sostituito
prima dal dottor Vincenzo che nel 1911 era medico condotto del Comune
con una paga annua di circa 240 lire e poi, dal 1919 dal dottor Vincenzo
De
Franco, medico chirurgo e farmacista, nipote dell’arcivescovo di
Catanzaro mons. Raffaele De Franco.
All’epoca
l’ufficio telegrafico, aperto nel 1879, a quarantadue anni
dall’invenzione del geniale pittore americano, era ubicato in un
locale della signora Luisa De Matteis che percepiva un canone di 60 lire
annuo. Lo stesso canone percepiva il signor Domenico Ambrosio per il
fitto dei locali di un ambulatorio anti malarico col quale si cercava
disperatamente di tenere sotto controllo una malattia che all’epoca
era un vero e proprio flagello per le nostre popolazioni.
Interessante
anche la pianta organica del tempo. Oltre al segretario erano previste
diverse figure tra le quali il veterinario Savino Pasculli che gestiva
anche l’armadio veterinario comunale, la guardia campestre Domenico
Caccuri, titolare anche di un negozio di alimentari e un rivendita di
tabacchi in via Chiesa, il medico condotto Vincenzo Ambrosio che
percepiva uno stipendio annuo di 300 lire, l’uscere inserviente
Francesco Belcastro (Ciccillu) il cantoniere Giovanni Quintieri. Una
curiosità che vale la pena di riportare: il parroco del tempo don
Francesco Antonio Lucente, percepiva una congrua annua di £ 700,50,
abbondantemente più del doppio dello stipendio del medico condotto.
Evidentemente curare le anime è stato sempre molto più faticoso che
curare i corpi.
Fra
gli amministratori del tempo, oltre al sindaco Domenico Ambrosio,
troviamo l’agrimensore Antonio Loria in qualità di sindaco facente
funzione.
ACCADDE
DOMANI: IL COMUNE approVA IL CONSOLIDAMENTO DELLA CHIESA
11/02/1910
Il comune approva il progetto di
consolidamento della chiesa di Santa Maria delle Grazie redatto
dall’ingegnere caccurese Stanislao Martucci. L’intervento prevede la
realizzazione del muro di sostegno del piazzale antistante il monumento
quattrocentesco. L’importo dei lavori, per
£. 16.850,55 sarà finanziato con un mutuo della Cassa Depositi
e Prestiti. Il consolidamento si è reso necessario a seguito dei danni
provocati alla chiesa dal terremoto del 1908. Quest'opera, assieme alla
rete idrica realizzata all'inizio del Novecento sono le uniche opere che
rimangono di un grande tecnico caccurese che costruì diversi capolavori
in molti paesi della Calabria.
UN
BIGLIETTO MISTERIOSO
Più di vent'anni fa un amico di
Crotone del quale non ricordo il nome mi fece omaggio di questo
biglietto augurale spedito da un anonimo religioso caccurese a un suo
amico dottor Giovanni Basta che non sono riuscito a identificare in
occasione del suo onomastico. Purtroppo il biglietto è privo di firma e
data il che non consente nemmeno di collocarlo in un periodo storico ben
definito. Ve lo propongo con la trascrizione sperando che qualche
amico ricercatore possa fornirmi qualche elemento per una eventuale
identificazione del mittente e del destinatario.
CACCURI
Lieto di veder succedere nell’ordine dei tempi questo giorno
onomastico si onora augurarlo felicissimo al suo affettuoso e leale
amico Dottor Giovanni Basta perché entrambi godessero della comune
festività e partecipare delle migliori grazie che il S Protettore
dispensa ai più fidi servi del cielo.
E’
questo il suo ardente voto l’ossequia lusingandosi che egli gradisca
le dolci espressioni del suo amico e congiungendosi in esse non dubiti
di trovare il delicato nettare dell’affetto come quel miele di cui
cibassi il Santo.
Così la Sacra Bibbia
Narrato del gran Battista
Riflettiam nel mistico
Santo la sua rivista:
Ricco del suo profetico
Spirto non era Elia
O come allora intesero
Prenderlo pel Messia.
Felice l’uom partecipa
Di lui al beato merto
Mentre dal primo nascere
Sol vive in un deserto.
Digiuna, in peli ruvidi
Ne cinge di cammello
I lombi e quindi al seguito
Mostrar di Dio l’Agnello.
ACCADDE
DOMANI: RESISTENZA
DUO SICILIANA
28/01/1861
La
Guardia Nazionale di San Giovanni in Fiore, al comando di Salvatore
Barberio, insieme al luogotenente dei carabinieri
Leopoldo Bianchi e al tenente Antonio Ripoli, arresta a Gimmella
Domenico
Scarcella che si sta recando ad una riunione
cospirativa
a Acquafredda tenuta da un noto agitatore anti piemontese, il frate
padre Clemente da Sersale. I
carabinieri e la Guardia nazionale accorrono ad Acquafredda, ma non
trovano nessuno. Al ritorno, a Gimmella, intercettano
tre
individui. Due vengono catturati, mentre il terzo riesce a dileguarsi
nella boscaglia mentre infuria una tormenta di neve.
L’
uomo che sfugge alla cattura è proprio padre Clemente da Sersale.
La zona tra Gimmella e Compodimanno in agro di San
Giovanni n Fiore fu teatro di molte sfortunate imprese dei partigiani
calabresi, etichettati come briganti, che combattevano l'aggressore
piemontese.
CENNI
SU
Santa Maria dei Tre Fanciulli o della paganella
A
vederla così piccina e nei pressi dei ruderi di una brutta costruzione
posticcia sorta probabilmente ai tempi del famigerato "Piano
verde" la crederesti una delle tante chiese di campagna
sparse qua e là per l’Italia e che, tanti e tanti anni fa,
accoglievano, la domenica, qualche villico per la messa. Invece questo
minuscolo tempietto a due passi da Caccuri, in località Patia, sulla
strada per Fantino e San Giovanni in Fiore,
è tutto ciò che resta dell’antichissimo monastero basiliano
"di Santa Maria Trium Puerorum seu S. Maria la Nova o della
Paganella", come fu denominata, nel corso dei secoli,
la chiesa annessa al cenobio.
“Della sua fondatione et erettione non si have
memoria certa per essersi disperse le scritture” è scritto in una
relazione del priore Gregorio Ricciuti e del sacerdote Michelangelo
Prospero commissionata da papa Innocenzo X° e datata 20 marzo 1650, ma
l’origine del monastero risale, quasi certamente, al periodo compreso
tra il V° e il IX° secolo e fu opera
di anacoreti bizantini. Il quel periodo, infatti,
si registra nelle nostre contrade un notevole afflusso monastico
basiliano che dà origine, oltre che ad alcuni luoghi di culto rupestri,
come quello di Timpa dei Santi, anche ad altri due monasteri: quello di
S. Maria di Càbria e quello dell’Abate Marco.
Il declino del convento basiliano, che pure si
distinse per il notevole spirito battagliero contro l’invadenza
monacale latina, ebbe inizio con la donazione dell’imperatore Enrico
VI° del 1195 (praticamente l'attuale territorio del comune di San
Giovanni in Fiore)
con la quale il sovrano concedeva all’abate Gioacchino da Fiore
un vasto territorio su parte del quale, fino a quel momento i monaci
greci e la popolazione di Caccuri viveno in pace, pascevano gli
armenti ed esercitavano gli usi civici. Da allora il monastero dei
“Tre fanciulli” perse ogni importanza fino a diventare una proprietà
dell’ordine florense.
Nella citata relazione del XVII° secolo si fa cenno
al pessimo stato
dell’eremo attribuendone la causa al fatto che, per molto
tempo, era rimasto disabitato. Ma, forse la vera causa del declino e
dell’abbandono va ricercata nella decisione di papa Alessandro VI°
Borgia del 13 settembre del 1500 di dare l’abbazia in commenda. Da
allora i commendatari si preoccuparono soltanto di riscuoterne le
rendite lasciando nell’incuria e nell’abbandono ogni cosa. Poi, per
volere di Pio IV°, Pio V° e, soprattutto di Sisto V°, il monastero
riacquistò importanza e vi fu reintrodotto il culto. Nel 1560,
comunque, come apprendiamo dalla stessa relazione, oltre alla chiesa che
misurava “di lunghezza 58 palmi ed uguale larghezza col suo altare
maggiore”, vi era un cortile grande circondato da mura. “Nel piano
di detto cortile” vi erano cinque stanze abitabili ed una scoperta
“le quali servono per cocina, forno, cellaro (cantina) , magazeno e
stalla.”
Pochi anni prima che i due religiosi stilassero la relazione era
stato danneggiato dallo spaventoso terremoto del 1638 che provocò
notevoli danni anche nella vicina Caccuri.
Nei secoli successivi fu completamente abbandonato tanto che
crollò rimanendo in piedi solo la chiesetta rimessa in sesto poco dopo
la metà del secolo scorso. Attualmente vi si celebra la festa della
“Madonna di Apatia” la prima domenica di settembre alla quale
partecipano moltissimi fedeli di Caccuri, San Giovanni in Fiore ed altri
paesi del circondario.
CENNI
SUL VESCOVO CACCURESE GIOVANNI CARNUTO
Il 15 gennaio del 1535 il vescovo caccurese mons. Giovanni Carnuto, già
presule della diocesi di Carinola in provincia di Caserta, viene
nominato da papa Paolo III vescovo di Cerenzia e Cariati. Ecco
cosa scrive Domenico Taccone - Gallucci, vescovo di Nicotera e Tropea,
nel 1902 a pagina 428 dei Regesti dei romani Pontefici per le
Chiese della Calabria nella Cronotassi dei Metropolitani e vescovi
della Calabria "Giovanni Carnuto traslato da Carinola.
Assaltata Cariati dai Turchi nel 1543, questo Prelato fu preso e
portato in ischiavitù ad Algeri."
Monsignor
Carnuto nacque a Caccuri sul finire del XV° secolo. Si trovava
proprio in quest’ultima cittadina nel mese di luglio del 1543, come
scrive lo storico di Francica, Gabriele Barrio, contemporaneo del
vescovo caccurese, quando una feroce scorreria dell’ammiraglio
corsaro Khair Ad Din, meglio
conosciuto come Barbarossa che, dopo la sconfitta patita ad opera di
Andrea Doria a Prevesa si era dato alla pirateria,
devastò la cittadina e
provocò la morte di centinaia di persone. Mons. Carnuto fu catturato e
condotto prigioniero a Algeri dove morì nel 1545.
Di mons. Carnuto abbiamo pochissime notizie. Nacque
quando ancora non era stato edificato il convento domenicano e la prima
chiesa di Santa Maria delle Grazie, quella poi distrutta dal terremoto
del 1659, era stata costruita qualche decennio prima ed emerse tra i
numerosi membri del clero caccurese tanto da ricevere, nel 1530, la
mitra e la nomina nella diocesi di Carinola in provincia di Caserta.
Un altro dei tanti illustri caccuresi che i giovani non conoscono
e che probabilmente non conosceranno mai perché nessuno si cura di
tramandarne la memoria, nel mentre ci affanniamo a inventarci storie
suggestive di abbazie e di castelli medioevali.
OMAGGIO
A DUE GRANDI "MARIO"
Mettendo
ordine nei miei archivi digitali oggi mi sono imbattuto in questa
bellissima foto del 1985 scattata in occasione dell'intitolazione della
Sezione PCI di Caccuri al professore Mario Filippo Sperlì,
intellettuale, dirigente prima del PSI, poi del PSIUP e del PCI,
direttore didattico, consigliere provinciale e dirigente autorevole del
partito che ci aveva lasciato qualche mese prima. A commemorare il
compagno Sperlì, oltre all'autore di queste note, all'epoca presidente
della Comunità Montana Alto Crotonese e dirigente provinciale del PCI,
c'erano anche il sindaco di Caccuri Antonio Lacaria, il segretario della
sezione, Peppino Miliè e il carissimo compagno e amico Mario Sestito,
prestigioso dirigente politico, senatore e poi presidente del Comitato
di gestione dell'USL di Crotone.
Per Mario, originario di Petilia Policastro, Caccuri era
una specie di seconda patria nella quale veniva sempre volentieri per
seguire assemblee, congressi di sezioni, manifestazioni elettorali,
feste della donna, insomma ogni occasione, ogni iniziativa era buona per
ritrovarsi con i compagni di Caccuri, fare Politica con la "P"
maiuscola e poi trascorrere bellissimi momenti conviviali vissuti
fraternamente così come si usava un tempo tra compagni (cum panis),
gente che condivideva ideali grandi, saldi, radicati. Un saluto
deferente ai due compagni "Mario" che, oltre agli ideali,
condividevano anche il nome.
L’Asilo
infantile “Giovanni Cena” di Caccuri
La
storia dell’ asilo infantile “Giovanni Cena”, piccola istituzione
scolastica caccurese nata nel 1919 per iniziativa della locale sezione
dell’Opera Nazionale Combattenti alla quale erano iscritti molti
esponenti del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, qualche socialista e
comunista e che aveva per dirigenti il valente fabbro Giuseppe Gigliotti
ed il reverendo don Giuseppe Pitaro,
testimonia dell’intelligenza e della solerzia dei Caccuresi
che, sin dall’inizio del secolo, si batterono, in sintonia con le più
belle menti dell’epoca, per promuovere, anche nel nostro sperduto
paesello, l’educazione e l’istruzione delle giovani generazioni fin
dalla più tenera età.
A
quattro anni dalla fondazione, nel 1923, con Regio decreto del 31
ottobre, l’asilo venne eretto in ente morale a seguito di un’ampia
ed approfondita istruttoria da parte del Consiglio di Stato. La
relazione ne individuava la grande valenza pubblica in quanto
l’istituzione era chiamata ad operare in uno sperduto paese di
montagna nel quale degrado e miseria erano piuttosto diffusi.
Nel
lungo periodo nel quale funzionò la scuola fu frequentata da un
centinaio di bambini e, nei primi anni, ospitò anche una scuola di
sartoria e di ricamo gestita da alcune suore e frequentata da decine di
ragazze caccuresi. Accusate dai fascisti locali di propaganda sediziosa
a favore dei popolari, le suore furono costrette, nonostante un
autorevole intervento di don Sturzo presso il ministro della Pubblica
Istruzione dell’epoca,
a chiudere la scuola e, da allora, l’asilo fu frequentato
esclusivamente da bambini.
Nel
secondo dopoguerra l’istituto doveva essere trasferito in un
fabbricato rurale di proprietà della famiglia Ambrosio e legarsi al
nome di Raffaele e Vincenzo Ambrosio, due giovani eroi di guerra
caccuresi (il secondo, caduto in Albania, ottenne la medaglia d’oro al
valor militare), ma, per problemi burocratici e finanziari non se ne
fece mai nulla e la scuola fu poi ospitata nel vecchio palazzo De Franco
di via Buonasera.
A dirigerla fu chiamato il maestro elementare Umberto
Ambrosio, zio dei due eroi.
Nei
primi anni ’70, a seguito della istituzione della scuola materna
statale, l’asilo “Giovanni Cena” decadde e fu soppresso, ma, chi
oggi ha più di trent’anni, ricorda ancora le giornate trascorse da
bambino, insieme agli altri coetanei, nelle buie, ma accoglienti stanze
del palazzo De Franco.
IL
PARTIGIANO FRA DIAVOLO
Mi capita a volte, discutendo con alcuni amici, di accostare i briganti
anti francesi e quelli che
combatterono gli invasori piemontesi ai partigiani anti fascisti che
fecero la Resistenza contro l'invasore nazista sollevando quasi sempre
polemiche e reazioni sdegnate anche in persone che non sono tenere col
"risorgimento". Credo che se li paragonassi agli ucraini che
combattono contro gli invasori russi otterrei lo stesso risultato. La
qualifica di partigiano è come il sigaro e la laurea, si regala a
tutti, tranne che ai briganti marchiati a fuoco dai francesi, poi dai
Cialdini, dai Lamarmora, dai Pallavicino e oggi da molti intellettuali
meridionali.
Allora forse conviene dare la parola a uno scrittore
autorevole figlio di un generale che i briganti antifrancesi li
combatté ferocemente.
"Fra
Diavolo personificava quel personaggio tipico, che si incontra in
tutti i paesi invasi dallo straniero, il brigante-patriota,
l’insorto legittimo in lotta contro l’invasore. Egli era in Italia,
ciò che sono stati, in seguito, Juan Martín Díez ‘El
Empecinado’ in Spagna, Canaris in Grecia e Abd-el-Kader in
Africa…”
Victor Hugo, figlio del generale francese Joseph Léopold Sigisbert Hugo
IL
GENERALE RIZZO CREA IL 10° GRANATIERI DI SAVOIA
Tra i tanti importati,
prestigiosi incarichi che furono affidati al generale di divisione
caccurese Antonio Rizzo, eroe del Piave, vincitore di tante battaglie,
decorato ben 27 volte tra medaglie d'argento, di bronzo, croci di
guerra, Citation a l'Ordre de l'Armeè, l'ufficiale che catturò Ras
Dastà, il genero di Hailé Selassié, l'imperatore dell' Etiopia
vigliaccamente aggredito dall'Italia fascista, figura anche quello della
fondazione del 10° Reggimento Granatieri di Savoia che l'allora
colonnello Rizzo ricevette dal generale Luigi Perego. La nascita nascita
e la crescita quotidiana di questa nuova unità organica dell'Esercito
italiano sono documentate giorno per giorno in un diario storico che
l'illustre caccurese tenne dal 7 ottobre del 1936 al 30 aprile del 1938.
Da questo importante documento traspare la sua grande capacità
organizzativa e dirigenziale, la profonda conoscenza delle esigenze
dell'esercito e la grande capacità di farsi amare e rispettare dai suoi
uomini e dai suoi stretti collaboratori. Insomma un degno concittadino
del grande Cicco Simonetta.
DALL'ANGELO DEL SIGNORE A SANTA MARIA DEI TRE FANCIULLI
Tra cose più interessanti del
patrimonio storico - culturale della nostra zona figura questo quadro
collocato nella chiesetta di Patia ricostruita sui ruderi
dell'antichissimo monastero basiliano del Tre fanciulli edificato negli
ultimi secoli del primo millennio dagli anacoreti seguaci del culto di
San Basilio rifugiatisi nell'Italia meridionale per sfuggire alle
persecuzioni dell'imperatore iconoclasta Leone III Isaurico. Prima di
erigere il cenobio a due passi da Caccuri, i basiliani si insediarono a
Timpa dei Santi, ai piedi di Serra del Bosco di Casalinuovo sulla riva
sinistra del Neto in territorio caccurese. Oltre al Trium puerorum,
sempre in territorio caccurese vi erano altri due insediamenti
monastici, quello di Santa Maria di Cabria oggi in territorio di
Savelli, e quello dell'Abate Marco. I tre monasteri poi, con la
vastissima donazione di Enrico VI all'abate Gioacchino da Fiore e la
latinizzazione forzata del rito greco finirono nell'orbita florese e
furono lasciati andare in malora.
Il quadro di Patia è una riproposizione in chiave
cristiana della vicenda di tre giovani che si rifiutarono di adorare gli
idoli e che il re Nabucodonosor fece gettare in una fornace salvati da
un angelo mentre se ne stavano tranquilli tra le fiamme pregando e
lodando il Signore. Qualche secolo dopo l'angelo viene sostituito dalla
madonna che diventa appunto Santa Maria Trium puerorum.
UNA PIOGGIA DI INDULGENZE PLENARIE
E'
impressionante la quantità di indulgenze che si possono lucrare a
Caccuri grazie all'attivismo, nei secoli scorsi, della Congregazione del
SS. Rosario e alla intraprendenza dei confratelli che riuscirono a
conquistarsi la benevolenza di due papi, Leone XII e Gregorio XVI.
Papa Leone nel luglio del 1824, su sollecitazione del cardinale Nava,
concesse un primo privilegio in base al quale chi visita la chiesetta
nei giorni delle feste principali e in una qualsiasi domenica dell'anno
acquista l'indulgenza plenaria. Qualche tempo dopo lo stesso papa ne
aggiunse degli altri, cosa che fece anche Gregorio XVI il
27 marzo del 1835. L'elenco completo dei benefici è compreso in
questo antico manifesto ancora oggi affisso sugli scanni della stupenda
cappella all'interno del vecchio convento domenicano. In particolare
l'indulgenza plenaria si può lucrare visitando la cappella "dai
primi vespri al tramonto del sole", durante la festa
dell'Annunziata, nelle prime domeniche del mese, nelle Feste dei Misteri
del Rosario, assistendo alla Salve dopo compieta (ultima preghiera della
sera), visitando gli infermi e in tante altre occasioni. Visitando,
inoltre, la cappella ogni giorno, si acquistano ben 300 giorni di
indulgenze. Insomma una pioggia di benefici che si acquistano, tutto
sommato, con facilità, ma che qualche secolo prima del provvedimento di
Leone XII pare si vendessero a caro prezzo tanto da spingere un
monaco tedesco, un certo Lutero, a scatenare un pandemonio e a
provocare l'ennesima spaccatura tra i cristiani con la conseguente
nascita delle religioni protestanti
UMBERTO
IACONIS, IL CARABINIERE CACCURESE CHE LIBERò
SALERNO
Una delle prime pagine della Resistenza italiana fu scritta a
Salerno nelle ore immediatamente successive allo sbarco alleato dell’8
settembre 1943 in Sicilia. Protagonisti di una serie di episodi che
diedero inizio al riscatto dell’onore e della dignità degli italiani
calpestati dal fascismo e dai suoi alleati germanici furono un gruppo di
carabinieri e di partigiani che tennero scacco alla soldataglia nazista
e la cacciarono dalla città. Tra i militari figura un caccurese,
Umberto Iaconis, all’epoca capitano comandante di una caserma della
provincia campana che in seguito raggiungerà il grado di tenente
colonnello.
La mattina del 10 settembre 1943 una quindicina di soldati
tedeschi a bordo di un’autoblinda e armati di pistole mitragliatrici
fanno irruzione nel cortile della caserma intimando ai carabinieri di
consegnare le armi e di arrendersi. L’ufficiale caccurese, non solo
rifiuta di farsi disarmare assieme ai suoi carabinieri tra i quali
l’eroico maresciallo lucano Donato Telesca, ma li caccia dalla caserma
dichiarandosi pronto a combattere. Poche ore dopo i tedeschi,
ormai allo sbando, tentano di saccheggiare il Banco di Napoli nei pressi
del Teatro Verdi a poche centinaia di metri dal porto per impossessarsi
del denaro custodito nella filiale, ma ancora una volta il capitano
Iaconis e il maresciallo Telesca, coadiuvati da alcuni partigiani li
attaccano ingaggiando una vera e propria battaglia che si conclude con
l’ignominiosa fuga dei baldanzosi soldati germanici. Per questi meriti
il capitano caccurese venne “equiparato, ai sensi del DL 93 del 6
settembre 1946, ai combattenti volontari della libertà quale comandante
di una formazione partigiana dal 9/9/1943 al 26/9/1943 in Salerno.”
Il tenente colonnello Iaconis era nato a Caccuri il 3
settembre 1896 da Giuseppe e da Costanza Secreto. Parte delle imprese
dell’ufficiale caccurese si possono leggere su questo interessante
libro di Ubaldo Baldi sulla Resistenza salernitana.
http://www.istitutogalanteoliva.it/wp-content/uploads/2013/08/libroubaldo.pdf
PARROCCHIE
CACCURESI
Nel
1529 la parrocchia caccurese di San Nicola era affidata al parroco
Donato Mauro. Nello stesso anno, a seguito delle dimissioni del
sacerdote, divenne parroco don Angelo Mauro e, nel 1539, fu gli subentrò
l’abate Salvatore Rota. Sarà questi a donare, qualche anno dopo, la
statua di Santa Maria del Soccorso al monastero dominicano edificato
qualche anno prima.
Anticamente le parrocchie caccuresi erano tre: quella arcipretale
di Santa Maria delle Grazie, quella di San Pietro e quella, appunto, di
San Nicola. Le funzioni
religiose di tutte parrocchie venivano comunque celebrate nella chiesa
di Santa Maria delle Grazie e, in alcune particolari occasioni, in
quella di San Marco, a metà strada tra il convento dei domenicani e il
centro storico.
ACCADDE
OGGI: SI SPEGNE ALFONSO CHIODO PRIMO SINDACO ELETTO COMUNISTA
Il 10 febbraio del 1989 moriva Alfonso Chiodo, primo
sindaco comunista di Caccuri dopo la Liberazione. Era nato a Caccuri il 15
marzo del 1907 da Luigi e da Gelsomina Sellaro. Alfonso fu l'amico
inseparabile di Giuseppe Lacaria detto Cozzinuguru, uno studente di
ingegneria comunista e antifascista che dovette riparare in Belgio, dove
si spense il
25 aprile del 1930 per gli stenti all'età di 24 anni. Alfonso e
Giuseppe erano in buoni rapporti con l'arciprete don Peppino Pitaro,
esponente del Partito Popolare che cercò di avvicinarli al
cattolicesimo popolare, ma i due giovani comunisti non rinnegarono la
loro fede comunista. Nella foto, scattata nel parco del Barone
Barracco, Alfonso è il giovane a destra.
Dopo l'8 settembre del 1943 prese contatti con esponenti del
Partito di Catanzaro e fondò la Sezione del PCI di Caccuri. Il 31 marzo
del 1946, alla testa di una lista di centro sinistra che comprendeva
comunisti, socialisti, democristiani e due indipendenti vinse le prime
elezioni amministrative nelle quali, per la prima volta in Italia,
votarono anche le donne e poco dopo venne eletto sindaco del paese
carica che mantenne fino al 31 ottobre dell'anno dopo quando gli
subentrò proprio don Peppino Pitaro a seguito dello scioglimento del
consiglio eletto l'anno precedente a seguito dell'autonomia
dell'ex frazione di Cerenzia che divenne comune autonomo.
Alfonso era il padre del cardiochirurgo Gigi Chiodo e nonno del
professore Fabrizio Chiodo, lo scienziato italiano che ha collaborato
alla messa a punto del vaccino anticovid cubano Soberana.
UN
CACCURESE ARCIVESCOVO DI TRANI E BARLETTA
di Peppino Marino
Il 3 febbraio del 1769 moriva a Trani l'arcivescovo della città Domenico
Andrea Cavalcanti, fratello minore di mons. Francesco Antonio,
arcivescovo di Cosenza dal 20 maggio del 1743 al 1848.
Mons. Domenico Antonio nacque a Caccuri il 26 ottobre del 1698
nella dimora ducale, poi castello Barracco che don Antonio, primo barone
della ramo della dinastia caccurese della famiglia aveva comprato dai
Cimino e fatto restaurare qualche decennio prima . Anch’egli,
abbracciò giovanissimo la carriera religiosa seguendo, passo, passo
il più anziano fratello. Probabilmente i due si avvicinarono ai
sacramenti per la loro prima volta nella loro vita nella cappella
privata all'interno del palazzo ducale che che don Antonio aveva fatto
costruire e per la quale, nel 1669 aveva ottenuto l' "indulto
oratorii privati in domo suae habitationis" ovvero la
consacrazione.
Ordinato
sacerdote il 5 ottobre del 1721, Domenico Antonio entrò a far parte
della Congregazione dei Chierici regolari e quando nel 1743
mons. Francesco Antonio lasciò la carica di Preposito generale
dell’Ordine per assumere la cattedra dell’Arcidiocesi di Cosenza,
subentrò al fratello nella stessa carica.
L'Ordine dei Chierici Regolarei Teatini fu fondato
nella basilica di San Pietro in Vaticano a Roma il 14 settembre 1524 da
san Gaetano di Thiene e Gian Pietro Carafa, episcopus theatinus,
cioè vescovo di Chieti e fu approvato da papa Clemente VII il 24 giugno
1524.
Il 12 maggio del 1755 il religioso caccurese fu
nominato arcivescovo di Trani e qualche giorno dopo, il 18 maggio,
ricevette l’ordinazione, quindi, il 22 dello stesso mese si insediò
nell’arcidiocesi pugliese.
Nel 1749, un anno dopo la morte del fratello maggiore, fu lui
a completare e pubblicare l’opera Vindiciae Romanorum
Pontificium . Opus posthumum che mons.
Francesco Antonio aveva lasciato incompiuta presso l'editore Girolamo
Mainardi. Ciò fu possibile grazie alle sue profonde conoscenze del
diritto e della storia della Chiesa, materie nella quali era assai
ferrato.
Nel
1755, poco dopo l’insediamento della diocesi pugliese scrisse la sua
prima lettera pastorale dal titolo Ad clerum, populumque suum
epistola.
Una
tragedia sfiorata
In
una notte d’inverno del 1940, Giuseppe De Carlo e la moglie,
Margherita Allevato, dormono, in una “casella” sulle pendici
della Serra Grande presa in fitto dal signor Pisano. Nella stessa
abitazione, una sola stanza di pochi metri quadrati, dorme anche una
loro figlioletta. A qualche metro dall’uscio, davanti la
casupola, c’è una porcile nel quale la famiglia alleva un maiale che,
da lì a qualche giorno, sarà ucciso per ricavarne salsicce,
prosciutti, soppressate, strutto, insomma tutto ciò di cui la
famigliola ha bisogno. Fuori piove a dirotto e il vento mugola
rabbioso.
All’improvviso i coniugi vengono svegliati da
uno spaventoso rumore, una specie di tuono prolungato, mentre il letto
comincia a tremare come per un forte terremoto. Sono attimi di terrore,
poi, si ode un qualcosa che fa pensare ad forte esplosione.
All’improvviso un enorme oggetto sfonda il tetto e un piomba in casa
sfiorando il letto matrimoniale e sfondando la parete anteriore,
prima di proseguire la sua folle corsa. Contemporaneamente un torrente
di acqua penetra nella casupola inzuppando ogni cosa. I due, terrorizzati,
prendono in braccio la figlioletta e si precipitano fuori invocando un
aiuto che in quel momento nessuno può dare loro, poi si avviano verso
il vicino rione Parte dove bussano alla porta di una casa e si fanno
ospitare.
Al mattino molti curiosi, assieme ai carabinieri
e alle guardie municipali si recano sul luogo per rendersi conto
dell’accaduto. Ai loro occhi si presenta una scena apocalittica. Il
tetto della casetta è quasi completamente sfondato, così come la
parete anteriore. Il porcile è distrutto e il povero maiale è stato
ridotto in poltiglia da un enorme masso che si è staccato dal costone
roccioso sovrastante e che, solo per un miracolo, non ha investito le
tre persone all’interno della casa, pur avendole sfiorate.
La casetta fu poi ricostruita ed esiste ancora, ma da
allora fu adibita solo al ricovero di attrezzi agricoli.
SAN ROCCO E IL "PELLEGRINAGGIO CACCURESE
La processione di San Rocco, come sa ogni
caccurese, è sempre stata la più lunga e la più importante tra le
tante che scandivano l'anno liturgico del nostro paese. Il santo
francese, oltre a essere il patrono del paese, era notoriamente uno dei
primi volontari che si recava casa per casa a curare gli appestati,
anche a costo di contagiarsi egli stesso come poi successe realmente.
Nell'immaginario collettivo, perciò divenne subito il santo che
visitava gli ammalati, i bisognosi di cure e di amore, che passava per
tutte le strade, che visitava tutte le case per cui la processione
assunse questo connotato simbolico a riprodurre con questo rito la vita
e la missione del santo pellegrino. Ovviamente, come tutti i veri santi,
anche San Rocco non faceva distinzione tra ricchi e poveri, contadini e
artigiani, borghesi e nobili per cui non mancava mai la visita al
palazzo del Duca di Caccuri e alla sua famiglia che aveva dato alla
chiesa, fra l'altro, due arcivescovi, dove sostava un bel po' nella
cappella ducale per omaggiare ed essere omaggiato dai potenti
feudatari.
La processione del 16 agosto usciva dalla chiesetta
all'entrata est del paese, sotto la Porta Piccola, verso le 6 del
mattino quando braccianti, contadini, artigiani erano già svegli da un
pezzo, attraversava le strade del paese e giungeva alla chiesa di San
Marco a ridosso del Cucinaro e, dopo una breve sosta, al convento dei
domenicani dove sostava più a lungo. All'epoca non esistevano né
i Croci, né la Parte che sorsero solo negli anni 20 del secolo scorso.
Poi ripartiva, raggiungeva la Porta Grande, imboccava la via Buonasera e
arrivava al palazzo ducale dove, mentre il santo sostava nella
chiesetta, la servitù serviva il rinfresco offerto dai signori
Cavalcante e dal fratello del duca, don Antonio, cavaliere
gerosolimitano e priore della congregazione del SS. Rosario ai
portantini e agli esponenti del clero. Questa tradizione fu mantenuta
anche nell'epoca Barracco quando ai duchi subentrarono il barone
Guglielmo e la baronessa Giulia, sua nipote e moglie e si protrae anche
oggi che il palazzo non ospita più nobili.
Questa foto degli anni '60 documenta uno dei tanti
"pellegrinaggi" del santo di Montpellier all'antico palazzo
signorile. Fu infatti scattata all'interno del cortile e ci mostra un
bel po' di caccuresi molti dei quali non sono più con noi da anni. Da
sinistra si riconoscono Vincenzo Fazio (Ciciarone), Luigi Falbo (Luiginu
'u Zicallu), Peppino Rao, Luigino Aiello, Ciccio Tridico, Ottavio
Mercuri, Lino Ventura, Luigi Pisano e Giovanni Girimonte (Giovanni 'e
Nello) con la croce di penitenza. Un pezzo di storia caccurese in un
solo scatto.
VINCENZO SGRO: UN MILITARE EROE DI CIVISMO
Ieri
mi sono occupato degli eroi caccuresi, di quegli alti ufficiali,
carabinieri, soldati semplici che si resero protagonisti di atti eroici
tanto da meritarsi una medaglia d’oro e diverse di argento e di
bronzo. Oggi mi piace ricordare un altro grande ufficiale caccurese, il
secondo dei generali che videro la luce in questo fortunato, immemore
paese, Vincenzo Sgro.
Se
il generale Antonio Rizzo si rese protagonista di numerose imprese
belliche tra le quali una che rese reale la vecchia leggenda di Orazio
Coclite fermando con un pugno di uomini un reggimento nemico per
consentire al resto dell’esercito italiano in ritirata di mettersi in
salvo oltre il Tagliamento, prima di attraversare ferito il fiume e
ricongiungersi al resto dell’esercito, se il tenente colonnello
Umberto Iaconis, uno dei primi soldati partigiani che non solo non si
fece disarmare, assieme ai suoi uomini, dai tedeschi, ma li cacciò
prima dalla caserma nella quale si erano presentati a bordo di
autoblindo e poi da Salerno, il generale Sgro si rese protagonista di
numerose imprese civili non meno importanti. Egli, infatti, da quell’
uomo generoso e altruista che era, fu il fondatore della delegazione
della Croce Rossa di Palmanova, la città nella quale risiedeva, di
un’associazione che curava i ragazzi portatori di handicap mediante
l’ippoterapia, nonché l'animatore e il responsabile di un campo
profughi che accoglieva cittadini della ex Jugoslavia martoriata dalla
guerra. Fu attivo per molti anni anche come donatore di sangue. Tra i
tanti privilegi e le tante fortune che ho avuto nella vita annovero
anche quella di aver conosciuto quest’uomo straordinario e di aver
goduto della sua amicizia e della sua stima.
EROI CACCURESI
Caccuri,
oltre a essere un paese di grandi politici, letterati, diplomatici come
i Simonetta, Cicco, cancelliere e segretario del Ducato di Milano, il
fratello Giovanni, storico, lo zio Angelo, ambasciatore di Francesco
sforza a Venezia, dell’agiografo Cornelio Pelusio, di vescovi e
arcivescovi come Raffaele De Franco, Francesco Antonio e Domenico
Antonio Cavalcante, Giovanni Carnuto, il poeta Umberto Lafortuna e altri
ancora, fu anche un paese di eroi che si coprirono di medaglie e si
distinsero per coraggio e grandi gesta. Qui di seguito ne elenchiamo
alcuni.
Vincenzo
Ambrosio, tenente degli arditi, medaglia d’oro caduto a Nivice,
Albania nel 1943;
Umberto Iaconis, tenente colonnello dei carabinieri, medaglia
d’argento della Grande guerra, poi comandante partigiano che cacciò i
tedeschi da Salerno dopo essersi rifiutato di consegnare loro le armi;
Maurizio Sgro, bersagliere, medaglia d’argento al valor militare per
aver tenuto testa per una intera giornata agli austriaci consentendo ai
commilitoni di scavare in sicurezza una trincea;
Giovanni Dardani, carabiniere caduto eroicamente nel corso di
un’azione contro la banda Giuliano;
Antonio Rizzo, generale di divisione, due volte medaglia d’argento al
valoro militare, quattro medaglie di bronzo, quattro croci di guerra, la
Legione d’onore francese e altre decorazioni per un totale di 27 che
ne fecero il soldato più decorato nella storia dell’esercito
italiano.
A loro si aggiungono
altri caccuresi insigniti di onorificenze minori, ma non meno gloriose
per il loro sacrificio e la loro abnegazione nel corso di guerre che
spesso aborrivano, ma che dovevano combattere per l’insania e la brama
di potere dei governanti. Non vanno nemmeno dimenticati i tanti eroici
caduti caccuresi che non ebbero nemmeno questi riconoscimenti.
OMAGGIO A VINCENZO GUZZO ('U POETA)
Oggi voglio fare un omaggio
a un poeta caccurese, anzi "Al Poeta" come lo ribattezzarono i
paesani per distinguerlo dagli altri "Vincenzo Guzzo" che
vivevano a Caccuri.
Vincenzo era stato finanziere, poi, congedatosi, tornò a
fare il contadino e il frantoiano. Non so che studi avesse fatto,
probabilmente si era fermato alla licenza elementare, ma so per certo
che conosceva benissimo la rima incrociata, come nel caso di questa
lirica dedicata ai mietitori, quella baciata e quella alternata e una
discreta capacità di sfornare versi, semplici, forse un po' ingenui, a
volte didascalici, ma efficaci e che ispiravano buoni
sentimenti. Insomma un uomo colto nel senso vero del termine, una
cultura che racchiudeva un patrimonio di conoscenze tipico della
civiltà contadina, di valori, di moralità che è cosa diversa
dall'istruzione spesso vacua e sterile della quale spesso facciamo
sfoggio ai nostri giorni. Dobbiamo davvero essere grati a uomini come
lui.
MIETITORI
CALABRESI
Turbe
di gente riunite vanno
Canti di gioia e gridi d’allegria
Coi loro canti fanno un’armonia
Il prezioso grano mieteranno
Cannelli ai dita ed un
falcetto in mano
Cantano l’addio calabrisella
Passan tranquilla la giornata bella
E falceranno il prezioso
grano
Rastrellano le messi e
bevon vini
Non sentono stanchezza vera e strana
Nella giornata calda e pur malsana
Quei valorosi e forti contadini
Le
greggi al prato fanno un tintinnio.
Fra i canti di cicala scampanella
Fanno festosa la giornata bella
Con grande affetto e l’aiuto di Dio.
Caccuri
1947
UN PO' DI STORIA DEL NOVECENTO
Questa foto ha un inestimabile valore
storico, non tanto per l'evento che documenta, l'edizione de I Giudei
del 1965, una rappresentazione sacra ripresa dopo molti anni dalla fine
della guerra, portata avanti per qualche decennio e oggi di nuovo
assente da oltre tre lustri, quanto per la documentazione di uno dei
tanti sfregi al patrimonio paesaggistico dei quali cii siamo macchiati
nel corso di un secolo, dal 1919 a oggi.
Il luogo in foto era una piccola valle, praticamente
l'inizio di Valle del Pero, chiusa tra la Serra del Cucco e le colline
di San Nicola, un luogo ricchissimo di formazioni arenarie e di fossili
con una lussureggiante vegetazione di cisto, euforbie e spine che a
primavera la "ricoprivano d'oro." Ricordo che quando
accompagnavo nonno Saverio alla vigna, poi in parte espropriata dal
comune, mi ritrovavo tra i piedi centinaia di fossili di forme diverse:
conchiglie, strani peschi, rettili simili a gechi.
Un giorno un gruppo ragazzi esasperati per la mancanza di
un campo sportivo, si armò di picconi e badili e cominciò a spianare
quel paradiso naturalistico per farci un campetto di calcio.
L'amministrazione comunale dell'epoca, non solo non li blocco, ma mandò
addirittura una ruspa per qualche ora per continuare l'opera. Il
risultato è quello che si vede in foto, un campetto irregolare sul
quale i ragazzi giocavano qualche partitella. Allora si era ancora in
tempo per fermare il degrado, ma qualche anno dopo la piccola
valle divenne una gigantesca discarica di materiali di risulta e
trasformata, anche grazie allo sventramento di quel che rimaneva della
collina arenaria a destra nella foto, nell'attuale campo sportivo. Nei
dintorni dell'abitato c'erano molti altri luoghi pianeggianti che
avrebbero potuto ospitare perfino uno stadio nel rispetto del paesaggio,
forse anche con una spesa molto più contenuta, ma si preferì questa
"soluzione del problema" suggerita, fra l'altro, da un gruppo
di ragazzini.
I
FABBRI FERRAI DEL XX SECOLO
Caccuri
è sempre stato un paese di grandi artigiani, una tradizione
plurisecolari. In alcuni antichi manoscritti e vecchie cartine
geografiche si trovano rifermenti all’arte orafa caccurese che
scomparve, probabilmente, con il trasferimento degli antichi maestri a
San Giovanni in Fiore a seguito dei benefici concessi dall’abate Rota
in virtù di un diploma dell’imperatore Carlo V nel XVI secolo. Nello
stesso secolo operava a Caccuri il maestro fonditore Angelo Rinaldi che
fuse la campana della chiesa di Santa Maria delle Grazie. Nei secoli
successivi vi erano anche numerosi falegnami, fabbri e ebanisti tra i
quali i Trocino, una famiglia specializzata nella costruzione di altari,
pergami e scanni corali , sia nel loro paese di origine che in altri
paesi del Crotonese e dalla Calabria.
Nel XX secolo,
assieme ai falegnami, ai muratori, agli scalpellini, vi erano anche
numerosi fabbri che vogliamo ricordare in questa pagina. Quelli che
esercitarono il mestiere stabilmente facendone l’unica occupazione
della loro vita e che ricordo anch’io in attività furono i
seguenti.
Giuseppe
Gigliotti
Mastro
Peppino Gigliotti, classe 1881, fu unanimamente ritenuto, uno dei più
valenti artigiani di tutto il secolo. Bravissimo maniscalco, fabbro
provetto, discreto meccanico, era il maestro preferito dal barone
Baracco e dagli allevatori della zona. La versatilità di mastro Peppino
era proverbiale e spesso ci si rivolgeva a lui anche per la riparazione
di fucili, serrature ed altri congegni complicati. Aveva bottega ai
Mergoli, in un locale al piano terra della sua abitazione. Come capitava
spesso in quei tempi, Peppino Gigliotti era figlio d'arte avendo
imparato il mestiere dal padre, Antonio, mestiere che insegnò, a sua
volta, al proprio figlio. Verso la metà degli anni ’50, ormai in
pensione, si trasferì a Merano dove si spense il 7 novembre del 1973.
Vincenzo
Rotundo
Mastro
Vincenzo Rotundo, detto " 'U Savellise"
perché originario di Savelli, aveva la sua bottega di maniscalco
al piano terra della sua casa di via Buonasera (attuale casa di Angelo
Noce). Esercitò il mestiere fin verso la fine degli anni '50.
Pietro Di Rosa
Pietro
Di Rosa, figlio di Baldasarre e fratello di Angelo Di Rosa, maestro di
musica, aveva la sua bottega di maniscalco in
Via P. di Piemonte, nel rione Croci (l' attuale basso di Peppino
Sganga). Dopo aver esercitato per qualche anno il mestiere, verso la
fine degli anni '50 si trasferì a Roma ove visse per molti anni.
Michele
Marino
Michele
Marino, figlio di Peppino Marino, fu un fabbro ferraio molto attivo
negli anni '50 e '60 dello scorso secolo. La sua "forgia" era
ubicata in via Misericordia, nel locale a piano terra della casa paterna
che attualmente ospita il laboratorio di pittura del nipote Vincenzo
Parrotta. Verso la metà
degli anni '50 fu il primo fabbro caccurese a dotarsi di saldatrice
elettrica. Nel 1967 trasferì la sua bottega, per pochi anni, in largo
Montegrappa, prima di chiuderla per andare a lavorare a Timpagrande alla
costruzione della nuova centrale idroelettrica dove rimase fino al
pensionamento.
Domenico Pisano
Mastro Domenico fu un
fabbro molto abile e anch’egli un bravo meccanico amante della
precisione. Lavoro per moltissimi anni nella sua bottega nel rione Prato
(viale della Regina) anche quando apri un grande negozio nel quale
vendeva di tutto, dagli alimentari alla ferramenta. Era un uomo
instancabile che fece del lavoro la sua religione.
Orlando Girimonte
Uno degli ultimi
fabbri caccuresi che, come i precedenti furono anche dei bravi
maniscalchi, fu Orlando Girimonte che esercitò il mestiere fino alla
fine degli anni ’80. Aveva la bottega ai Mergoli, in un locale sotto
la vecchia caserma dei carabinieri. Ai suoi tempi le cavalcature erano
ormai quasi sparite per cui fu anche l’ultimo maniscalco in attività.
Altri
bravi artigiani che esercitarono questo nobile mestiere saltuariamente o
per pochi anni prima di emigrare per mancanza di lavoro furono Giuseppe
Pisano, Mario Guzzo,
Francesco Lacaria, Carmine Chiodo Michele Salerno e qualche altro che
non ricordo.
'A
PUTIGA 'E GIUVANNI GALLO E I GRANDI SARTI CACCURESI
Continuando la rivisitazione dei
negozi e delle botteghe artigianali del centro storico caccurese nella
seconda metà del Novecento, oltrepassato il bar Caputo, andando verso
piazza Umberto, proprio dirimpetto all'imbocco di via Mergoli e via
Buonasera, ci imbattiamo in questa botteguccia, " 'A putiga 'e
Giuvanni Gallo", una piccola sartoria che sembrava la "donnina
piccina picciò" nella quale, incredibilmente, lavoravano
quotidianamente almeno tre persone: il maestro Giovanni Gallo e i suoi due
"riscipuli" storici, il compianto Domenico Basile (Micuzzu 'u
zabarbaru) e Domenico Guzzo, oltre a quelli occasionali che mastro
Giovanni prendeva come apprendisti nei mesi estivi.
Nel Novecento a Caccuri c'erano alcuni grandi sarti. Quelli
che ho conosciuto o dei quali ho sentito parlate erano quattro o cinque.
Il più famoso era un artigiano conosciuto in tutta la provincia che
confezionava i suoi rinomati vestiti firmati tra i quali anche frac (uno
di questi ho anche avuto la fortuna di indossare per due sere) era il
maestro Domenico Sellaro che, prima di trasferirsi a Roma, aveva bottega
al Vincolato in quel locale che poi ospiterà la casa dei poveri.
Il secondo era il maestro Giovanni Secreto (Sonnino),
padre del dottor Leonardo, vice direttore generale di Difepensioni, una
direzione del Ministero della Difesa, che aveva bottega nella sua stessa
abitazione all'imbocco di via Portapiccola e, appunto, il maestro Giovanni
Gallo che dapprima lavorò per molti anni nella sua casa nel rione
Pizzetto, poi si spostò in quest'angusta botteguccia. Altri sarti
caccuresi che esercitarono il mestiere saltuariamente, anche perché
emigrarono o cambiarono lavoro, furono Peppino Falbo (Peppino Iaconis),
Angelino Secreto, Rocco Mele e, da ultimo, Ottavio Mercuri che fu allievo
del maestro Gallo.
La bottega del maestro Gallo mi era particolarmente cara
perché per circa tre mesi, nell'estate del 1962, fui anch'io uno dei suoi
apprendisti (riscipule). All'epoca, infatti, i genitori, oltre a
mandarci a scuola a prezzo di immani sacrifici, si preoccupavano anche di
farci apprendere un mestiere. Così fui messo a bottega da mastro Giovanni
assieme a quelli più anziani Micuzzu Basile e Micuzzu Guzzo, e ad altri 4
o 5 miei coetanei. Nel periodo precedente la festa di San Rocco molti
caccuresi si facevano confezionare il vestito su misura per cui il maestro
era oberato di lavoro. Lui tagliava la stoffa e, assieme ai due
apprendisti più anziani li confezionava e affidava ai noi ragazzi di 12 -
13 anni il compito di cucire gli orli dei pantaloni (perama), attaccare i
bottoni e e di imbastire la tela che si usava per il davanti delle giacche
con un punto che sembrava la punta di una freccia.
Quanti vestiti completi e quanti pantaloni confezionammo in
quella torrida estate con noi ragazzi seduti supra 'u settu 'e ra Miliè a
cucire e imbastire e se oggi so "ìmpilare l'acu e attaccane 'nu buttune" devo ringraziare con gratitudine il maestro Gallo.
A quei tempi si aveva un grandissimo rispetto per il maestro
al quale ci si rivolgeva chiamandolo "Summà" che potremmo
tradurre in "sommo maestro." Ancora non erano stati inventati i
corsi di formazione professionale nei quali forse, ma è solo un mio
sospetto, spesso si insegna poco, ma si mangia molto e gli antichi
mestieri come quello del sarto sono spariti e se ti cade un bottone della
patta dei pantaloni, se non sei stato apprendista del maestro Gallo, li
devi buttare e comprarne dei nuovi.
STORIA DI UN FORNO E DI UN'ANGURIA
Sempre a proposito delle numerose
attività commerciali sorte in piazza nel secolo scorso, mi piace
ricordare "il primo forno dell'era moderna" aperto in piazza
da Salvatore Blaconà. Salvatore, orfano della Grande guerra, fu
chiamato alle armi e spedito in Africa. Tornato a Caccuri alla fine del
secondo conflitto, costruì un forno moderno che si affiancò ai vecchi
forni a frasche sparsi nel paese che, pian piano, chiusero anche per la
morte delle vecchie fornaie. Oltre al forno gestì per alcuni anni anche
la vicina pompa di benzina. Nei primi anni '60, quando trovò un
impiego nella Montecatini e si trasferì con la famiglia a Crotone,
cedette entrambi gli esercizi a Francesco Lacaria che poi emigrò in
America per cui gli subentrò il cognato Francesco Loria e, dopo la sua
morte, il figlio Davide.
Al forno Blaconà, nel quale si cuoceva il pane ricavato
ancora dal grano duro caccurese, oltre ai tanti altri, è legato un mio
curioso ricordo, una birichinata che avrebbe potuto avere conseguenze
catastrofiche, ma che per fortuna si risolse con un vestito imbrattato
di succo dolciastro.
Era una serra di ferragosto dei primi anni '50 e, non
ricordo perché, il forno era pieno di angurie. Io e il
figlio, il mio fraterno amico Franco, avevamo 4 - 5 anni e i nostri
genitori, legati da un'amicizia che definire fraterna è ancora
riduttivo, ci portarono in piazza ad ascoltare la musica.
Ovviamente, salimmo sul tetto a terrazzo del forno portandoci dietro una
piccola anguria a testa che, incuranti della festa, facevamo rotolare
per gioco sul solaio in leggera pendenza, mentre gli adulti, presi dal
concerto, non badavano a noi. A un certo punto io lasciai rotolare la
mia anguria, Franco non fece in tempo a fermarla e cadde di sotto
centrando la testa di una signorina che abitava vicino casa nostra.
Fosse stata una di quelle zucche insipide e dure che ti rifilano oggi
spacciandole per angurie l'incidente avrebbe avuto serie conseguenze e
la donna sarebbe sicuramente finita in coma, invece, per fortuna, a quei
tempi le angurie erano ancora buone, dolcissime, mature che appena ci
infilavi dentro la punta del coltello scoppiavano con un "craaaak"
che valeva più di dieci marchi DOP. Così si spiaccicò sulla testa
della malcapitata inzuppandole il vestito di liquido rosso dolcissimo
procurandole soltanto un po' di spavento. A quei tempo oltre alle
angurie erano buone anche le persone per cui né lei, né la famiglia
fecero storie, non sporsero alcuna denuncia, non chiesero
risarcimenti, anche perché all'epoca non c'erano ancora gli avvocati
che istigano i genitori a far causa alla scuola e agli insegnanti per
ogni graffietto che si provoca un alunno e tutto finì con una sgridata
dei miei e le doverose scuse alla famiglia.
Ps
Nella prima foto, in realtà una cartolina prodotta dal compianto
Vincenzo De Rose nel 1961, compaiono una donna e un ragazzo. La
donna è mia madre, il ragazzo sono io qualche anno dopo l'incidente
dell'anguria.
LA PECE, UNA RISORSA DELLA SILA
Questa foto, scattata una quindicina
di anni fa in occasione di una visita al parco nazionale della Sila
assieme ad alcuni colleghi francesi, ci mostra la slupatura a
spina di pesce di un pino per l'estrazione della pece, una delle
più antiche occupazioni delle popolazioni autoctone silane che si
protrasse per millenni e che si praticò fino agli anni 50 del secolo
scorso.
La pece era molto ricercata per calafatare le imbarcazioni,
ma anche per altri molteplici usi. Dalla Sila la pece giungeva nei vari
porti della regione attraverso diversi percorsi, le vie della pece.
Secondo alcuni storici una di queste era il corso del fiume Neto
all'epoca navigabile. Per saperne di più, comunque, consiglio di
leggere l'interessante e documentata opera del bravo Francesco Cosco,
"La Via della Pece- L’antica arte della resinazione nel Parco
Nazionale della Sila”. Purtroppo con l'irrompere della modernità,
l'uso di nuovi materiali e nuove tecnologie anche questa preziosa
risorsa del nostro territorio rimane inutilizzata.
GENNAIO 1972 - UN'ALLUVIONE
PROVVIDENZIALE
18/1/1972
Quarantanove anni fa,
proprio in queste ore, la nostra zona era martellata
da una pioggia torrenziale che durò alcuni giorni provocando notevoli
disagi e l'isolamento del nostro paese per un paio di giorni. I danni
furono ingenti con decine di strade devastate, crollo di muri di
sostegno e allagamento delle campagne. A Timpagrande una frana immensa
si staccò dalla montagna seppellendo la vecchia centrale idroelettrica
realizzata negli anni 20 del Novecento e inaugurata nel luglio del 1927
dal re Vittorio Emanuele III. L'Enel in un primo tempo sembrava
orientata ad abbandonare la produzione. ma in seguito decise di
costruire una nuova centrale, questa volta in caverna nel cuore della
montagna con una nuova condotta forzata e il raddoppio di quella di
Calusia. Così quella che sembrava una catastrofe finì per trasformarsi
in una formidabile occasione di lavoro per minatori, carpentieri,
manovali, autisti di Caccuri, Cotronei e Petilia che per una decina di
anni portò occupazione e un relativo benessere nei tre paesi.
L'alluvione provocò anche il crollo delle grotte del
vicino bosco di Casalinuovo nelle quali circa un secolo prima avevano
trovato rifugio i resti della banda di Pietro Monaco e fu catturata la
moglie Ciccilla.
L'O.V.S. PER I MILITANTI
DELLA SINISTRA
§
Come vi dicevo ieri, dopo
molto tempo sono tornato a fare un giro sul monte Gimmella (Jimmella
nella lingua dei padri) che attraversavo tutte le mattine in pullman
quando frequentavo l'istituto magistrale a San Giovanni in Fiore e sul
quale, fino alla metà degli anni '80, raccoglievo, assieme ai miei,
rositi (lactarius deliciosus) e vavusi (boleto edule). In cima al monte
c'è un rettifilo a sinistra del quale, salendo da Fantino in direzione
San Giovanni in Fiore, c'è un piccolo fabbricato conosciuto come
"La casermetta di Gimmella" che non ho mai capito se fosse un
rifugio del vecchio Corpo forestale dello Stato o l'abitazione di
qualche guardia boschi dell' OVS, l'Opera Valorizzazione Sila,
istituita nel 1947 e ritenuta da dirigenti e dai militanti della
sinistra, il principale ente clientelare democristiano, il refugium
peccatorum degli attivisti di quel partito, molti dei quali provenivano
anche dal partito comunista che avevano abbandonato quando si
erano resi conto che dall'altra parte si mangiava meglio. D'altra parte
gli stessi dipendenti non facevano nulla per nasconderlo. Su molte opere pubbliche
realizzate nei primi anni 50, le maestranze, sotto l'occhio divertito di
capi squadra e assistenti, nel cemento fresco, accanto
alla scritta O.V.S. incidevano anche l'immancabile scudo crociato. Quando nel 1979 comprai Zifarelli, su una vecchia vasca di
irrigazione realizzata dall'O.V.S. evidentemente per risarcire il
vecchio proprietario del mancato indennizzo dell'esproprio per la
costruzione della strada Caccuri - Santa Rania, facevano bella mostra di
sé la scritta O.V.S. e lo scudo crociato poi cancellati improvvidamente
dagli operai che mandai a ristrutturarla.
Negli anni 50, quando il ricordo dello scontro elettorale
durissimo del 1948 con le madonne pellegrine, le scomuniche dei
comunisti, i "cavalli cosacchi che si sarebbero abbeverati nelle
fontane del Vaticano", del "nella cabina elettorale Dio ti
vede, Baffone no" e del massiccio clientelismo elettorale, i
dipendenti e i quadri dell'OVS vennero ribattezzati da comunisti e
socialisti "I lupi 'e ra Sila."
Tornando alla casermetta, pare che subito dopo l'armistizio
gli inglesi, in società con un signore di San Giovanni in Fiore, Emilio
Morrone, vi impiantarono di fronte, in località Salice, una segheria1
che lavorava la materia prima reperita in luogo con il selvaggio
disboscamento dell'altopiano silano a titolo di risarcimento dei danni
di guerra.
1)
Paolo Talarico, La sveglia di Za Saletta, Il nuovo Corriere della Sila,
anno XXIV nuova serie, 4-5 aprile 2014, pag. 11
POLITELLA, LA MULA "GOMMATA GIGLIOTTI"
Qualche giorno
fa l'amico Alessandro Garofalo, in un commento a un mio post su di una
sua bellissima foto dell'Ampollino, ha postato questa storica foto che
ritrae il re Vittorio Emanuele II in groppa a Politella, la mula del
signor Domenico Lopez che don Giulio Verga mise a disposizione del
sovrano per raggiungere Cotronei da Timpagrande dove qualche ora prima
aveva inaugurato la centrale di Timpagrande.
Quella di Politella e della cavalcata del re è una
storia curiosa che ho già avuto modo di raccontare, ma che ripropongo
per chi non la conoscesse perché come caccuresi ci riguarda da
vicino.
All'epoca per raggiungere la centrale e poi Cotronei,
il re, sceso da un vagone speciale della ferrovia Crotone - Ponte di
Neto, aveva bisogno di montare una cavalcatura per cui ci si rivolse a
don Giulio Verga, un possidente di Cotronei. La natura impervia del
terreno consigliava di servirsi di un animale mansueto per cui, non
avendone una a disposizione, don Giulio si rivolse al signor Domenico
Lopez che gli mise a disposizione una mula dal nome Politella. Dovendo
essere impostata dal re, il Verga si preoccupò anche che fosse ferrata
a regola d'arte per cui consigliò all'amico Lopez di rivolgersi alla
massima autorità in materia, ovvero il fabbro, meccanico,
maniscalco più famoso della zona, il caccurese mastro Peppino Gigliotti.
Il Lopez allora scrisse al maestro caccurese:
“Caro
mastro Peppino,
don Giulio Verga , per mezzo di un corriere mi scrive che, in occasione
della venuta di sua maestà Vittorio Emanuele a Cotronei per
l’inaugurazione della centrale elettrica di Timpagrande e che deve
essere ricevuto da lui, dovendo questo percorrere qualche tratto a
cavallo per la visita ai laghi e lui non ha animali ammansiti come la
mia mula e il cavallo, mi prega di mandarle tutte e due quale di uno sua
Maestà vorrà usare, però farli ferrare a Gigliotti aggiustandole i
piedi a suo modo, perciò ti mando mula e cavallo per ferrarli a nuovo.
Tu sai come aggiustare i piedi, ma io ti consiglio i ferri
piuttosto leggeri. Ti saluto.
Domenico Lopez.
La mula gommata, pardon ferrata Gigliotti fece
egregiamente il suo lavoro e il padrone qualche giorno dopo ringraziò
un questo modo mastro Peppino:
“Caro mastro Peppino,
don Giulio Verga nel rimandarmi mula e cavallo mi ringrazia sentitamente
e mi dice che la mula ha portato a cavallo sua Maestà ed è andata
benissimo e con ciò spetta anche a te una parte del merito. Ti sarei
grato se mi hai finito il bollo per le vacche (probabilmente un marchio)
che debbo mandarle alla Sila a Vaccarizzo. Ti saluto.
Domenico
Lopez"
ACCADDE OGGI: MUORE L'ARCIVESCOVO DI COSENZA CAVALCANTE
Domenico Lopez.
Il 7 gennaio del 1748 muore l'arcivescovo di Cosenza Francesco Antonio
Cavalcante, uomo dotto, autore delle Constitutiones et Decreta
Congregationis Clericorum Regularium pro Studiis et Scholasticis, cum
triplici e delle Vindicae Ponteficium Romanorum”.
Monsignor Cavalcante nacque a Caccuri nel palazzo ducale
della sua famiglia il 22 ottobre 1695. Entrato a 16 anni
nell'ordine dei Teatini, venne ordinato sacerdote il 18 dicembre
del 1718 e il 20 maggio del 1743 ottenne la cattedra cosentina. Fu amico
di Antonio Genovesi e di Giacomo Casanova.
Nel 1744 Casanova, giunse in Calabria alla ricerca di
un impiego come segretario senza riuscire nel suo intento, trovandosi
presto a corto di denaro. In questi frangenti conobbe il prelato
caccurese che lo prese in ben volere
e gli fornì
i mezzi economici per recarsi a Napoli e alcune lettere di
presentazione per il marchese Galiani e per il
duca di Maddaloni e gli offrì anche dell'eccellente vino di di Gerace.
Casanova gliene fu molto grato e nelle sue memorie si ricordò del
vescovo caccurese definendolo "uomo di spirito e danaroso.
A PROPOSITO DI RRINE E STRENNE
In passato, quando
non si conoscevano il covid, né parole come lockdown, distanziamento
sociale, gel alcolico, ma soprattutto, “Quannu Caccuri era ‘nu paise
chjiunu re gente e senza case chiuse” questo era il periodo della
rrina, la strenna, la serenata augurale che veniva portata
di casa in casa dagli amici. Ma qual è l’origine di questa
tradizione?
La strenia
Secondo molte leggende la strenna
deriverebbe dalla divinità romana Strenia o Strenua, dea della potenza,
della prosperità e della fortuna il cui culto avrebbe avuto origini
sabine. Narra una antica leggenda che ai tempi di Romolo la strenna era
che un fascio di rami di una pianta propizia che cresceva rigogliosa in
un bosco sulla via Sacra consacrato a questa divinità.
L'usanza di offrire in dono le strenne pare nacque proprio
durante i Saturnali che venivano celebrati nel periodo compreso tra il
17 e il 24 dicembre e che erano riti arcaici per festeggiare la morte
del Vecchio Sole e la nascita del Nuovo dopo il solstizio d'inverno.
Successivamente l'uso di scambiarsi vicendevolmente rami della pianta
sacra, fichi e mele si spostò alle calende di gennaio, ovvero al primo
gennaio. Con la strenna ci
si voleva augurare un anno dolce come i frutti che venivano scambiati.
Col tempo i rami di Strenia, i fichi e le mele vennero sostituiti da
altri doni a seconda dei gusti e delle tasche di chi li offriva.
L'usanza di cantare 'a rrina per le
case del paese potrebbe invece avere avuto origine da uno scopo
"meno nobile e più pragmatico" ovvero dal desiderio di
guadagnarsi qualcosa da
mangiare in cambio dell'augurio e della serenata. Quella di guadagnarsi
la pagnotta attraverso il canto, nonostante si dica comunemente che
"carmina non dant panem" è, infatti, un'arte antica. C'è
sempre stato qualcuno nella storia, ancor prima che venisse inventato il
diritto d'autore, che ha sempre cercato di sbarcare il lunario cantando,
ora le lodi sperticate del potente o del tiranno di turno, ora facendo
appello al sentimento, ora usando il canto come formidabile arma di
ricatto (vedi il grande Velociu).
Che la rrina servisse a
"scroccare" qualcosa lo si intuisce dagli stessi bellissimi
versi, alcuni ruffiani (Allu perale 'na fonte c'avia, ce stava frisca
tu, donna galante - Alla curina tu, gioiuzza mia, Stella re Pararisu
alluminante), altri espliciti ( 'A rrina m 'a faciti ccu dinari, cussì
cummena a vue, cari signori - Au,
au, au, e famme la rrina fai,
fàmme la rrina chi me soli fare. Nu gallu, na gallina o
puramente ‘nu fiascu ‘e vinu). Gli
"rrinari" però si
rendevano conto del sacrificio che chiedevano al povero padrone di casa
tant'è che cercavano di rassicurarlo e rabbonirlo (‘Un ve spagnati ca
nun simu assai, ca simu trentatrii e lu cantature) e di scaricare la
responsabilità sull'ignaro Padreterno (Nun simu nue chi circamu a rrina,
ma l’ha lassàta lu nosrru Supranu.
Scherzi a parte, la tradizione della
rrina cantata casa per casa era e rimane una tradizione bellissima, un
canto che portava la gioia e la felicità nelle famiglie che si
ritenevano onorate di ospitare questi artisti di strada e che, quando la
loro casa, per un motivo o per un altro veniva saltata, si sentivano
offese.
DUE ILLUSTRI BISNONNI
Oggi vi presento una
coppia di caccuresi che compare nel mio albero genealogico e che ebbero
un ruolo di primo piano nella Caccuri dei primi decenni del XX secolo.
Il bisnonno Ercole Scigliano nacque
il 13 novembre 1858, a Belvedere Spinello, da Luigi Scigliano
e da Marianna Derise. A differenza di molti suoi coetanei, ricevette una
discreta istruzione, probabilmente da qualche religioso suo parente, che
arricchì poi da auto didatta. Ciò gli consentì da adulto di diventare
capo cantoniere e, nel 1904, di ottenere dal Comune di Caccuri
l'incarico di insegnare a leggere e a scrivere ai fanciulli che ne
avevano la possibilità e la voglia e, tra questi, ai figli Maria, Luigi
e Chiara nati dal matrimonio con donna Vincenza Lucente, figlia del
possidente Carmine e di Domenica Maria Gigliotti, nata il 6
novembre del 1855.
Ercole Scigliano, oltre a cantoniere capo e insegnante di
scuola elementare, fu per moltissimi anni anche il priore della
Congregazione del Santissimo Rosario fino al 16 settembre del 1942
quando si spense all'età di 83 anni. La moglie, invece, si era già
spenta tredici anni prima, il 2 agosto del 1929. Del bisnonno Ercole
conservo un dizionarietto della lingua italiana, forse un Piccolo
Palazzi o qualcosa di simile, mancante di molte pagine e con la sua
firma autografa, l'unica eredità che ci è pervenuta dagli antenati di
mio padre,
ANCORA
STORIA NEI TESTAMENTI
Come sostenevo qualche
giorno fa in un post analogo e come emergeva dai dotti commenti dei miei
amici, professor Giovanni Ierardi, giornalista e persona di grande
cultura, e della professoressa Anna Russano, gia docente dell'Accademia
delle belle arti alla quale dobbiamo alcuni pregevoli libri sul
patrimonio artistico e culturale del Crotonese, i testamenti che si
possono leggere e studiare negli Archivi di Stato e in quelli notarili,
sono una miniera preziosa di informazioni. A conferma di questa mia
affermazione trascrivo qui di seguito un testamento del 12 gennaio del
1823 redatto dal notaio caccurese Francescoantonio Ambrosio.
La lingua è quella di due secoli fa, ma,
sorprendentemente, ci appare abbastanza moderna, pur se si avverte la
caratteristica gergale - burocratica tipica della pubblica
amministrazione in tutte le epoche. Questo importante documento ci fa
conoscere, la piramide giurisdizionale della Provincia, alcuni toponimi
del nostro paese, la condizione sociale e la professione dei vari
attori, la moneta corrente, gli usi e le credenze religiose con la
testatrice che si preoccupa della sua anima e impone agli eredi
l'obbligo di far celebrare messe basse, ovvero privat,e in suffragio
dell' anima dei defunti, celebrate da un solo prete con la sola
assistenza dei chierichetti.
Il particolare, in questo testamento, troviamo una
notizia molto importante che conferma come nella chiesa di Santa Maria
del Soccorso, nel documento indicata come San Domenico perché annessa
al convento domenicano, erano in uso, ancora nel 1823, nonostante le
leggi napoleoniche in materia di polizia mortuaria, le fossae mortuorum.
Insomma un vero diletto per chi si immerge in queste ricerche. Se avete
un po' di tempo e non vi annoiate vale davvero la pena di leggerlo.
Buona giornata.
Testamento
di Laura omissis
N. 3 del Repertorio
Regno delle due Sicilie
Oggi
li dodici del mese di gennaio anno mille ottocento ventitre, in questa
Comune di Caccuri, alle sedici, Regnando Ferdinando Primo per grazia di
Dio Re delle due Sicilie, Re di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di
Parma, Piacenza e Castro e Gran Principe Ereditario di Toscana
Innanzi
a Noi Francescantonio Ambrosio figlio del fu Domenico, Regio Notaro
residente in Caccuri e degli infrascritti testimoni a noi bene cogniti e
godenti dei diritti civili i quali avvertiti delle qualità richieste
dalle leggi hanno dichiarato essere noti ed idonei e che non hanno
impedimento alcuno, si è presentata la signora Laura omissis figlia del
fu Tomaso, domiciliata in questa suddetta Comune, sana di mente, ma
inferma di corpo, la quale ci asserì che ad oggetto di prevenire
qualche litigio o discussione fra i suoi dopo la morte, ha risoluto
farsi il suo testamento in
forma pubblica quale ha dettato a me Notaro in presenza dei sottoscritti
testimoni e che noi abbiamo scritte le sue disposizioni tali quali colla
sua propria voce ci ha dettate.
Primieramente raccomanda l’anima sua all’Onnipotente
Dio e a Maria Santissima qual
fedele cristiana acciò nel passaggio da questa all’altra vita la
conducessero in luogo di penitenza.
Istituisco miei
eredi universali e particolari sopra tutti i miei beni liberi per legge,
mobili, stabili e semoventi, ori, argenti, rame crediti e nomi di
debitori in qualsivoglia maniera consistenti, i miei cari e benedetti
nepoti chiamati Teresa, Costanza e Gennaro omissis, figli del fu mio
fratello Gennaro ai quali incarico di adempier ciò che avrò per
ordinarli.
Voglio primieramente e comando che la vigna sita in
territorio di San Giovanni in Fiore, luogo detto il Battinderi si venda
dai miei diretti eredi e per quanto avrà l’importo della stessa me ne
faccino addebitare per l’anima mia tante messe basse in altare
privilegiato, a seconda che ne pattuiranno i motivi del pagamento.
Voglio ancora che la spesa funebre e il trigesimo si faccia dai suddetti
miei eredi sopra l’asse ereditario.
Comando ancora ai suddetti miei eredi che seguita sarà la mia morte,
l’asse ereditario se lo debbano dividere egualmente riservando
solamente per la mia nipote Teresa il vestimento di seta come si attrova
e ciò per i pregiatissimi servigi prestatimi.
Dichiaro dover conseguire dalla mia cognata Antonia omissis
carlini venti ; questi ne faccino anche celebrare per l’anima mia
dieci messe basse, come ancora voglio che sopra il magazzino di detti
miei eredi faccino anche celebrare per l’anima mia anche dieci mese
basse una volta tantum.
Dichiaro che ciò che potea spettare alla mia sorella
Domenica, nel collocarsi in matrimonio la di lei figlia Grisolia omissis
ce lo contribuì con un basso di casa sito dentro questa Comune , luogo
detto la piazza e con una pezza di vigna sita in territorio di San
Giovanni in Fiore, luogo detto il Battinderi ed un anello per cui sulla
mia eredità non si vanta diritto alcuno.
Comando ancora che il mio cadavere sia trasportato e sepolto nella
chiesa di S. Domenico, essendo questa la mia volontà.
Di quali disposizioni ha dichiarato a noi Notaro che ne
avessi formato il presente atto quale è stato letto alla testatrice ad
alta ed intelligibile voce ed ai testimoni presenti a noi bene cogniti.
Fatto, letto e stipulato il presente atto in questa
Comune di Caccuri, Provincia di Calabria ultra seconda, Distretto di
Cotrone, Circondario di Umbriatico in casa di essa testatrice sita
dentro questa Comune, luogo detto la Porta piccola in presenza dei testimoni signor Domenico omissis figlio di
Angelo di età maggiore e di
condizione sacerdote, Rosario omissis, figlio del fu Angelo di età
maggiore e di condizione ferraro, Don Pasquale omissis del fu Paolo di
età maggiore e di condizione galantuomo, e Pasquale omissis, figlio del
fu Saverio, di età maggiore
e di condizione ferarro, tutti domiciliati in questa Comune di Caccuri
li quali dopo la lettura e dopo che essa Laura omissis ha dichiarato di
non sapere scrivere hanno con noi firmato oggi giorno, mese ed anno come
sopra.
Io Domenico omissis figlio del fu Angelo sono presente testimonio,
conosco Laura omissis testatrice che non sa scrivere
Io Rosario omissis figlio del fu Angelo sono presente testimonio,
conosco Laura omissis testatrice che non sa scrivere
Io Pasquale omissis figlio del fu Paolo sono presente testimonio,
conosco Laura Manfreda testatrice che non sa scrivere
Io Pasquale omissis figlio de, fu Saverio figlio del fu Angelo sono
presente testimonio, conosco omissis testatrice che non sa scrivere
Io N. Francescantonio Ambrosio figlio del fu Domenico residente in
Caccuri, Provincia di calabria ultra seconda che in fede ho segnato col
segno del mio tabellionato
N.
94
Registrato in Umbriatico il
tre aprile 1823
Rec. N. 1 vol. 4°, Fog. 3, fasc 2°
Ricevuto grana ottanta 0,80
Il Ricevitore
M. Pugliese
LA STORIA ATTRAVERSO I TESTAMENTI
Una
delle fonti più interessanti per ricostruire la storia minuta dei
piccoli paesi sono i vecchi testamenti custoditi negli archivi di Stato o negli archivi notarili.
Leggendo questi preziosi documenti, spesso apprendiamo non solo notizie
relative ai passaggi di proprietà, ma anche tutta una serie di piccole
notizie che, incrociate e confrontate con altre, ci consentono di
ricostruire un periodo storico in tutti i suoi aspetti. Nei gli atti
notarili, infatti, troviamo informazioni anche sugli usi e i costumi di
una località, sull’abbigliamento degli abitanti, sulla composizione
dei corredi, sulle autorità civili, militari, religiose presenti in un
determinato paese e sulle sue istituzioni come nel caso di questo
testamento del caccurese Carmine Lucente, mio antenato di parte paterna.
L’11
febbraio del 1818, Carmine, il maggiore dei fratelli, giace a letto
gravemente ammalato per cui decide di fare testamento a favore dei
congiunti. L’atto è redatto dal notaio Francescantonio Ambrosio che
si reca di persona a raccogliere le ultime volontà del malato nella sua
casa del rione Murorotto. Da questo interessante documento apprendiamo
molte notizie tra le quali il passaggio del basso, ossia la bottega di
calzolaio sita nella via Misericordia “col peso di una messa
all’anno per l’anima mia fintantoché detta bottega esisterà” al
fratello Giacomo, mentre il resto delle proprietà vengono ereditate in
ugual misura da tutti gli eredi che hanno, fra l’altro, l’obbligo di
vitto e alloggio nei confronti di Marianna “essendo fatua”, cioè
nubile. Dallo stesso atto desumiamo anche la presenza a Caccuri di un
Monte di Pietà, istituzione finanziaria senza scopo di lucro che
concedeva piccoli prestiti in cambio di un pegno, prestiti che dovevano
essere restituiti entro un anno pena la messa all’asta del pegno
depositato. Questo Monte di pietà fu forse la prima banca caccurese.
Successivamente il Monte di pietà fu sostituito da un Monte
frumentario, enti istituiti con un decreto emanato il 29 dicembre 1826
da Francesco I, re del Regno delle due Sicilie che rimase in attività
fino alla calata di Garibaldi.
DON MARZIO CAVALCANTE DONA IL VIGNALE AL
ROSARIO
Quella che segue è la
trascrizione del documento con il quale il duca Don Marzio Cavalcante
seniore dona alla Congregazione del Santissimo Rosario della quale era
priore il figlio Antonio, cavaliere dell'ordine Gerosolimitano che
rinuncio alla primogenitura in favore del fratello Rosalbo, il fondo
Vignale, a est del paese sotto la chiesa di San Rocco, in aggiunta a un
contributo di 900 ducati. Questa donazione, assieme a quella del Monte,
conosciuta come Manca del Rosario dove poi sorse il cimitero e
all'erezione della cappella all'interno dei convento domenicano fecero
della congregazione del Rosario la più potente e più ricca tra le
altre associazioni religiose caccuresi.
Volendo noi contribuire
alla Nobile Congregazione del SS. Rosario eretta dentro il nobile
Convento di San Domenico di questa (illeggibile) di Caccuri docati
novecenti apparati colli Proc. Della Medesima, abbiamo risoluto e
seriamente determinare col (illeggibile) Consiglio donare, assignare,
cedere e rinunciare alla pregiata nobile Congregazione il Vignale a noi
appartenente e sito nelle pertinenze di (illeggibile) (illeggibile) come
volgarmente la Parte alborato di pochi celsi neri e di capacità di
illeggibile remulata in circa, confine li Vignali della medesima
Congregazione: quello dei P.P. di San Domenico e l’altro della
Cappella di S. Maria del Carmine di questa unità; onde volendo noi
mandare in esecuzione la predetta determinazione in vigore (illeggibile)
e di ogni solennità nullata e di qualunqu’ altro meglio modo e
maniera (illeggibile) benefici di essa nobile Congregazione della
medesima, donamo, assignamo, cedemo (illeggibile) l’enunciato Vignale,
confinato come sopra, farne libero ed esente di ogni peso, onere e
servitù dimodosché da oggi in avanti passi in pieno dominio della
pregiata nobile Congregazione la quale me possa disponere di suo modo
come di quello (illeggibile)
e Domina e S.na , nessuna cosa a noi riserbando, ma formalmente e
solennemente cedendo ogni jusso, azzione e raggione (sic) com quomodo
cumf. Equali (illeggibile) potess competere a noi ed a nostri eredi e
successivi i quali questo medesimo atto ex ninc pro tunc
obbligano.
Dato in Caccuri dal
Castello di nostra residenza oggi 4 gennaio 1750
Duca don Marzio
Guarascio segretario
UN COMMISSARIO PER L'EMERGENZA
CACCURESE DI DUE SECOLI FA
Nell'Ottocento diversi sindaci di Caccuri
erano originari di altri paesi e si trovavano
nella nostra cittadina perché avevano sposato donne del luogo. Tra
questi, uno dei primi fu Pasquale Montemurro, che ebbe un ruolo
determinante nella cattura
dei fratelli Bandiera e dei loro sfortunati compagni.
Fu lui, infatti a informare la guardia urbana di San Giovanni in Fiore
della presenza della comitiva sovversiva a Bordò consentendo ai
gendarmi della cittadina florense di predisporre l'agguato alla Stragola
col successivo scontro che provocò la morte di Francesco Miller e
Giuseppe Tesei, il ferimento di Domenico Moro e la cattura degli altri
mentre Giuseppe Meluso, il Nivara di San Giovanni in Fiore che faceva
loro da guida, si dileguò nei boschi.
Un altro sindaco forestiero fu Gennaro Faccioli che
ricoprì la carica del 1832 al 1835. Nel 1832 fu nominato presidente
della "Commissione locare per la restaurazione dei danni del
tremuoto" del marzo 1832 . In questa veste subì molte
contestazioni per il modo autoritario col quale gestiva la ricostruzione
e per i ritardi che questo suo modo di agire provocava. Per questi
motivi il capo della guardia urbana Vincenzo
De Franco, deputato della Commissione, scriveva all’intendente
Giuseppe De Liguoro per informarlo che “i lavori per gli accomodi
delle casa danneggiate sono principiati, ma progrediscono
lentissimamente per la scarsezza di operai. Il Presidente(Sindaco
Faccioli) di questa Commissione intende fare eseguire tai travagli
ai soli muratori del Paese che sono nel ristretto numero di quattro, al
fine di far restare nel comune istesso il danaro che si eroga,
lodevolissimo pensiero se non urtasse direttamente le di lei savie
disposizioni e gli interessi di tanti danneggiati, mentre così va a
trascorrere la bella stagione adatta a tali lavori.”
Il Faccioli, di professione macellaio, il cui mandato
di sindaco era ormai scaduto e che rimaneva in carica per gestire
l'emergenza terremoto, fu accusato anche di peculato da alcuni anonimi
che così scrissero all'intendente: "
“Si
supplica V.E. che il denaro che V.E. ha inviato perché si accomodino le
case di Caccuri se lo ave mangiato il sindaco Faccioli avendone comprata
una per la chianca ci accomodi alle persone che hanno avuto lo danno
dello terremoto. V. E. ne prenderà conto che troverete la verità e
potete ordinare al Regio Giudice di pigliare le informazioni non essendo
di giusto che V.E. avete avuto tanta carità per li poveri ed il Sindaco
mangiarsi il danaro senza fare niente, Tanto si supplica di avere a
grazia.” In una lettera del 23 giugno del 1834, poi, il
Sottointendente informa il suo superiore di avere “obbligato coi
piantoni (le guardie) il passato sindaco a versare in cassa le somme che
si aveva appropriato.”[2]
Almeno in questo caso pare che il maltolto sia stato restituito;
tutto sommato la giustizia borbonica non era poi davvero
"borbonica." Sembra una storia dei nostri giorni,
invece risale a quasi due secoli fa. Anche allora i commissari per
l'emergenza lasciavano a desiderare e il loro operato dava adito a
sospetti e critiche. Purtroppo la storia, almeno in Italia, non è mai
stata maestra di vita.
2)
G. Marino, Il terremoto del 1832 nel Marchesato di Crotone - I danni e
la ricostruzione di Caccuri, Editoriale
Progetto 2000 CS
ACCADDE DOMANI: MUORE IL GENERALE
VINCENZO SGRO
Il 16
novembre del 2007 a Palmanova, in Friuli, si spegneva il generale
Vincenzo Sgro, caccurese. Nacque nel nostro paese il 31 gennaio del 1932
da mastro Francesco, valente artigiano caccurese, uomo pio e devoto, per
molti anni priore della Congregazione del SS. Rosario, e da Saveria
Loria, secondo di 4 fratelli. Insieme a uno dei suoi più cari amici,
Baldasarre De Marco, che diventerà poi professore di lettere e preside
della scuola media, inizia a studiare da privatista sotto la guida dei
professori Luigi e Francesco Antonio Fazio e del sacerdote don Pietro
Scalise all'epoca parroco di Caccuri. Successivamente si iscrisse al
liceo Pitagora di Crotone, scuola che frequentò regolarmente e nella
quale conseguì la maturità liceale. Successivamente entrò nella
famosa Accademia militare di Modena, quindi frequentò la Scuola di
Applicazione di Torino e conseguì il grado di tenente di artiglieria,
prima di essere trasferito, nel 1957, in Friuli Venezia Giulia, a
Palmanova. Qui si svolse tutta la sua brillante carriera militare
culminata con la promozione a generale.
Nel 1988 fu collocato in pensione. Vincenzo Sgro,
oltre che essere un buon soldato, un uomo con uno spiccato senso del
dovere e un rispetto profondo per le Istituzioni, fu anche un uomo
generoso ed altruista, impegnato nelle associazioni di volontariato. Fu,
infatti, il fondatore della delegazione della Croce Rossa di Palmanova e
di una associazione che curava la riabilitazione di ragazzi portatori di
handicap mediante l'ippoterapia. Nel 1992 divenne l'animatore e il
responsabile di un campo profughi che accoglieva cittadini della ex
Jugoslavia martoriata dalla guerra. Uomo generoso e dedito al prossimo,
fu anche, per lungo tempo, donatore di sangue. Per i suoi meriti
militari e per la sua generosa attività in favore della collettività
gli furono conferite numerose onorificenze fra le quali il titolo di
Commendatore della Repubblica Italiana. Seppur lontano, per moltissimi
anni da Caccuri, rimase sempre profondamente legato al paese
d'origine.
Un
grande caccurese del quale possiamo e dobbiamo andare orgogliosi.
Ricordo con particolare affetto quest'uomo grande, ma umile e generoso
che mi onorava della sua amicizia e un paio di sue gradite telefonate
che mi fece per congratularsi con me dopo aver letto il mio romanzo
storico sull'emigrazione.
BIOGRAFIE
CACCURESI: IL COMANDANTE GIOVANNI CHINDAMO
Dopo quella del comandante Procopio che potete trovare su questa stessa
pagina, oggi vi propongo un'altra biografia di un comandante caccurese,
anche se il suo comando non si esplicò a Caccuri, ma in una cittadina
del Sud Tirolo, Merano, divenuta italiana con la Grande guerra. Si
tratta di Giovanni Chindamo, nato a Caccuri il 25 giugno del 1902 da
Saverio e da Guglielma Belcastro, contadini, ma che trascorse
quasi tutta la sua vita in Alto Adige.
Dopo la chiamata di leva fu arruolato nella Guardia
di finanza assieme agli amici d'infanzia Giuseppe Guzzo (Giuseppe 'u
niguru) e Salvatore Lacaria e mandato in Alto Adige da poco annesso al
Regno d'Italia dopo la fine della prima guerra mondiale. Finita la
ferma i commilitoni caccuresi rientrarono al loro paese, mentre il
Chindamo rimase a Merano dove intanto aveva sposato una ragazza meranese,
Maria Gamper. Poco dopo lasciò la Finanza e si arruolò nel corpo dei
vigili urbani nel quale, grazie agli studi da autodidatta e alla
perfetta conoscenza della lingua tedesca fece rapidamente
carriera.
Nel 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, fu
richiamato nella Guardia di finanza e mandato curiosamente, proprio
nella sua terra di origine, a Diamante dove rimase per tutta la durata
delle ostilità. Congedato fece ritorno a Merano e riprese servizio ne i
vigili urbani col gradi di tenente e vice comandante.
Pur essendo gerarchicamente il vice comandante, la
popolazione meranese, soprattutto quella di lingua tedesca che lo
sentiva come un proprio esponente avendo sposato una di loro e imparato
la lingua e acquisito la loro cultura e le loro tradizioni, lo
considerò sempre il vero comandante. Per tutti i tirolesi di Merano il
vigile caccurese era Hans come lo avevano familiarmente
ribattezzato. A lui si rivolgevano i
commercianti, i contadini, le autorità per la soluzione di qualsiasi
problema. Era lui che ogni anno, nel mese di ottobre, organizzava e
sovraintendeva alla complessità dei servizi di polizia municipale in
occasione del Gran Premio Merano di ippica che si svolgeva
nell'ippodromo di Maia Bassa, il rione popolare alla periferia sud della
città dove abitava. Per i servizi resi alla Guardia di finanza e al
Paese fu insignito del grado di Cavaliere della Repubblica.
Nell’ottobre del 1958 visitò per l’ultima volta il suo
paese. In quell’occasione
sciolse il voto che aveva fatto in guerra quando, in grave pericolo di
vita si rivolse a San Rocco promettendogli una visita in divisa e una
messa nella chiesetta di Caccuri. Fu anche l’ultima volta che vide il
padre, nonno Saverio, la sorella, mia madre e i parenti
Belcastro di Caccuri. Tornato a Merano si buttò a capofitto nella
predisposizione dei servizi di polizia urbana in vista dell’imminente
Gran premio viaggiando per
un paio di giorni nelle fredde giornate ottobrine su un sidecar e
beccandosi una polmonite che risultò fatale. Si spense nella cittadina
altoatesina il 7 gennaio del 1959 all'età di 56 anni. Al suo funerale
ricevette l'omaggio del suo amico fraterno, il generale della Guardia di
finanza Marino Nicolò che ne fece l'elogio funebre.
BIOGRAFIE CACCURESI: GIOVANNI PROCOPIO
Don Giovanni Procopio, rampollo di una delle famiglie più
antiche e più prestigiose di Caccuri, fu per molti anni il capo della guardia urbana del paese nel
quale era nato nel 1805.
Nel 1828, già
ai vertici della polizia caccurese a soli 23 anni, tentò di arrestare
Giuseppe Meluso, alias Nivara e Pasquale Cimino, alias Manchetta,
latitanti, che erano stati segnalati a Eydo. Raggiunta la contrada a
circa un miglio dal paese, non trovò i briganti sangiovannesi, ma
chiese ad alcuni contadini che si trovavano sul posto per coltivare gli
orti, notizie sui fuorilegge. I contadini risposero di non aver visto
nessuno e don Giovanni li denunciò al giudice regio di Umbriatico. Era
ancora capo urbano quando, nel 1847, testimoniò al processo contro la
banda Angotti che egli, con i suoi uomini e in collaborazione con la
Guardia nazionale, aveva sgominato il 28 aprile dello stesso anno, dopo
un conflitto a fuoco a Laconi nel corso del quale restarono feriti lo
stesso Angotti, il gendarme Bartolomeo Bucchianico e la guardia urbana
caccurese Vincenzo Cosenza, quest’ultimo in modo grave.
L’anno dopo don
Giovanni, all’età di 43 anni, accusato dal capitano della colonna
mobile della gendarmeria di Crotone, Francesco Sangiovanni di
connivenza con i briganti, lasciò il comando della polizia caccurese.
L’accusa si fondava sul fatto che un nipote del capo urbano caccurese,
un tale Pietro Scigliano, definito dal capitano Sangiovanni “il più
pernicioso” di un gruppo di banditi che aveva compiuto delle scorrerie
nel territorio di Pallagorio, era stato qualche volta ospitato dallo zio
nella sua casa di Caccuri. Gli subentrò Luigi De Franco che poco tempo
dopo, a Ombraleone sgominò la banda Pellegrino. Don Giovanni era
parente di Filippo Procopio, futuro sindaco del paese, falegname che
nel 1837 donò alla chiesa di Santa Maria delle Grazie la statua di
Santa Filomena che, l’anno prima, aveva protetto Caccuri
dall’epidemia di colera che aveva provocato alcune vittime nella
vicina Cerenzia.
ACCADDE DOMANI: IL
MAGGIORE ANTONIO RIZZO FERMA I TEDESCHI A CODROIPO
Il 30 ottobre del 1917 il maggiore
caccurese Antonio Rizzo, alla testa delle sue truppe, ingaggiò un epico
combattimento contro i Tedeschi a Codroipo per impedire il passaggio dei nemici e
consentire al resto dell’esercito italiano di attraversare
indenne i ponti del Tagliamento. Ferito e catturato nell’azione, riuscì,
però, a fuggire immediatamente e ad attraversare a nuoto il fl 152°
Reggimento di fanteria (Brigata Sassari).
Nel gennaio del 1918 fu
protagonista, di un’azione epica che gli valse una “Citation a
l’Ordre de l’Armée” conferitagli dal generale francese Maistre
alla presenza del re Vittorio Emanuele III° che, per l’occasione, gli
appuntò sul petto anche la medaglia d’argento. Il
28 gennaio, a Col del Rosso, sull’altipiano di Asiago, ebbe inizio la
battaglia dei Tre monti che durò tre giorni e si concluse con la
conquista dello stesso colle, della val Bella e del colle d’Echelle,
primo segnale della riscossa dell’esercito italiano dopo Caporetto. Al comando della sua armata, infatti,
benché ferito, sfondò e oltrepassò le linee nemiche, conquistò
diverse postazioni avanzate e, incurante del dolore provocatogli dalle
ferite, condusse le truppe sulle posizioni conquistate. Questa battaglia
vinta dall'alto ufficiale caccurese fu la prima vittoria
dell'esercito italiano dopo Caporetto e contribuì notevolmente a
risollevare il morale dei soldati dopo la disfatta e a riscattare
l'onore del nostro esercito gravemente compromesso dalle gesta di
Cadorna e di Badoglio. Diciotto anni dopo lo ritroveremo in Etiopia col
grado di generale di divisione nella provincia di Gimna dove catturo Ras
Dastà, il genero di Hailé Selassié ponendo fine alla resistenza
etiope contro l'aggressione fascista.
Il generale caccurese si spense a Trieste il 2 febbraio del
1951.
Purtroppo Caccuri non ha mai ricordato un uomo di tale statura, né
tanti altri illustri suoi figli che lo 'hanno onorata e che sono
completamente sconosciuti ai loro concittadini.
ACCADDE DOMANI: LA
SVEGLIA VINCE LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE SUL CARRO
Il
26 ottobre del 1947 si tennero a Caccuri le elezioni amministrative per
il rinnovo del Consiglio comunale a distanza di un anno dalle
precedenti. Il Consiglio e il sindaco Alfonso Chiodo, eletti nel 1946
erano decaduti a seguito del decreto ministeriale che istituiva il
comune autonomo di Cerenzia, fino ad allora frazione di Caccuri.
Alle elezioni si presentarono due liste, una di centro
sinistra formata da esponenti del PCI, della DC e del PSI col
simbolo della Sveglia, capeggiata dal reverendo don Giuseppe Pitaro, ex
arciprete di Caccuri sospeso a divinis e un'altra che aveva per simbolo
il Carro, formata da liberai e da esponenti de L'Uomo qualunque
capeggiata dall'avvocato Giuseppe Ambrosio.
La lista della Sveglia vinse con largo margine e don
Peppino Pitaro fu eletto sindaco. Un mese dopo dovette dimettersi
perché una norma del Concordato vietava ai religiosi sospesi a divinis
di ricoprire cariche pubbliche. Gli subentrò perciò il maestro di
musica Angelo Di Rosa che l'anno dopo fu costretto alle dimissioni da un
voto di sfiducia del consiglio. Fu quindi eletto sindaco Giuseppe
Salvatore Falbo, in carica come sindaco fino al 1952 e, dal 1952 fino al
1970 come vice sindaco dell'Amministrazione del sindaco Francesco
Sperlì.
Qui di seguito potete leggere la composizione di quel
consiglio.
Insediamento il giorno 31/10/1947 - Sindaco: Pitaro
Sabatino; poi Di Rosa Angelo (13/12/1947) e poi
Falbo Salvatore Giuseppe (27/11/1948).
Voti
Pitaro
Sabatino Giuseppe D.C 556
Ventura Angelo Domenico P.S.I.
535
Di Rosa Angelo
D.C. 532
Falbo Salvatore Giuseppe P.S.I. 530
Bruno Giuseppe Salvatore
P.C.I. 524
Olivito Antonio Umberto
P.S.D.I. 522
Guzzo Giovanni
P.C.I. 521
Lacaria Giovanni
P.S.I. 521
Marullo Antonio
D.C. 521
Guzzo Vincenzo
D.C. 520
Gallo Vincenzo
D.C. 519
Murgia Serafino
P.C.I. 518
Ambrosio
Giuseppe
P.L.I.
372
Sellaro Domenico
U.Q. 347
Quintieri Luigi Antonio
U.Q.
345
ACCADDE DOMANI: NASCE
DON MUZIO QUINTIERI ('U PREVITE 'E VAJANARU)
Il 24 ottobre del 1822 nasceva a Caccuri Don
Muzio Antonio Quintieri, sacerdote, meglio conosciuto come "
'u previte 'e Vajanaru." figlio di
Giovanni Quintieri e di Domenica Secreto. Fu
per molti anni canonico e poi parroco di Cerenzia. Un fratello,
Giuseppe, fu segretario comunale e capo della guardia urbana dello
stesso paesino.
Nel
1847, quand’era già curato di quel borgo, fu chiamato a testimoniare
al processo contro Luigi Foglia e Giovanni Antonio De Paola, due
briganti della banda di Luigi Angotti e Andrea Intrieri della quale
faceva parte anche il caccurese Salvatore Serafino Secreto, alias Titta,
accusati di violenze e minacce. Di
lui il popolino raccontava di una punizione che
gli sarebbe stata inflitta dalle autorità ecclesiastiche non si sa bene
per quale mancanza per cui sarebbe stato trasferito per un periodo di
tempo a Botricello, probabilmente a fare gli esercizi spirituali
forzati. Botricello all'epoca era considerato un borgo in zona
malarica per cui nell'immaginario collettivo la punizione doveva
apparire eccessivamente severa. Questo episodio viene ricordato in
una celebre farsa caccurese che recita:
“E minatice quattru botte,
secutatilu cu' 'nu cane
e mannatilu a Butricellu
cumu ‘u previte ‘e Vajanaru.”
Quel che è certo è che questo sacerdote caccurese,
indipendentemente dalle decisioni spesso bizzarre che poteva assumere
qualche vescovo, era considerato un prete molto serio e attaccato alla
cure delle anime e della parrocchia che gli era stata affidata.
Don
Muzio fece erigere la chiesa di San Teodoro nel nuovo centro abitato che
era sorto in località Paparotta su progetto dell’ingegnere Primicerio
a partire dal 1848, a seguito dell’abbandono della vecchia
Cerenzia. Fu lui, il primo
parroco della nuova Cerenzia, che iniziò dal 1862 a compilare i
registri parrocchiali. (1) Il
sacerdote caccurese resse la parrocchia cerentinese fino al 1903 poi,
essendo avanzato negli anni, si ritirò a vita privata e fu sostituito
dal nuovo parroco don Nicola Brancati. Fu
uno dei più autorevoli confratelli della Congregazione del Santissimo
Rosario di Caccuri assieme al vescovo Raffaele De Franco e
all’arciprete di Caccuri Domenico Lucente.
Don Muzio si spense il 20
novembre del 1906 all'età di 84 anni nella sua casa di Cerenzia.
Sul registro degli atti dei morti di Cerenzia del 1906, nell'atto di
morte n. 18 redatto dal suo successore risulta che si spense all'età di
87 anni, ma, in realtà aveva solo 84 anni essendo nato nel 1822. Sempre
dallo stesso atto risulta che fu sepolto nel locale cimitero. (2)
Giuseppe
Marino
ACCADDE DOMANI:
MUORE
IL PROFESSORE FRANCESCO SPERLI'
Il 20 ottobre del 1989 si spegneva il
professore Francesco Sperlì, dottore in pedagogia, insegnante per molti
anni nella scuola elementare di Caccuri, ispettore scolastico e sindaco
della cittadina dal 1952 al 1970. Assieme al fratello Mario per alcuni
anni insegnò nella scuola elementare di Caccuri fin quando, vinto il
concorso direttivo, agli inizi degli anni '60 si trasferì con la
famiglia a Napoli, città nella quale risiedette per una ventina di
anni. Nei primi anni '80 tornò in Calabria andando ad abitare a
Crotone. Intanto vinse il concorso per ispettore scolastico incarico che
assolse fino al pensionamento. Fece anche parte del Comitato di gestione
dell' Asl di Crotone nel quale rappresentava il PCI.
Prima di approdare al PCI militò per molti anni nel PSI,
èartito che lo candidò anche alla Camera dei deputati, ma alla nascita
del PSIUP si iscrisse in questo partito dal quale, allo scioglimento
della formazione di unità proletaria, confluì assieme a Vecchietti,
Libertini e Valori nel PCI.
Ciccio Sperlì era un uomo di vasta e profonda cultura, sia
pedagogica, sia amministrativa, un bravo dirigente politico e un
grande oratore e uno dei tanti intellettuali di questo paese nel quale
era nato nel 1922.
ACCADDE DOMANI: L'OMICIDIO DEL CAPITANO SCIGLIANO
i.
Il 13 ottobre del 1812 in località
Cimitella, mentre si recava da Caccuri al Bordò in una vigna del generale francese Antonio Manhés, venne ucciso
in un agguato il capitano Pier Maria Scagliano, comandante della
guardia urbana di San Giovanni in Fiore, amico dei francesi. Per l’omicidio venne condannato a morte un tal
Francesco
De Simone detto Piruneo.
Il generale Charles Antoine Manhès, soprannominato
"lo sterminatore" fu incaricato di distruggere il
brigantaggio, ovvero la resistenza dei meridionali all'invasione
napoleonica e alla conquista francese del Regno di Napoli a partire dal
1805. I metodi impiegati furono degni dei peggiori criminali. Furono
proprio i criminali francesi ad affibbiare per la prima volta a chiamare
briganti i combattenti per la libertà della loro terra, nome
oltraggioso che poi ripresero i piemontesi che superarono in ferocia gli
stessi francesi. Per questi discutibili meriti ottenne in dono una vasta
proprietà a Bordò che affidò in amministrazione allo zelante gendarme
sangiovannese che si era distinto nella repressione della resistenza
antifrancese. Pochi anni dopo l'assassinio dello Scigliano, a seguito
della sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo Murat fu cacciato da
Napoli e Ferdinando IV di Borbone tornò sul trono del nuovo Regno delle
due Sicilie cambiando in nome in Ferdinando I e anche il generale
francese perse il terreno.
ACCADDE
DOMANI: MUORE VINCENZO FAZIO L'UOMO CHE FOTOGRAFO' LA STORIA DI CACCURI
Il 30 settembre del1944
si spense all’età di 78 anni, Vincenzo Fazio, artigiano poliedrico e fotografo testimone di
fatti e personaggi della storia caccurese del primo Novecento.Nato a
Caccuri il 6 febbraio del 1866, fin da giovane imparò a guadagnarsi da
vivere sfruttando le grandi abilità e capacità. Lavorò da falegname,
da idraulico ed, infine, ottenne dal comune l’incarico di gestire la
rete idrica del paese che era stata realizzata all’inizio del secolo
scorso su progetto dell’ingegnere Stanislao Martucci. Ma quest’uomo
intelligente ed abile aveva, per nostra fortuna, anche la passione per
la fotografia, un’arte ancora relativamente “giovane” che,
comunque, si andava già diffondendo anche nei più sperduti paesi della
Calabria grazie a pochi isolati “pionieri”. E così, a prezzo di
sacrifici notevoli, Fazio comprò un apparecchio fotografico che
utilizzava lastre di vetro al bromuro d’argento prodotte dalla famosa
ditta Ferrania, un ingranditore e l’attrezzatura per sviluppare in
proprio le lastre e, utilizzando per lo sviluppo come fonte di luce
esclusivamente il sole, immortalò, per alcuni decenni, centinaia e
centinaia di soggetti: singoli personaggi, gruppi, manifestazioni
pubbliche, operai, contadini, massaie dediti al loro lavoro
quotidiano, paesaggi e scorci della zona caccurese. Produsse e vendette,
nella bottega di alimentari e coloniali gestita dalla moglie, anche due
pregevoli cartoline del castello di Barracco e del rione Croci, la zona
di “espansione” del paese sorta negli anni ’20.
Nel 1988 parte della produzione del
fotografo caccurese fu raccolta, per iniziativa del Comune, in un volume
dal titolo “Caccuri e la sua gente” edito dall’ editore Saverio
Basile di San Giovanni in Fiore e curata dal fotografo Mario Iaquinta.
Ma si può dire che non v’è una sola casa di Caccuri in cui non
vengano conservate almeno cinque o sei istantanee dell’artigiano
caccurese.
Le foto di Fazio consentono di
ricostruire fedelmente un pezzo importante della storia, delle
tradizioni e del costume caccurese. Particolarmente interessanti sono
quelle scattate in occasione della visita ufficiale del vescovo di
Cariati nel 1936, della missione dei Padri Passionisti nel 1935, della
proclamazione dell’Impero “sui colli fatali di Roma.” E poi,
ancora, quelle che ritraggono maestre, i dirigenti e gli alunni
dell’asilo infantile “G. Cena”, le ragazze della scuola
per ricamatrici gestita, negli anni ’20, dalle suore, la
banda musicale Cimino nel 1920 e quella del maestro Di Rosa negli anni
’40, documenti preziosi per la storia caccurese prodotti dal bravo
artigiano appassionato di lastre ed obiettivi e che si spense il 30
settembre del 1944
SCANNULI E RIZZIMMOTU
E' molto difficile che qualche nostro giovane conosca il significato di
questa parola o che abbia visto qualche volta gli scannuli che tanta
importanza ebbero nell'edilizia e nell'architettura dei secoli scorsi
prima dell'invenzione del cemento armato e dei laterizi che li hanno
mandati in pensione. Gli scannuli, infatti, erano le robuste tavole di
castagno perfettamente stagionate che venivano inchiodati alle travi di
legno che reggevano il solaio delle vecchie case e degli imponenti
edifici che si costruivano anticamente. Sul tavolato così ottenuto
veniva steso 'u rizzimmotu, ovvero uno strato di argilla e pietrisco sul
quale venivano battuti i mattoni di terracotta per i pavimenti. La
particolare cura con la quale i nostri antenati sceglievano e
stagionavano il legname rendeva queste tavole particolarmente resistenti
all' usura e alle intemperie sfidando i secoli. Il soffitto che vedete
in foto, perfettamente conservato, risale alla metà del
Cinquecento e si trova nel chiostro del convento domenicano di Caccuri,
praticamente all'aperto e non è mai stato sottoposto a manutenzione.
Dubito che fra cinque secoli si troveranno solai in cemento armato o
laterizi che avranno resistito così bene all'usura senza essere
stati rifatti almeno in parte.
QUALCHE CENNO SUL MONASTERO DEI
TRE FANCIULLI
Il 13 settembre del 1500 il papa spagnolo
Alessandro VI Borgia decise di dare in commenda l'Abbazia florense, e
con essa anche il monastero di Tre fanciulli, a un abate spagnolo. Il
provvedimento del discusso papa, padre di Cesare e Lucrezia Borgia
e nipote dell'altro papa Borgia, Callisto III (una famiglia dedita solo
alle cure delle anime come tante altre di papi e cardinali, quella dei
Borgia) decretò praticamente la decadenza e la fine dell'antico
monastero basiliano già spogliato quasi completamente da Gioacchino da
Fiore di tutti i suoi beni. I commendatari, infatti, avevano come unico
pensiero quello di riscuotere le scarse rendite lasciando andare in
malora il tutto.
In una relazione
del 20 marzo del 1650 del
priore Gregorio Ricciuti e del sacerdote Michelangelo Prospero
commissionata da papa Innocenzo X° si legge che oltre alla chiesa
che misurava “di lunghezza 58 palmi ed uguale larghezza col suo altare
maggiore”, vi era un cortile grande circondato da mura. “Nel piano
di detto cortile” vi erano cinque stanze abitabili ed una scoperta
“le quali servono per cocina, forno, cellaro (cantina) , magazeno e
stalla.” All’epoca fra le proprietà del monastero vi erano
Forestella e Casale nuovo (Casalinuovo), donati in parte alla chiesa da
Francesco Antonio Parise, il Tenimentello e Vignali ed il commendatario
era Ottavio Protospataro. Nel 1650, cioè quando fu stilata la relazione
citata, commendatario era, invece, il cardinale Prapacioli.
FATTI E PERSONAGGI CACCURESI -
VINCENZO PARROTTA
Il personaggio riccamente
vestito, seduto tra due vasi di splendide piante nella villa comunale,
all'epoca parco annesso al palazzo Barracco (castello), era il custode e
giardiniere capo incaricato di vigilare sui prati, sulle migliaia
di piante, sui fiori e sui giochi d'acqua dello splendido giardino. Si
chiamava Vincenzo Parrotta ed era il marito della signora accanto
conosciuta come 'a Scarola. La coppia abitava al Pizzetto in una casa
che sia affacciava sulla piazza e aveva due figlie: Alfonsina e
Virginia.
Parrotta ero lo spauracchio dei fanciulli che a volte
riuscivano a intrufolarsi nel parco col rischio di calpestare aiuole e
fiori. Gli anziani che ricordavano la villa ai tempi dello zelante
custode la descrivevano come una specie di Eden, affascinati soprattutto
dai giochi d'acqua.
ACCADDE
OGGI: SI APRE LA PRIMA FIERA CACCURESE DI BESTIAME
Il 13agosto del 1880 venne istituita con una delibera del
consiglio comunale di Caccuri la I^ fiera del bestiame e dei prodotti
agricoli
in località Vignali, nei pressi della chiesa di San Rocco di cui si
celebrava proprio in quei giorni la festa. La fiera venne abolita
dopo qualche anno per cui resterono attive quella di Mulerà, in
agro di Roccabernarda istituita probabilmente nel XVII secolo e quella
di San Giovanni in Fiore. Oggi le antiche, suggestive fiere dove si
andava a comprare o vendere asini, capre, pecore, mucche, maiali si sono
trasformate in enormi mercati con centinaia di bancarelle che vendono
capi di abbigliamento e le solite cianfrusaglie più o meno uguali.
Così ai belati, ai grugniti, ai muggiti si sono sostituite le grida dei
venditori.
ACCADDE
OGGI: AMNISTIE E MASSACRI PIEMONTESI
Il 4 agosto del 1861, usufruendo di un'amnistia concessa dal generale
Della Chiesa, i caccuresi Rocco Perri, Vincenzo Mancuso e Gabriele
Perri che in un primo momento si erano uniti ai patrioti duosiciliani in
lotta contro gli invasori piemontesi, deposero le armi e si
costituiscono al sindaco di Caccuri. Il governo Ricasoli,
insediatosi sei giorni dopo la morte di Cavour, cosi come quelli che gli
succedettero, fece ricorso anche a questi strumenti per
fiaccare la resistenza meridionale. Un mese dopo il generale Enrico
Cialdini, che sostituì il Dalla Chiesa, concesse una seconda amnistia
che convinse un altro "brigante" caccurese, Filippo Squillace,
a consegnarsi alla giustizia dei Savoia il 19 settembre. Cialdini
e i suoi ministri poi cambiarono metodi e con l'entrata in vigore della
legge Pica del 15 agosto 1863 trasformarono il Mezzogiorno in un carnaio
uccidendo barbaramente non solo i combattenti in armi, ma anche i loro
familiari, i loro parenti, incendiando paesi, incarcerando perfino
fanciulli e fanciulle con l'accusa di manutengolismo perché si
rifiutavano di rivelare il nascondiglio ei loro genitori resistenti.
Centinaia di pasi furono occupati, incendiati i loro abitanti
massacrati. Tra i più noti Casalduni e Pontelandolfo, in provincia di
Benevento, ma anche i nostri Cotronei e Belvedere di Spinello.
69
ANNI FA NASCEVA GIGI CHIODO
Il 1 agosto del
1951 nacque a Caccuri Fabrizio Chiodo, detto Gigi, cardiochirurgo, uomo
di vasta cultura, attivista politico e sindacale.
Laureatosi in
medicina, sogno che coltivava sin da bambino, conseguì la
specializzazione in cardiochirurgia per cui si recò, per un periodo di
tempo, a Bordeaux ove ebbe modo anche di condurre alcune importanti
ricerche e sperimentazioni. Tornato in Italia lavorò per qualche anno a
Parma, prima di trasferirsi a Palermo dove fissò la propria residenza.
Gigi Chiodo, oltre ad essere un valente medico
ed un bravo cardiochirurgo, era un intellettuale, un uomo pieno di
interessi e curiosità che lo spingevano ad una continua, rigorosa
ricerca in diversi campi dello scibile. Egli, infatti, si interessava di
botanica, di zoologia, di archeologia, di antropologia, oltre che della
storia e delle tradizioni della sua gente. Mi sono sempre sentito
onorato di essere stato uno dei suoi più cari amici, compagni di
scuola, di giochi d'infanzia e in consonanza politica e laica.
Purtroppo il destino lo fermò, improvvisamente, il
26 dicembre del 2008.
LA POTENTE CONGREGAZIONE DEL ROSARIO
Il 24 luglio del 1824 papa Leone XII della Genga conceSse, con una bolla,
l’indulgenza plenaria a chi visiterà la chiesetta della Congregazione
del Santissimo Rosario una qualsiasi domenica dell’anno, un beneficio
mi revocato dai suoi successori e quindi ancora valido. QuestO ennesimo
riconoscimento in favore della congregazione del SS. Rosario è una
ulteriore prova della potenza e dell'autorevolezza della stessa
congregazione, la più ricca e la più numerosa delle altre alle quali
sopravvisse praticamente fino alla fine deli anni '50.
La sua ricchezza
traeva origine dalle donazioni della famiglia Cavalcante alla quale era
legata per mezzo del priore Antonio, cavaliere gerosolimitano e figlio
del duca don Marzio che i 4 gennaio del 1750 le donò la tenuta di
Vignali con un atto sotto firmato dal suo segretario Diego Guarascio. La
Congregazione possedeva anche la tenuta di Manco del Rosario nella quale
nel XIX secolo sorse i cimitero e che ancora conserva l'antico
nome.
SINDACI COMUNISTI
Il
21 luglio del 1980 dopo 10 anni la Sinistra, che aveva
amministrato ininterrottamente dal 1946 al 1970, torna ad
amministrare il Comune. Antonio Lacaria, comunista, è
eletto sindaco PCI - PSI . Fu il secondo e ultimo sindaco comunista nella
storia del paese. Il primo, Alfonso Chiodo, eletto nel 1946 ,
rimase in carica per circa un anno. Sciolto il consiglio comunale a
seguito dell'autonomia della frazione di Cerenzia, si tennero nuove
elezioni nelle quali non fu ricandidato e, dopo la nomina a sindaco
prima dell'ex arciprete don Peppino Pitaro e poi del maestro di musica
Angelo Di Rosa, entrambi dimessisi nel giro di un anno, nel 1948 fu
eletto il socialista Salvatore Giuseppe Falbo.
L'amministrazione Lacaria, riconfermata nel 1985, rimase in carica
fino al 1990.
LA CATTURA DI FILIPPO PELLEGRINO E ANDREA
LACARIA
Le antiche cronache e i rapporti della Guardia urbana
caccurese del 1848 riportano che il 20 luglio dello stesso anno, in
contrada Eido, gli urbani al comando di Luigi De Franco e del comandante
la colonna mobile Vincenzo Ambrosio, figlio del notaio Francesco
Antonio, in seguito a un conflitto a fuoco, catturarono i briganti
Filippo Pellegrino e Andrea Lacaria. Il Pellegrino, ferito
all'avambraccio, si arrese subito, mentre il Lacaria, dopo aver ferito
alla coscia la guardia Bruno Lamanna, fabbro caccurese originario di
Serra San Bruno, cercò di darsi alla fuga, ma venne inseguito e
bloccato dopo alcuni metri. Poche ore dopo, nell'abitato di Caccuri, gli
urbani arrestarono un giovane di 20 anni, Vincenzo Miliè con l'accusa
di manutengolismo.
Filippo Pellegrino, di San Pietro in Guarano, dipendente
dei Barracco, si era dato alla macchia dopo aver uccico, il 26 maggio
del 1848, il giovane Luigi Antonio Schipani che viveva in una grotta di
Filezzi per rubargli un mantello di lana e, assieme a Lugi Veltri e ad
Andrea Lacaria, aveva costituito una piccola banda. Il Lacaria, un
ragazzo di soli 19 anni, era conosciuto come grassatore che rubava
pecore e maiali ai Barracco e li macellava. Non di briganti patrioti,
dunque si trattava, ma di volgari banditi come Panazzu (Rosario Ieu),
Salvatore Secreto detto Titta e Salvatore Manfreda, i più noti e feroci
fuorilegge caccuresi del XIX secolo.
LA STRAGE DEI DOGANIERI
Il 16 luglio del1861 nella notte,
poco dopo le ore 24, muoiono, in uno scontro con i "briganti"
che contrabbandano sale, le guardie doganali a piedi Celestino Cefalone, Antonio Papa di 50 anni, Angelo Angiolillo De Maria di anni 48
e Michele Domenico Addari di 46 anni. Il corpo delle guardia
doganali nacque subito dopo l'Unità d'Itala dopo lo scioglimento di
analoghi corpi degli stati preunitari e nel 1881 col passaggio dalle
dogane alle intendenze di finanza, assumerà il nome di Guardia di
Finanza.
Le
guardie doganali, particolarmente odiate dalla popolazione caccurese e da
quella dei paesi vicini, in quanto adibite a impedire alla povera di
rifornirsi di salgemma nelle cave di Vasalicò. Il salgemma, sale fra
l'altro privo di iodio e di scarsa qualità, veniva utilizzato dalla
povera gente per condire la minestra, ma soprattutto per le conserve
alimentari e per i salumi, ma i piemontesi, subito dopo l'annessione del
Regno delle due Sicilie, avevano aumentato la tassazione e inasprito i
controlli privando di fatto la povera gente anche del sale. Tutto ciò
provocò spesso tensioni che sfociavano in aperte rivolte. La strage
delle guardi doganali ebbe un seguito nel 1864 quando scoppio la
cosiddetta rivolta del sale che vide contrapposte le guardi doganali e i
soldati da una parte e la popolazione di Caccuri e di Cerenzia
dall'altra. In quell'occasione la peggio toccò ai rivoltosi tra i quali
si registrarono un morto e diversi feriti. Chi ne avesse voglia può
leggere la storia di questa rivolta sul sito L'Isola Amena che,
ripeto, ha cambiato server per cui è raggiungibile all'indirizzo www.isolamena.it.
Il link per la rivolta del sale è https://www.isolamena.it/LAVORO/STORIA/Miniere/storiamineraria.htm
DOMENICO AMBROSIO, SINDACO DEGLI AGRARI
Il 14 luglio del 1895 la
lista degli agrari, liberali aPpoggiati dal del barone
Barracco, vince ancora una volta le elezioni. Sindaco è ancora Domenico
Ambrosio. Tra i consiglieri figurano Carmine Lucente, Federico Del Bene
e Domenico Caccuri.
Domenico Ambrosio
juniore, nipote del notaio Francesco Antonio, nacque a Caccuri nel
1857 da Vincenzo e da Peppina Caccuri. Sposò Fortunata De Franco, una
giovane appartenente a un'altra illustre famiglia caccurese. Dal
matrimonio nacquero i figli Vincenzo, futuro segretario comunale e
medico condotto di Caccuri, Francesco Antonio, possidente, nato nel 1892
e morto il 18 maggio 1949 all’età di 57 anni, Giuseppe che
si trasferì a Roma ove esercitò per moltissimi anni la professione
forense, Raffaele, geometra, sindaco del paese dal 1920 al 1926 e,
successivamente, podestà dal 1926 al 1933, Umberto maestro elementare e
Maria Giuseppa che andò in sposa a Luigi Lafortuna, avvocato, terziario
francescano, fratello del poeta caccurese Umberto,
autore del volume di liriche per l'infanzia "Pupille
infantili."
Ricoprì la carica di sindaco del
paese dal 1890 al 1897 e poi ancora dal 1910 al 1919. Morì nella sua
abitazione di Via Salita Castello il 26 febbraio del 1927 all’età di
70 anni
QUEL MALEDETTO FULMINE
Alle 4 del mattino di quel venerdì 12 luglio del
1912 in Sila l'aria era abbastanza fresca, nonostante si fosse oramai in
estate inoltrata. Salvatore Gigliotti, contadino
caccurese di 39 anni, si sarebbe avviato, da lì a poco, in groppa
all'asinello, dall'altopiano silano alla volta di Caccuri. Mentre
sellava l'asino, la capra, che lo avrebbe accompagnato
nel lungo viaggio verso il paese di residenza, ne approfittava,
per brucare, pur nell'oscurità, sterpi e rovi. Dopo lunghi
giorni di permanenza in Sila, dove era accordato come pastore,
tornava per qualche giorno a Caccuri per assistere al battesimo del suo
ultimo figlio, nato quattro giorni prima. La gioia di rivedere la sua
famiglia, la moglie Maria, i tre figlioletti, ma soprattutto l'ultimo
che non aveva ancora visto, gli facevano accelerare i preparativi della
partenza. Non era stato facile convincere il "caporale"
ad accordargli il permesso di assentarsi per qualche giorno, ma, dopo
tante suppliche, c'era finalmente riuscito. Ora davvero non vedeva
l'ora di mettersi in viaggio. Verso le 4,30 Salvatore, incitato
l'asino, si avviò verso San Giovanni in Fiore. Lasciatasi alle
spalle la cittadina silana, attraverso l'Olivaro, si enerpicò
per l'erta di Gimmella. Spesso doveva fermarsi per incitare la
capra che preferiva brucare tutto ciò che le capitava a tiro e anche
per riposarsi e far riposare l'asino che approfittava delle soste per
abbeverarsi nei ruscelli che incontravano lungo il cammino. Verso le
11,30 raggiunse il passo di Gimmella dove consumò un pasto frugale a
base di pane e formaggio, prima di ripartire alla volta del
paese.
Per strada fantasticava su come lo avrebbero accolto
in famiglia, su cosa gli avrebbero detto i figlioletti, Fortunato
e Pietro, sulla festa di battesimo che si sarebbe celebrata l'indomani.
L'asino ora sentiva la fatica del viaggio e il caldo infernale che gli
tagliava le gambe e anche la capra evitava di saltellare di qua e di là,
limitandosi a brucare, con poca convinzione, i cespugli lungo i margini
del sentiero. Quando l'uomo e gli animali iniziarono la discesa
verso le Canalette, il cielo cominciò a coprirsi di minacciosi
nuvoloni. Si preparava il classico temporale estivo e Salvatore, che
aveva esperienza di queste cose, cominciò a preoccuparsi. Sapeva che in
quei frangenti il cielo era capace di scaricare torrenti d'acqua sulla
terra riarsa e che una torrida giornata estiva poteva trasformarsi
in una sorta di diluvio universale. Già cominciavano a saettare i primi
fulmini e il rombo dei tuoni incuteva terrore. Allora saltò in groppa
all'asino che nella lunga discesa aveva ripreso un po' di fiato e
cercò di accelerare l'andatura. Cominciavano già a cadere le prime
gocce e il terreno mandava un odore acre, quasi irrespirabile, mentre i
fulmini saettavano sempre più frequenti e sempre più vicini. Ora
il cielo aveva il colore dell'inchiostro accentuando il bagliore dei
lampi che lo squarciavano paurosamente.
Alle ore 13,10 Salvatore giunse in località Parpusa,
proprio nel punto dove ora si incrociano la provinciale Caccuri -
Acquafredda - San Giovanni in Fiore e la strada che porta a Ombraleone -
Eydo per scendere poi fino a San Vito e, quindi, ai Croci e, quando già
aveva imboccato quest'ultimo sentiero, si vide una grande fiammata
salire dal terreno verso il cielo, mentre un lampo spaventoso
investi l'uomo e l'asino fulminandoli all'istante. La capretta,
attardatasi e rimasta un po' più indietro, fu l'unico superstite di
questa dolorosa tragedia. La furia degli elementi durò, come quasi
sempre in queste occasioni, per una ventina di minuti circa, poi si placò
e tornò a splendere il sole. Un pastore, che aveva il gregge lì
vicino e che aveva trovato rifugio in un pagliaio a qualche centinaio di
metri, fu il primo a rendersi conto dell'accaduto e corse a dare
l'allarme a Caccuri gettando nel più profondo dolore la famiglia dello
sventurato contadino. Di colpo la tragedia più crudele investì
una famiglia che solo qualche giorno prima, aveva conosciuto
l'immensa gioia della nascita di una nuova vita e che ora subiva
l'orrore di una morte atroce e crudele. Esattamente un'ora dopo, alle
ore 14,10, l'ostetrica Maria Teresa Quintieri, si recò in Comune a
dichiarare la nascita del bambino al quale, quasi a voler esorcizzare la
morte, venne dato il nome del defunto padre che non avrebbe mai
conosciuto, mentre, contemporaneamente, veniva registrato l'atto di
morte dello sfortunato pastore che non aveva ancora conosciuto il suo
terzo figliolo. Ancora una volta, la vita e la morte avevano crudelmente
duellato nella lunga vicenda di una sventurata Umanità da sempre
sottoposta agli odiosi capricci di queste due misteriose entità.
CACCURI NEL 1898
Ho avuto l'occasione di sottolineare
più volte l'importanza storica della fotografia ed il valore
storiografico della stessa. La foto che commento oggi ne è la
dimostrazione più lampante. Si tratta di un bozzetto di un ignoto
artista della fine dell' Ottocento che raffigura il castello di
Caccuri e la Destra visti, più o meno, dal luogo nel quale negli anni
'30 del secolo successivo sarebbe poi sorto l'edificio della scuola
elementare. Tale bozzetto fu pubblicato sul
numero 138 del 1898 della rivista "Le cento città", edita
dalla casa editrice milanese Sonzogno, della quale chi scrive è
in possesso di una rara copia acquistata tempo fa.
Questo prezioso bozzetto, oltre a mostrarci uno splendido "castello"
a soli dodici anni dalla realizzazione del bastione merlato e della
torre ad opera dell'architetto Adolfo
Mastrigli su commissione di don Guglielmo e donna
Giulia Barracco, proprietari dell'immobile, ci fornisce altri
particolare molto interessanti che cercherò di illustrare qui di
seguito. Intanto il castello, che odora ancora di calce fresca, ci
appare diviso in due corpi. La parte più antica e con l'intonaco più
scuro, a ridosso del vecchio abitato di Caccuri era la vecchia dimora
dei Cavalcanti fatta
edificare dal duca Antonio seniore nella seconda metà del XVII secolo.
C'è poi un secondo corpo, che forma un angolo ottuso con
l'antico palazzo ed è collegato al bastione sul quale si erge la torre.
In questo secondo corpo l'intonaco appare più chiaro forse a
testimonianza del fatto che era stato probabilmente
ristrutturato o forse addirittura edificato solo dodici anni
prima. L'imponente costruzione è protetta da quattro parafulmini le cui
aste erano ancora visibili nei primi anni '60 del secolo scorso; tre sul
tetto e una sulla torre. Anche la vecchia caserma dei carabinieri
di via Mergoli era protetta da un parafulmine costituito da un'asta
centrale collegata a quattro funi di acciaio che scendevano lungo i
quatto angoli del fabbricato infilandosi nel suolo a formre la gabbia di
Faraday.
Accanto all' asta sulla
torre ci pare anche di vedere sventolare una bandiera, forse un
tricolore, vessillo impugnato senza tentennamenti dai Barracco dopo
l'Unità d'Italia quando tre rampolli dell'illustre famiglia ottennero
il laticlavio. Molto nitida anche la rampa sotto la quale era incassata
la vecchia condotta idrica che alimentava il castello e l'abitato di
Caccuri, in uso fino ai primi anni '80 del '900, rampa che servì anche
per il trasporto dei materiali utilizzati per la realizzazione del
bastione e della torre. Purtroppo non si nota la vecchia via Adua che
all'epoca doveva essere solo un sentiero percorso a piedi dai
caccuresi e dai muli e dai cavalli del barone che venivano rinchiusi
nello stallone (attuale casa Talarico).
Continuando l'osservazione di questo prezioso documento
notiamo ben visibili i resti dell'antica cinta muraria nel tratto
compreso tra il Murorotto e la Porta nuova. Nella parte più in basso si
nota anche una specie di torre di avvistamento, probabilmente nel luogo
dove la cinta faceva angolo. Interessanti anche i tetti delle case nella
zona della Porta nuova, molto più inclinati di quelli attuali. Ai
piedi del castello spicca una linea su pali che attraversa il paesaggio
da est a ovest e che potrebbe erroneamente far pensare ad una linea
elettrica. In realtà l'elettricità arrivò a Caccuri solo molti anni
dopo. Quella in questione, invece, è, con molta probabilità, la
linea telegrafica Caccuri Petila Policastro - San Giovanni in
Fiore costruita nel 1877 dal Comune di Caccuri per rompere l'isolamento
del paese e che entrò in funzione del mese di ottobre dello stesso
anno. L'opera era stata deliberata dal consiglio comunale il 30 gennaio
del 1877 sulla base di un finanziamento promesso dalla Deputazione
provinciale e che arrivò, però, solo molti mesi dopo che l'opera era
già stata realizzata. La direttrice della
linea, così come ci lasciano intuire i tre pali che osserviamo nella
foto, ci fa ritenere che la linea Petilia - San Giovanni passasse più o
meno per la località Praci - Acquafredda dove, probabilmente, si
collegava a quella di Caccuri.
Purtroppo questi luoghi
fiabeschi rimasero tali solo fino al 1930.
Poi l'opera di deturpazione ebbe inizio con la costruzione dell'edificio
scolastico che devastò parte del "Petraro", luogo nel quale
era sorto nei secoli uno dei più antichi insediamenti rupestri
della Calabria, fra l'altro abitato fino alla fine del XIX secolo, e
proseguì con altri scempi tra i quali la distruzione dello spuntone
della Mezzaluna.
Intanto già verso la fine degli
anni '40 del Novecento i Barracco cominciarono a disinteressarsi
dell'antica dimora e dei possedimenti caccuresi che vendettero agli
inizi degli anni '50, parte al comune, parte a privati. Don Guglielmo e
Donna Giulia che erano molto legati, anche affettivamente, a Caccuri e
alla loro dimora, non ebbero figli, così dopo la loro morte
gli eredi vendettero non solo il castello, ma anche lo splendido parco
annesso, il convento e tutte le altre proprietà caccuresi, ma chi
subentrò nel loro possesso non coltivò, evidentemente, il culto della
bellezza estetica.
ACCADDE OGGI : NASCE A CACCURI GIOVANNI CHINDAMO
Giovanni Chindamo
nacque a Caccuri il 25 giugno del 1902. Giovanissimo si arruolò nella
guardia di finanza e fu mandato in Alto Adige. Qui si sposò con una
donna del luogo e si stabilì a Merano che divenne la sua città di
adozione. Si arruolò quindi nel corpo dei vigili urbani della
cittadina e intanto si impegnò nello studio del tedesco aiutato anche
dalla moglie tirolese e, quindi, di madre lingua tedesca. Allo scoppio
del secondo conflitto mondiale fu richiamato nella Guardia di finanza e
destinato a Diamante, una cittadina della sua regione di origine dove
rimase fino alla fine del conflitto. Congedato alla fine delle ostilità,
tornò a Merano ove riprese servizio nei vigili urbani e fu promosso
tenente e comandante dei 42 agenti del corpo. Spesso lo si
incontrava per le strade della città, sul lungo Passirio, sulle
passeggiate d'estate o sul corso Libertà a bordo di un sidecar guidato
da un vigile intento a ispezionare i servizi di polizia urbana,
particolarmente curati ed efficienti in occasione del Gran premio ippico
di Merano che si svolgeva all'inizio dell'autunno. Godeva di
grande stima e prestigio, soprattutto nella comunità di lingua
tirolese tedesca della quale aveva acquisito perfettamente lingua e
cultura. Fu insignito anche del grado di Cavaliere della Repubblica.
Nell’ottobre del 1958 visitò per l’ultima volta il suo paese. Morì
il 7 gennaio del 1959.
ACCADDE DOMANI: I FRATELLI BANDIERA ATTRAVERSANO
IL TERRITORIO CACCURESE
Il 19 giugno del 1844 i fratelli Bandiera e i loro compagni, dopo
lo scontro con gli urbani di Belvedere di Spinello a Pietralonga e dopo
essere rimasti nascosti una notte e un
giorno, giungono a Bordò dove sostano
un po’. Nel pomeriggio vengono assaliti alla Stragola da cittadini e
Guardia urbana di San Giovanni in Fiore, Muoiono Miller e Tesei e tutti gli altri sono catturati. Curioso il
comportamento fantozziano delle autorità caccuresi che poco prima di
mezzogiorno inviano un messaggio al capo urbano di San Giovanni in
Fiore, ma si guardano bene dallo scendere a Laconi per tagliare la
strada agli invasori che, infatti, passano indisturbati e, attraverso le
contrade Paparotta e San Lorenzo raggiungono la bettola della Stragola e
poi il luogo dello scontro fatale.
LA "GRANDE RIVOLTA" CACCURESE
Ho
avuto già modo di scrivere in passato sulla rivolta anti unitaria del
luglio del 1861 a Caccuri, anche se parlare di rivolta è un tantino
esagerato, visto che i caccuresi, nel corso della loro plurisecolare
storia non hanno mai fatto ricorso alla violenza se non in casi
rarissimi e, comunque, mai collettivamente. La loro specialità, come
dimostrano anche le vicende della ricostruzione del paese a seguito del
terremoto del 1832, era piuttosto la lettera anonima.
La mattina del 7 del 1861, comunque, sul campanile della
chiesa di Santa Maria delle Grazie appare magicamente una bandiera
bianca borbonica issata da qualche patriota che non si rassegnava alla
conquista piemontese dell’antico regno meridionale a alla cacciata del
legittimo sovrano, Francesco II, attraverso un’aggressione proditoria
senza nemmeno una dichiarazione di guerra, un’operazione corsara
condannata da tutte le nazioni civili, fatta eccezione
dell’Inghilterra che aveva avuto un ruolo determinante nella vicenda e
dalla Francia, anch’essa favorevole alla caduta dei borbone. Niente di
eccezionale, nessuno scontro armato, nessuna azione violenta, eppure
tanto bastò per spaventare a morte le autorità di polizia e militari
che da un anno reprimevano violentemente la reazione dei partigiani del
Regno delle due Sicilie.
Poche ore dopo il capo della Guardia nazionale
caccurese, Antonio Abbruzzini, terrorizzato dall’episodio, chiede
aiuto al comandante del Distaccamento della 4° compagnia in colonna
mobile del 29° Reggimento di fanteria, tenente Magni il quale ordina al
comandante della Guardia nazionale di San Giovanni in Fiore di
raggiungere, con i due terzi dell’intero corpo di polizia
sangiovannese, Caccuri nel massimo silenzio e intorno alle ore 24 e di
lasciare a San Giovanni il rimanente terzo. Coraggioso e leale questo
tenente che spera, probabilmente, nel favore delle tenebre per cogliere
di sorpresa i rivoltosi caccuresi. Fortunatamente non successe niente e
il coraggioso tenente, dopo avere anch’egli raggiunto Caccuri con i
suoi soldati per dare man forte alla guardia nazionale di Caccuri e a
quella di San Giovanni in Fiore quasi al completo, dovette correre a
Cotronei e a Belvedere di Spinello per sedare altre rivolte più o meno
violente. L’anno successivo, però, i piemontesi misero a ferro e
fuoco Cotronei distruggendo, incendiando e saccheggiando molte
case mentre la popolazione cercava scampo nella chiesa di San Nicola.
Tutto è bene quel che finisce bene, potremmo dire
ripetendo un vecchio adagio, però questa “rivoluzione” costò un
bel po’ di soldi alle casse dello stato (ovviamente denaro prelevato
dalle casse del Regno delle due Sicilie). Ecco infatti cosa scrisse il
comandante della Guardia nazionale di San Giovanni in Fiore alle autorità
militari prima ancora che la presunta rivolta fosse “sedata” :
Guardia Nazionale di S.
Giovanni in Fiore
Caccuri 9 Luglio 1861
Signore,
Essendo stato chiamato qua dal Comandante del Distaccamento della 4^
Compagnia in Colonna Mobile del 29° Reggimento Fanteria per garantire
questo paese dall’assalto dei briganti, la prego mettere a mia
disposizione ducati diciannove e grana venti come giornata delle
sessantaquattro Guardie Nazionali che ò condotto meco.
Il comandante le G.N
Salvatore
Barberio
Una colonna di soldati, sessantaquattro guardie di
San Giovanni in missione, che costano la bellezza di 19 ducati e passa (
la ricostruzione di mezzo paese devastato dal terremoto costò 443
ducati) per una passeggiata da San Giovanni a Caccuri e un paio di
giorni di riposo, tutto per una bandiera issata su un campanile.
CURIOSITA' STORICHE SULL'ANTICA CACCURI
Dalla lettura di platee, regesto ed altri antichi documenti e dalle
ricerche del mio amico Andrea Pesavento si apprendono numerose notiziole
che ci permettono di ricostruire sommariamente la vita sociale, la
toponomastica e la storia di alcune famiglie caccuresi del Cinquecento e
del Seicento.
Abbiamo detto più volte che fino al XVIII secolo la
cittadina era circondata da mura, anche se, in alcuni tratti compresi
tra la Destra e la Portapicola era in stato di degrado (Muro rotto). La
popolazione, perciò, viveva all’interno delle mura, anche se molti
vivevano nelle case sparse in campagna, nelle masserie o nei monasteri
di San Domenico, dei Tre Fanciulli e di San Bernardo. Dentro le mura,
nelle vicinanze del castello vi erano due importanti dimore
(palazzetti), uno di Giovanni Pietro Manfreda e dei nipoti, figli del
defunto fratello Silvio e l’altro di Marco Antonio Mingaccio,
discendente del notaio Domenico. Probabilmente la casa dei Mingaccio era
quella che poi diventerà di proprietà del notaio Domenico Ambrosio,
mentre quella dei Manfreda dovrebbe essere l’attuale casa della
famiglia Sperlì.
Il tratto tra la Porta Grande (piazza) e il ponte della
Parte all’epoca denominato “Lo Cacazzaro”, era di proprietà dei
signori Cesare Peluso, del fratello Antonuccio, di Don Ramundo Lauretta
e di Ramundo Petuno che vi avevano degli orti.
La zona tra il convento dei domenicani e l’Aruso (oggi
Laruso) era denominata “Lo Casale”. Vi erano alcuni orti di
proprietà di Ottaviano Castello, Domenico Cosentino, del monastero di
Santa Maria del Soccorso, di Filippo Piluso, di Guglielmo Sproveri
e di Carlo Martino e vi si trovavano molti gelsi le cui foglie venivano
utilizzate per l’allevamento del baco da seta.
Per quanto riguarda le strade, all’epoca ovviamente
mulattiere e solo qualcuna e per brevi tratti carrabile, la situazione
era più o meno quella attuale. Dalla Platea del 1533 dell’abbazia
Florense apprendiamo che vi era una via pubblica che collegava Caccuri a
Cerenzia passando per Laconi, una che dalla marina raggiungeva la Sila
attraverso l’abitato e un’altra “per la quale veneno li
cosentini” che attraverso il Casale (oggi San Nicola, Acqua dei vulli,
abbazia dei Tre Fanciulli, Gimmella raggiungeva la Sila.
NOTAI E NOTERELLE
Nel 1629
il caccurese Enrico de Planis, notaio, era il regio credenziere delle
regie saline di Miliati e di Lepre. Questo importante personaggio nominò suo procuratore generale in
Napoli per il disbrigo di qualsiasi pratica lo riguardasse nei vai uffici della capitale, un certo Francesco Greco di
Cropani. Nel secolo precedente la professione di notaio era esercitata
da un altro illustre caccurese, Domenico Mignaccio (o Mingaccio, a
seconda dell’umore degli scrivani dell’epoca ) esponente di una
illustre famiglia che
aveva anche il iuspatronato della cappella la del SS.mo Salvatore all’interno della chiesa madre che nei secoli successivi passò
ai De Luca e poi ai De Franco. In
un suo atto del 10 ottobre del 1551 possiamo leggere la triste storia
della cattura e della prigionia del vescovo caccurese Giovanni
Carnuto, rapito dal corsaro Barbarossa, raccontata dai coniugi Nicolò
Interzato e Livia de Costa.
Nei due secoli successivi il tabellionato passò alla famiglia Ambrosio
con i notai Domenico Ambrosio e il figlio Francesco Antonio.
CI SFRUTTARONO PERFINO I PAPI
" 'U paise 'e ra muntagna", lo definiva il
"filosofo" Giovanni Marullo, uno che conosceva alla perfezione
vizi e virtù dei suoi paesani, per stigmatizzare la facilità con la
quale i forestieri a Caccuri, da sempre, potevano fare i loro comodi
senza che i locali reagissero e si facessero rispettare, anzi spesso,
notava lo stesso zu Giovanni, di una "zinzula se ne faceva un
re." Un'abitudine antichissima come testimonia la vicenda che
sto per raccontare.
Il 26 maggio del1546 il papa
Paolo III° Farnese concesse all’arciprete di Crotone don Gregorio
Cosentino la rendita della parrocchia di San Pietro di Caccuri. Questo
in un paese con una pletora di sacerdoti e canonici sempre alla canna
del gas, poveri, che si azzannavano
tra loro per sopravvivere e con un convento in costruzione i cui scarsi
proventi provenivano dalla tassa di un tornese su ogni rotolo di carne o
di pesce che consumavano i caccuresi e i cui monaci erano così poveri
da non riuscire mai a completare le opere murarie. Ma, "allu paise
'e ra muntagna" nessuno protestò. D'altra parte come si faceva a
protestare contro un papa col rischio di finire quantomeno scomunicato?
LA VERITA' STORICA RACCONTATA DA UN NOBILE PIEMONTESE
Il
conte Alessandro Bianco era un giovane nobile piemontese, capitano nel
Corpo dello Stat Maggiore piemontese, come tutti i giovani abbindolati
dalla propaganda anti borbonica
sulla miseria dei coloni meridionali, sull’arretratezza, sulla rapacità e sulle malversazioni dei funzionari pubblici,
sull’ignoranza, insomma sull’inferiorità economica, sociale,
culturale del popolo duosiciliano. Mandato a reprimere il brigantaggio
alle frontiere con lo stato pontificio, prende atto delle falsità che
gli erano state raccontate e della ferocia della repressione e,
onestamente, scrive:
“Il
1860 trovò questo popolo del 1859, vestito, calzato, industrie, con
riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta e vendeva animali;
corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia,
tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato
materiale. Adesso è l’opposto. La pubblica istruzione era fino al
1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città
principali di ogni provincia. Adesso veruna cattedra scientifica. Nobili
e plebei, ricchi e poveri, qui tutti aspirano, meno qualche onorevole
eccezione, ad una prossima restaurazione borbonica.
In pochi anni le proprietà si
concentrarono a pieno nelle mani dei ricchi, degli speculatori, degli
usurai e dei manipolatori… Tu vedi uomini di merito languire.
Spopolati gli studi di tanta gioventù”.
CONTE ALESSANDRO BIANCO DI SAINT-JOROZ .”
GLI EROICI LIBERATORI ARRESTAVANO I FANCIULLI
Dopo
la proclamazione dell’Unità d’Italia, quando esplose furibonda la
resistenza duosiciliana contro gli aggressori piemontesi,
soprattutto dopo l’imposizione di una serie di odiosi balzelli, la
leva obbligatoria e la mancata concessione delle terre e degli usi
civici promessa da Garibaldi , lo stesso che ordinò la feroce
repressione di Bronte, i savoiardi, come già avevano fatto i
francesi sessant’anni prima, affibbiarono ai partigiani meridionali
l’odioso appellativo di briganti e cominciarono a fucilarli,
decapitarli, squartarli con una ferocia incredibile alla quale non
sfuggivano nemmeno i vecchi, i fanciulli e le donne che spesso venivano
stuprate e poi uccise.
Gli eroici ufficiali piemontesi, molti dei quali
conoscevano solo il dialetto piemontese o il francese, venuti a
liberarci dagli stranieri che parlavano il napoletano e l'italiano ed
erano nati a Napoli da tre generazioni, ricorrevano a ogni mezzo
per catturare i combattenti meridionali, perfino all’arresto di
fanciulli e fanciulle figli o parenti dei latitanti.
Nel 1866, tra gli altri, furono arrestati il quattordicenne
Vincenzo Angotti per “volontaria sciente somministrazione di
oggetti, ricovero e notizie sul malfattore Schipani”, Virginia
Mannarino di anni 7 di Petilia Policastro perché “arrestata perché
membro della famiglia Mannarino Giuseppe sospettato di
manutengolismo”, Lucrezia Mannarino di anni 11, di Petilia
Policastro, perché “membro della famiglia Mannarino Giuseppe
sospettato di manutengolismo”, Vincenzo Muletta di anni 15, di
Colosimi, imputato di volontaria somministrazione di oggetti ricovero e
notizie ai malfattori ( manutengolo del brigante Schipani), Giuseppe
Angotti, di anni 14, imputato di volontaria somministrazione di oggetti
ricovero e notizie ai malfattori ( manutengolo del brigante Schipani),
Pietro Mannarino di anni 14, imputato di reticenza di fatti
criminosi, che aveva obbligo di rivelare ( non aver riferito subito
l’apparizione di briganti nella mandria Caruso.
Davvero grandi i nostri fratelli liberatori!
Ricerche
presso As
CZ GOVERNATORATO
( FONDO BRIGANTAGGIO)
BUSTA
85/ anno 1866
UN FEUDATARIO CACCURESE GUERRAFONDAIO
Fra le tante sciagure che colpirono Caccuri annoveriamo anche quella di
aver avuto per sei anni, dal 1479 al 1485, un feudatario guerrafondaio.
Si tratta di Girolamo Riario, conte di Squillace, feudatario di Caccuri,
e signore di Imola. Il Riario era nipote del papa ligure Sisto IV,
(Francesco della Rovere) sul quale ebbe un'influenza nefasta spingendolo
a una politica espansionistica dello Stato ponficio ai danni degli
altri signori italiani, soprattutto dei Medici. Fra l'altro lo
convinse ad appoggiare la Congiura dei Pazzi contro Giuliano e Lorenzo
dei Medici coinvolgendolo in una pericolosa guerra che fu evitata solo
dall'occupazione turca di Otranto che ricompattò i signori
italiani.
Per fortuna dopo qualche anno ci liberammo di questo bel
tipo e il feudo caccurese passò ai Sanseverino, un illustre casato del
Regno di Napoli.
TATA MACRI' DIRETTORE DELLE SCUOLE ITALIANE IN URUGUAY
ll cavaliere, professor Francesco Macrì, più noto col curioso
nomignolo di “Tata”, uno degli uomini più illustri del paese,
nacque a Caccuri il 24 aprile del 1870 da una famiglia di modeste
condizioni economiche, originaria della provincia di Cosenza. Sin da
fanciullo mostrò un accentuato interesse per gli studi tanto che i
genitori, a prezzo di grandi sacrifici, gli consentirono di frequentare
la “Regia Scuola Normale Superiore” di Napoli dove il giovanissimo
Francesco conseguì la “patente superiore di
maestro di scuola”. Subito dopo lo troviamo insegnante in alcune
scuole della provincia di Cosenza e, successivamente, anche a Caccuri,
ma, a quei tempi, lo stipendio di maestro elementare non consentiva
altro che una vita grama, per cui il giovane maestro, come tanti suoi
connazionali, fu costretto ad emigrare in Uruguay, dove trascorse ben 27
anni. Tra i vari incarichi che ricoprì per
conto del suo Paese vi fu anche quello di direttore delle scuole
italiane in Uruguay. Fu anche membro autorevolissimo e segretario di un
circolo culturale italiano della capitale uruguegna. Era ancora nel
paese sud americano, professore al liceo italiano di Linares, il 13
dicembre del 1917 quando il ministro degli esteri Sidney Sonnino comunicò
all’onorevole Lucifero che, su proposta dello stesso ministro,
Vittorio Emanuele III°, con decreto del 9 dicembre dello stesso anno,
aveva nominato l’emigrante Cavaliere della corona. L’anno prima il
professore caccurese si era reso protagonista di un inconsueto gesto di
generosità donando tutti i suoi risparmi, ammontanti a 3.000 lire,
frutto di anni di sacrifici e privazioni, allo Stato italiano a titolo
di prestito di guerra. Il versamento viene effettuato presso il Banco
Italiano dell’Uruguay. E nel 1926, poco prima del suo definitivo
rientro in patria, fu ancora protagonista di un secondo atto di
generosità donando la sua ricchissima collezione di libri che aveva
accumulato in diversi anni, alla Biblioteca della Scuola italiana di
Montevideo.
Chi volesse saperne di più sulla figura di questo illustre
caccurese può visitare questa pagina: http://www.isolamena.com/Caccuri/Personaggi/MACRI.HTM
I CACCURESI, IL RE, I PRIVILEGI
Il 22 aprile del 1465 il re
Ferdinando I° d’Aragona concesse ai Caccuresi un privilegio in virtù del quale i cittadini dell’Università di
Caccuri
“in primis causa” non potevano essere convenuti dinanzi a nessun
altro se non al re stesso. In pratica, i concittadini di Simonetta, per
taluni reati, potevano essere giudicati solo dal re in persona e tutto
ciò, dichiara il sovrano, per rispetto di un caccurese illustre, Cicco
Simonetta, segretario Duca de Milano.”
Detto così sembrerebbe una gentile concessione del sovrano ai
caccuresi, invece si trattava di un esempio deleterio di nepotismo al
quale nemmeno Cicco fu del tutto immune.
Cos'era successo in realtà?
Ettore De Gaeta, parente stretto del Cancelliere ducale di
Francesco Sforza, fu accusato di essere immischiato nella rivolta del
principe di Rossano, Marino Marzano, cognato dello stesso re e figlio di
Covella Ruffo, che si era più volte ribellato al sovrano. Il De Gaeta,
con un esposto al re, lamentò di essere perseguitato dal Viceré di
Calabria. Il sovrano, allora, il 22 aprile del 1465 comunicò al
figlio, suo Vicario generale, la concessione di un indulto nei confronti
del parente del Simonetta “Tum
maxime per respecto del magnifico Cecho secretario dell’Illustrissimo
Signor Duca di Milano per respecto del quale volimo che esso Hector è
parente del dicto Cecho, siano favoriti et guadative de fare lo
contrario, ammoniva il sovrano, per quanto avite nostra gratia cara.”
Uno dei primi esempi di avocazione di un processo addirittura da parte
del “primo magistrato del Regno” che si arrogava il diritto di
giudicare e assolvere di fatto un caccurese che tramava addirittura
contro di lui.
NICOLA
IGNAZZI, 'U BARESE, ATTORE PER CASO
Quando
nel 1950, caduto e archiviato il fascismo e scongiurata la possibilità
di confondere i due briganti e di finire in carcere o al confino, la Ponti
- De Laurentis decise di produrre un film sulla vita del celebre
fuorilegge calabrese, lo scenografo Flavio Mogherini e il Regista Mario
Camerini decisero di ambientare alcune scene, tra le più importanti e
suggestive, a Caccuri e dintorni. Oltre a ciò decisero di
avvalersi di molte comparse caccuresi, ad alcune delle quali fu chiesto
anche di pronunciare qualche battuta trasformandole in "attori non
protagonisti". Uno dei più bravi la cui recitazione colpì gli
addetti ai lavori e i compaesani fu Nicola Ignazzi, meglio conosciuto
come Nicola 'u barese. Quand'ero fanciullo sentii ripetere centinaia e
centinaia di volte la famosa battuta "T'aspetta domani a
Femminamorta", il messaggio di Musolino a Mara, la sua compagna,
che Nicola riferisce nella scena della vendemmia alla grande Silvana
Mangano.
Nicola 'u barese,originario delle Puglie,
giunse a Caccuri insieme ad altri corregionali come l'altro Nicola 'u
barese, Nicola Spina e i suoi i fratelli Francesco e Sergio, potatori
chiamati dal barone Barracco che li impiegava nei suoi uliveti di Lupia
e Forestella. Tutte brave persone che si integrarono perfettamente nel
tessuto sociale caccurese e lasciarono un bellissimo ricordo tra i
caccuresi.
ACCADDE
OGGI: NASCE ALFONSO CHIODO, PRIMO SINDACO DELLA REPUBBLICA
Il 15 marzo del 1907 nasceva a Caccuri Alfonso Chiodo, da Luigi e da
Gelsomina Sellaro. Alfonso, eletto nel 1946, fu il primo sindaco
dopo la Liberazione e primo primo sindaco comunista del paese.
Bisognerà aspettare il 1980 per vedere un altro comunista, Rocco
Antonio Lacaria, primo cittadino comunista del paese.
Nei primi anni '20 del secolo scorso, il giovanissimo
studente caccurese, assieme a un altro giovane di talento, Giuseppe
Lacaria detto Cozziniguru, con disappunto dell'arciprete don Peppino
Pitaro che avrebbe voluto farne due dirigenti del Partito popolare di
don Sturzo, si avvicinarono al neonato PC d'I di Gramsci e Bordiga
attirandosi l'odio dei fascisti locali che, instaurata la dittatura,
presero a perseguitarli. Le attenzioni del podestà e de militi
caccuresi divennero sempre più fastidiose e pericolose per cui Giuseppe
Lacaria espatriò in Belgio dove si spense per malattia e stenti il 25
aprile del 1936 , all'età di 30 anni, un anno prima di Gramsci, mentre
Alfonso si allontanò dalla politica attiva. Dopo la caduta del fascismo
riprese i contatti con la federazione provinciale di Catanzaro e
riorganizzò una cellula del PCI a Caccuri. e tre anni dopo vinse le
elezioni. All'epoca Cerenzia era ancora frazione di Caccuri, l'anno
successivo ottenne l'autonomia per cui di dovette tornare al voto.
Alfonso Chiodo, per contrasti con gli altri esponenti della sinistra non
si ripresentò e sindaco fu eletto il suo antico padrino politico don
Peppino Pitaro, costretto a dimettersi un mese dopo e a cedere lo
scettro al maestro di musica Angelo Di Rosa che rimase in carica per
circa un anno. Poi fu la volta del socialista Salvatore Giuseppe Falbo
che portò a termine la legislatura nel 1952. Alfonso, comunque,
nell'immaginario collettivo fu per sempre un sindaco decisionista,
rivoluzionario e un po' autoritario, un sindaco come ci si poteva
aspettare in quei turbolenti anni di transizione da una dittatura a un
regime democratico.
Ecco l'elenco dei primi consiglieri comunali caccuresi eletti col
suffragio universale : Chiodo Alfonso P.C.I, Pugliese Giovanni D.C,
Dardani Vincenzo D.C, Di Rosa Salvatore Pietro Indipendente,
Gigliotti Giovanni Fortunato P.C.I, Ambrosio Domenico P.S.I,
Bruno Giuseppe Salvatore P.C.I, Foglia Luigi (Cerenzia)
P.C.I, Pitaro Sabatino Giuseppe D.C, Pasculli Giovanni Indipendente,
Guzzo Pasquale P.C.I, Falbo Giovanni P.C.I, Loria
Rosario (Santa Rania) P.C.I, Macrì Amedeo, lacometta Luigi,
Bombino Giovanni (Cerenzia), Morrone Battista (Cerenzia), Ambrosio
Vincenzo, Muti Tommaso, Aragona Domenico (Cerenzia).
CACCURI ARCHEOLOGICA
Caccuri, nel corso della sua plurisecolare storia è sempre stato
un paese sfortunato, ovvero un paese che ha sempre dato molto, ma ha
sempre ricevuto poco. Perfino in archeologia.
Nei primi decenni del
XX secolo il territorio caccurese fu interessato da alcune importanti
scoperte archeologiche col conseguente rinvenimento di numerosi reperti
che finirono, stando a quanto si legge in alcuni libri o in articoli
dell’epoca, nei vari musei calabresi, ma dei quali non sono mai
riuscito a trovare traccia. Mi sarebbe piaciuto almeno fotografarli
nelle loro bacheche, ma non mi è mai riuscito perché nessuno ne sa
niente.
Il primo ritrovamento
di un’ascia in basalto nero risalente al neolitico, in località
,
nei pressi dell’antico monastero basiliano dei Tre Fanciulli, risale
al 1929.
Sempre nel 1929, in
località Pantane, nella proprietà del prof. don Francesco Pasculli,
nel corso di lavori di scavo per l’impianto di un uliveto, venne
scoperto un esteso sepolcreto di epoca romana. Le tombe, con le pareti e
la copertura in terracotta, costituivano, secondo gli archeologi del
tempo, una testimonianza inoppugnabile della via di accesso alla Sila
dalla zona Ionica durante il periodo classico.
Nel sepolcreto di
Pantane furono trovati alcuni reperti molto interessanti che furono inviati all’Antiquarium della Soprintendenza
bruzio-lucana e più precisamente:
1)
un asse romano repubblicano di peso ridotto e risalente al II°
secolo avanti Cristo;
2)
una monetina enea di Petelia (Strongoli) con la testa di Demeter
sul recto e di Zeus folgoratore sul rovescio e la scritta in caratteri
greci “Petelinon” del III° secolo avanti Cristo;
3)
un frammento di embrice con margini rialzati che faceva parte
della copertura di una tomba del periodo ellenistico romano.
Ma la scoperta più
importante, almeno per quanto riguarda la quantità di reperti che ne
venne fuori, la fecero alcuni scalpellini che il 20 maggio del 1933
estraevano pietra da una cava sulla Serra Grande e che, rimuovendo una
grande lastra che da tempi immemorabili si era staccata dal costone
roccioso, misero in luce una tomba medievale anteriore all'anno Mille,
presumibilmente longobarda.
All’interno furono
rinvenute le ossa di un cadavere ed una ricca suppellettile metallica di
facies barbarica molto ossidata e costituita da oggetti di ferro tra cui due staffe a pianta laminata, tre cuspidi di
lancia a cannone delle quali
due più grandi ed una di dimensioni inferiori, una forbice per tosare
le pecore, tipico strumento rinvenuto in altre tombe barbariche sparse
sul territorio italiano, una forbice più piccola e di diversa fattura,
4 falci per il grano delle quali due integre ed una frammentaria, un'
accetta bipenne e una monopenne, una scarpa per aratro a bordi rialzati,
una subbia, uno scalpello ed altri frammenti.
Oltre
agli oggetti in ferro ne furono rivenuti anche alcuni in bronzo ed un
oggetto vitreo. Il corredo in bronzo era costituito da un pettine a
denti triangolari molto robusti che in origine doveva avere un manico di
legno o di osso, un vasetto a forma di olla con ventre espanso e bordi
superiori rinforzati sormontati da tre trilobi forati per l'attacco di
tre catenelle, un
attingitore e un busto dell'imperatore Claudio che, secondo gli esperti,
potrebbe essere capitato per caso fra la suppellettile e che, comunque,
non è sufficiente a far nascere dubbi sull'esatta datazione della
sepoltura che rimane confermata quale tomba risalente all'VIII - IX
secolo d. C.
L’ oggetto vitreo esso
consisteva in una coppa di vetro soffiato di colore verdognolo del
diametro massimo di cm. 20 e minimo di 18,5. Al centro vi era
raffigurato un uccello acquatico palmipede, collo ripiegato ad
"S" e becco lungo, ramoscello e tre penne. Anche per ciò che
riguarda la datazione di quest'ultimo oggetto si registrano dubbi.
Alcuni esperti ritengono possa trattarsi di un oggetto di produzione
ispano moresca del XV secolo.
Questo piatto,
insieme al busto dell'imperatore Claudio, sollevano notevoli perplessità
sull'intera vicenda. Se, infatti, la presenza del busto bronzeo potrebbe
essere spiegata col fatto che i parenti della vittima, perita nell'VIII
- IX secolo, in possesso del busto, lo abbiano inserito fra gli altri
oggetti, altrettanto non avrebbero potuto fare per un oggetto vitreo
fabbricato, addirittura, nel XV secolo, a meno che gli esperti non si
siano sbagliati nel considerarlo frutto dell'arte ispanico - moresca.
Quest’oggetto così misterioso fu descito da N. Catanuto, nel volume
Importante
piatto invetriato scoperto a Caccuri (Catanzaro) , Faenza, Stabilimento
grafico P. Lega, 1955 XIII. Dallo stesso volume, a pag. 3",
apprendiamo che il piatto invetriato, opportunamente restaurato, entrò
a far parte delle collezioni statali del Museo Centrale della Magna
Graecia di Reggio (tav. V e VII). Purtroppo, nonostante approfondite
ricerche, in due occasioni, nel museo reggino, pur coadiuvato
efficacemente dai custodi, non sono riuscito a trovare traccia del
prezioso reperto. Da una fotocopia del volumetto di Catanuto,
probabilmente ormai introvabile, sono riuscito almeno a fotocopiare le
pagine con le foto della suppellettile che sono tutto ciò che sembra
rimanere del “ricco patrimonio archeologico caccurese.” Peccato;
sarebbe bello vederlo esposto nelle bacheche di qualche museo.
ACCADDE DOMANI: NASCE DON FRANCESCO PASCULLI SACERDOTE DANNUNZIANO
Il 10 marzo del 1878 nasce
a Caccuri don Francesco Pasculli, sacerdote e i segnante elementare.
Don Francesco compì gli studi a Napoli e fu ordinato
sacerdote. Uno dei suoi primi atti da uomo di chiesa, agli inizi del
secolo, fu quello di erigere in Caccuri una croce (la Santa Croce)
all'entrata del paese per ricordare la una missione dei Padri
Passionisti del 1905. Qualche anno dopo l'amore per una "purissima
figlia del fiero popolo calabrese" che con lui "condivise per
anni l' amarore di vili persecuzioni" lo convinse a smettere la
tonaca, pur rimanendo per, per tutta la vita, cattolico ferventissimo.
Si trasferì di nuovo a Napoli ove visse per molto tempo, nella casa di
via Scarlatti al Vomero, esercitando la professione di insegnante. Dopo
la morte della moglie, avvenuta nella stessa città il 15 marzo
1920, conobbe Maria Padula, un'avvenente signorina, della quale,
probabilmente, si innamorò di quell' amore platonico che lo struggente
ricordo dell'amatissima consorte ed il suo misticismo gli consentivano
ed alla quale dedicò alcune poesie di argomento vario.
Allo scoppio della I^ guerra mondiale lo troviamo
volontario nelle file dell'esercito, nell'11^ Divisione del generale
Diotassisti, in qualità di tenente propagandista, ad inculcare nei
soldati poco vogliosi di battersi quell' entusiasmo e quella voglia di
gesta eroiche che gli covava dentro. Per riuscire nel suo intento
teneva ai soldati quotidiani sermoni che poi raccolse in un volumetto
intitolato "Il Vate della Patria o il Senso Cristiano della
guerra contro gli in inumani Austro - Ungarici" che dedicò
al generale Pecori - Giraldi.
Nel 1919, finita la guerra, dopo una breve sosta a
Napoli presso la moglie ed il figlioletto Mario, si precipita a Fiume,
al seguito di D'Annunzio per partecipare al colpo di mano dei Legionari
che porterà alla Reggenza del Carnaro. Qui lo raggiunge la notizia
della morte della moglie ed egli, in una tenera composizione, ne
attribuisce la causa alla sua assenza ( torcular calcavi solus ) .
Dopo questa sciagura la vita dell'ex sacerdote scorre
abbastanza tranquilla, anche se, la formazione culturale permeata di
cultura umanistica, di misticismo e nazionalismo lo porterà, per tutta
la vita, a coltivare la passione per le grandi imprese, per l'eroismo e
l'ardimento intesi come mezzi per educare le generazioni e per
realizzare lo sviluppo economico, sociale e culturale del popolo
italiano. In quest'ottica egli vive l'epopea fascista e fascista sincero
e convinto rimase per tutta la vita vedendo nel fascismo non soltanto
"la perfetta fusione del Romanesimo e del Cristianesimo ", ma,
anche lo strumento per la realizzazione dei disegni della Provvidenza
che del Duce si serviva per "affratellare gli uomini nella santità
del lavoro ". Questa sua continua ricerca di coniugare il
Verbo di Dio con le teorie fasciste lo portò a confutare con
motivazioni forse un po’ ingenue, ma sincere e meditate, le teorie di
Tomas Robert Malthus, espresse nel "Saggio sul principio
della popolazione", sul rischio che l'incremento demografico
comportava per l'Umanità, sostenendo che "le viscere stesse
dell'uomo, l'energia di madre - Terra e la Provvidenza ci dicono che
tutto dev'essere fatto per meglio produrre e per meglio moltiplicarsi e
che nel mare l'uomo può trovare il suo alimento di prim'ordine in grado
di sfamare le moltitudini". In tal modo conciliava perfettamente la
campagna per l'incremento demografico promossa dal regime con le teorie
sulla procreazione del magistero ecclesiastico, tanto più che per lui
la natura dello Spirito Santo è femminile: "E se lo Spirito
Santo non fosse di natura femminile, come potevasi immedesimare con la
Vergine Maria riempiendola di sé e, così, divenir capace di
concepire il Figlio di Dio e la benedetta, la prescelta tra tutte le
donne" rappresentava la madre trepidante e protettiva di
tutti gli uomini che giammai avrebbe permesso che morissero di fame.
Le sue granitiche certezze nei valori e nell'
ineluttabilità del Fascismo che, abolendo "le camere dei deputati,
arido campo di competitori, di discordie, di pettegolezzi e di inutili
dispute: la vergogna dello sgoverno!" e affidando le sorti
dell'Italia alla "grandezza e sapienza del Duce", aveva
avviato il progresso della Nazione, lo porta a scrivere una appassionata
lettera a Vittorio Emanuele III in occasione della sua venuta in
Calabria per l'inaugurazione della centrale idroelettrica di Timpagrande,
nella quale , dopo aver osservato che "Una nuova e rigogliosa
Istituzione è nata oggi in Italia: la maggiore e più salutare che sia
sorta al mondo: il Fascismo", definisce fascisti "pure i
nostri monti che oggi, e non prima, sprigionano dalle loro viscere
l'immensa energia elettrica che muoverà ferrovie, motori e braccia
affasciandoli nella santità del lavoro". Parole che, forse,
suoneranno eccessivamente retoriche, ma che furono profondamente sentite
da don Francesco Pasculli, uomo, peraltro, onesto.
Va osservato, prima di chiudere questa
breve ricostruzione del pensiero e dell'opera del professor Pasculli, in
gran parte racchiuso nel poemetto morale inedito “Vita, Cuore,
Mente”, che egli, pur rimanendo sempre fedele ai suoi ideali, mai si
macchiò di azioni squadristiche o si lasciò coinvolgere in risse o
violenze politiche tipiche dell'epoca, ma seppe conquistarsi e mantenere
il rispetto e la stima dei suoi concittadini fino al giorno della morte
che lo colse in Caccuri il 16 maggio del 1941.
ACCADDE DOMANI: IL BRIGANTE DOMENICO FABIANO FUCILATO AL PETRARO
L'8 marzo del 1809 la guardia civica al servizio dei francesi catturò
in località Bardaro dell'agro di Cerenzia il brigante savellese
Domenico Fabiano. Condotto a Caccuri, fu fucilato (scupettatus ictus,
come si legge nell'atto di morte redatto dalla parrocchia) in località
Petraro.
La zona Petraro, precisamente il posto dove poi
sorse la palestra all'aperto della scuola elementare (attuale campo di
basket) era il luogo deputato a questo tipo di esecuzioni. Tre anni
dopo, la stessa sorte toccò a un giovane gendarme caccurese, Francesco
Iesu, che, dopo aver ucciso un certo Vincenzo Gabriele che lo aveva
minacciato di morte, si era dato alla macchia per poi costituirsi per
essere processato. Purtroppo i giudici non gli concessero le attenuanti
e il 7 settembre del 1812 fu condannato alla pena di morte
esemplare e al pagamento delle spese di giudizio per l’importo di 277
lire e 18 centesimi.
Da fanciullo, essendomi stata raccontata la storia del
Petraro come luogo di esecuzione di condanne a morte, dopo
l'imbrunire evitavo accuratamente di avvicinarmi a quel luogo.
PEPPE MARASCO
(PEPPE 'U MERCANTE)
Peppe
Marasco non era un caccurese nel senso che non era nato a Caccuri; vi si
era stabilito definitivamente, lui, commerciante che girava per i vari
paesi della Calabria, dopo aver sposato una donna del luogo, ma, per la
verità, fu uno degli "immigrati" che meglio si inserirono
nell'ambiente caccurese al punto che nessuno mai ebbe a consideralo un
forestiero. Di natura burlone e gaudente, è uno dei tre personaggi
celebrati nella famosa canzone " 'A Caccurisella" che ogni
vero caccurese conosce.
Peppe era celebre per gli scherzi che sapeva
organizzare e che facevano ridere tutto il paese. Scherzi e facezie
toccavano il culmine nel periodo di Carnevale e, il martedì, il giorno
de "l'Azata", nei panni di Quaresima, l'afflitta vedova del
filosofo epicureo, si strappava faccia e capelli per il dolore facendo
sbellicare dalle risa coloro che seguivano il mesto, gioioso
corteo.
Una volta in piazza, lui, povero commerciante che
certamente non nuotava nell'oro, forse per far dispetto a qualcuno che
gli era antipatico, si mise a magnificare i tempi (metà anni '50) che
consentivano alle persone intelligenti di arricchirsi facilmente tanto
che lui oramai i soldi non li contava più, ma li pesava essendo
riuscito a stabilire con precisione il numero di biglietti da mille
corrispondenti ad un chilogrammo di peso. Lo scherzo gli procurò una
serie di guai quando una lettera anonima denunciò la cosa alla finanza
che volle accertare come mai, uno che aveva tanti soldi da pesarli, non
pagasse una sola lira di tasse.
Quando Peppe, nel 1957 comperò uno dei primi televisori
apparsi a Caccuri si divertiva ad angariare le frotte di ragazzini che
premevano alla sua porta per guardare la TV dei ragazzi, le avventure di
Rin Tin Tin o di Ivanhoe col grande Roger Moore. Per farli entrare
pretendeva che si dichiarassero "figli di buona donna" e,
quando il ragazzino, per pudore o per non offendere la propria madre, se
ne stava titubante senza rispondere alla fatidica domanda, lo teneva
sulla corda per un po' prima di prorompere in una fragorosa risata e
farlo finalmente entrare in casa, assieme ad altri 50 - 60 monelli, a
guardarsi il tanto agognato programma.
La specialità di Peppe era la costruzione dei palloni ad
aria calda che faceva innalzare nel cielo caccurese una volta all'anno,
il 19 marzo, nel giorno del suo onomastico. Ma ogni quattro anni Peppe,
comunista incallito, di palloni ne lanciava due: uno il 19 marzo e
l'altro il giorno dello scrutinio dopo le elezioni comunali o nazionali
quando a vincere erano la lista della "Tromba" o i socialcomunisti.
Allora un gigantesco pallone rosso con la "Tromba" e "la
falce e martello" si librava nel cielo caccurese per la gioia dei
ragazzini che, forse anche per questo, si auguravano la vittoria dei
comunisti, cosa che si avverò sempre fino al 1970 quando già Peppe si
era trasferito definitivamente da qualche anno in quel di Como.
CONFINATI POLITICI A CACCURI
Come tanti paesi del Mezzogiorno d'Italia, anche Caccuri fu sede di
confino per gli antifascisti perseguitati dal regime. Nel corso
delle nostre ricerche siamo riusciti ad individuarne nove. Si
tratta, nella maggior parte dei casi, di artigiani, operai o braccianti
agricoli privati della loro libertà per aver esercitato il
sacrosanto diritto di critica o per aver militato in partiti
politici invisi ad un regime odioso e becero. Alcuni di loro, tra i
quali il veneziano Eugenio Mattiazzi, furono ospiti, nel corso del loro
forzato soggiorno nella nostra cittadina, della "Locanda
Marino", di proprietà di nonno Peppino Marino che aveva sede nella
casa attualmente di proprietà di Vincenzo Parrotta, in vico II
Buonasera (Vincolato). Pur nelle condizioni di ristrettezza nelle quali,
oggettivamente versavano, seppero essere generosi e cordiali nei
confronti dei Caccuresi meritandosi stima, rispetto e solidarietà nella
misura consentita dagli odiosi divieti imposti dalle autorità del
tempo.
Molti confinati, prigionieri politici, partigiani
entrarono poi in parlamento come deputati e senatori e per risarcirli in
qualche modo per le persecuzioni subite e per non aver potuto esercitare
per molti anni una professione o un mestiere e assicurare loro una
vecchiaia tranquilla e dignitosa furono istituiti i vitalizi dei quali
molto parlano a vanvera, anche perché ne fruirono e ne fruiscono ancora
oggi molti politicanti che con le persecuzioni del regime, anche per
ragioni anagrafiche, non hanno mai avuto niente da spartire.
Bevilacqua Ernesto, nato a Parma l’ 1-7-1881, rappresentante.
Apolitico confinato per apprezzamenti offensivi verso gerarchi e contro
la guerra d’ Etiopia. Anni 5.C.P.1935 (mesi nove)
Bordi Antonio, nato a Roma il 13 –10 – 1883, fornaio
antifascista, confinato per aver criticato un discorso del duce. Anni 3
c.p. Roma 1935 (mesi 8 gg.1).
Burri Alfredo nato a Foiano della Chiana (A.R.) il 10-5- 1896.
Bracciante del P.C.I. Confinato per attività comunista.
Anni 3 mesi 7
Del Fanti Mario, nato a Borgonovo (PC) il
30/08/1907, residente a Rottofreno (PC). Manovale antifascista arrestato
il 24/9/1935 per canti antifascisti, confinato a Caccuri per anni 5,
ridotti in appello a 2. Liberato condizionalmente il 24/5/1936 per
proclamazione dell’Impero.
Gheffoli
Andrea, nato a Sondalo (So) il 29/7/1879, residente a Ventimiglia
(IM). Fabbro antifascista arrestato il 20/9/1935 per canti sovversivi e
offese al capo del governo. Confinato a Caccuri e Gimigliano per 5 anni.
Liberato il 13/3/1937 per la nascita del principe, morì lo stesso
giorno.
Mattiazzi Eugenio, nato a Venezia il 16/11/1895 ed ivi residente.
Carpentiere comunista, fu arrestato per organizzazione comunista il
6/2/1932. Fu confinato a Rogliano, Caccuri, Curinga e Tremiti per 5 anni
scontati interamente.
Mauro
Ermenegildo
Bracciante antifascista nato a Reana (UD) il 21/7/1891 e
residente a Pozzuolo del Friuli (UD), Ermenegildo Mauro fu
arrestato il 18/8/1935 per vilipendio del regime. Successivamente fu
confinato a Caccuri per un anno, ma la pena gli venne commutata in
ammonizione il 18/2/1936.
Mauro era un socialista puro, fedele al suo ideale fino alla
morte che lo colse nel 1984 all'età di 93 anni.
L' episodio che gli costò il confino, a metà degli anni 30 lo
raccontava spesso egli stesso. Un giorno, mentre stava lavorando alla
costruzione di una strada, la carriola che utilizzava si ribaltò ed
egli si mise a bestemmiare perché non gli erano stati messi a
disposizione attrezzi di lavoro adeguati e alla fine mandò a quel
paese Mussolini e i fascisti. Il giorno dopo venne prelevato dai
carabinieri e portato in carcere
LA CASA CANONICA DEL CAPOLUOGO
La casa canonica di via Chiesa fu costruita tra la fine degli anni
’50 e l’inizio degli anni ’60 dello scorso secolo, se non ricordo
male, dalla ditta Angotti, la stessa che costruì il mattatoio e il
municipio. Uno dei primi e
dei pochi sacerdoti che l’abitarono stabilmente fu il compianto don
Giovanni Greco, parroco di Caccuri dal 1963 al 1980. Dopo di lui vi
abitarono solo un paio di parroci e qualche suora. Nei primi anni '60,
quando ancora l'interno era completamente rustico, tranne le stanze
abitate dal parroco, era comunque un luogo pieno di vita con tanti
ragazzi dell'Azione cattolica, ma anche non iscritti all'associazione
che don Giovanni cercava di accogliere, anche perché vi si poteva
giocare a calcio balilla. In questa foto, scattata in una pausa di
lavoro, si riconoscono Gennaro Rao, Salvatore Lacava, Giovanni Marra e
un altro operaio con in testa la classica bustina di tipica degli operai
del tempo, spesso fabbricata con la carta dei sacchi di cemento, mentre
setacciano la sabbia arenaria per preparare il calcestruzzo.
PARROCCHIE E CHIESE CACCURESI
Il terreno denominato San Nicola ha questo nome perché, molto
probabilmente, apparteneva alla parrocchia di San Nicola, una delle tre
parrocchie caccuresi del XVIII° secolo. Le altre due erano quella di
Santa Maria delle Grazie, affidata a un arciprete e quella di San
Pietro. Tra i sacerdoti che
ressero la parrocchia di san Pietro in Caccuri si ricordano don Domenico
De Rosa, don Agostino Chirico e don Gennaro Lucente che fu parroco dal
1768 in poi succedendo ai primi due.
Le tre
parrocchie utilizzavano per le funzioni religiose la chiesa madre di
Santa Maria delle Grazie, mentre gli altri edifici di culto, a parte le
chiesette sparse per la campagna come quella di Giachetta, di
Granatello, di Bordò e di Serra del Bosco di Casalinuovo e alle chiese
di Santa Maria del Soccorso e del Rosario, vi erano, a due passi dal
centro abitato la chiesa di San Rocco, che non fu edificata nel 1908
come qualcuno ha stupidamente scritto su Wikipedia, ma secoli prima, e
la chiesa di San Marco (attuale villa San Marco) poi sconsacrata e
utilizzata dai Barracco come fienile ( 'a pagliera) che custodiva al suo
interno la statua del santo patrono dei veneti, degli ottici e dei
notai.
ACCADDE DOMANI: NASCE VELOCIU IL GIULLARE CACCURESE
Il 25 febbraio del 1849 nacque
a Caccuri Angelo Raffaele Secreto, figlio di Vincenzo e di Michelina
Mele. Noto col soprannome di Velociu, fu il grande “farzaro”
caccurese, l’incorruttibile fustigatore dei costumi, spauracchio degli
amanti infedeli e del clero e dei “signorotti” corrotti, ma anche
della povera gente. Chi lo conobbe lo descrive basso di statura e
leggermente claudicante. Passava le sue notti per le buie strade del
paese a caccia di tresche e quando le scopriva faceva sibilare nelle
tenebre il suo fischietto, segno inequivocabile, per i poveri amanti o
per qualche ladruncolo di galline o di derrate alimentari custodite in
magazzini di fortuna che Velociu aveva scoperto tutto e che a Carnevale
li avrebbe pubblicamente svergognati. Allora la mattina dopo i
malcapitati si presentavano al terribile vecchio offrendogli doni o per
sottostare al suo ricatto. Fargli confezionare su misura " 'a
vestitura 'e frannina"(un abito di panno, che era la cosa che era
solito chiedere), o qualsiasi altra cosa spesso non era sufficiente a
salvare l'onore perché a Carnevale, come un bravo comico che non
rinuncia per nulla al mondo a una buona battuta, anche Velociu non
rinuncia alla sua farsa che si accompagnava con la chitarra
battente.
Compose innumerevoli “farse”, ma esSendo analfabeta, ce
ne sono pervenuti solo alcuni frammenti dalla tradizione
orale. Purtroppo, quasi tutta la produzione di questo geniale
"poeta" popolare caccurese è andata perduta.
Eccovi alcuni frammenti
E
viritilu a Velociu
Ca la notte sempre viglia
E viritilu a Velociu,
ca la notte sempre viglia
e ‘ppe ‘nu fare rrusciu
minturi ogliu alle maniglie
Tutte
chisse lampadine
Vannu centra a li viziusi
Tutte chisse lampadine
Vannu centra a li viziusi
Ca la notte stannu aperte
E lu jornu stannu chiuse.
Statte
citu, compari Velociu,
a ‘ste cose nun ce pensare,
statte citu, compari Velociu,
a ‘ste cose nun ce pensare
ca te ramu ‘na mericina
e prestu, prestu te fa sanare.
Subito dopo la Liberazione venne costituita a Caccuri, per iniziativa
della Sezione del P.C.I., in collaborazione con la Federazione
provinciale di Catanzaro, la cooperativa “Era Nuova” che assunse in
fitto numerosi terreni a condizioni vantaggiose sfruttando leggi ad hoc
e provvide a distribuire tra i soci prodotti agricoli e altri generi
alimentari. La cooperativa
consentì, successivamente, l’acquisto e la quotizzazione degli stessi
terreni tra i suoi soci. Ne facevano parte, tra gli altri, Salvatore
Giuseppe Bruno, Giuseppe Sellaro, Battista Lacaria, Giovanni Guzzo,
Pasquale Miliè, Giusepe Falbo, Francesco Sperlì ed altri dirigenti dei
partiti della sinistra.
EPIDEMIE CACCURESI
Nel 1876 scoppiò a
Caccuri una grave epidemia che decimò la popolazione infantile. Nel
solo mese di marzo morirono 8 bambini di età compresa tra 1 giorno e 4
mesi. A quei tempi la mortalità infantile era assai elevata, fenomeno
questo che durò almeno fino alla fine degli anni 30 del secolo
successivo, anche se quella degli adulti non era da sottovalutare,
soprattutto quella provocata da epidemie come la febbre spagnola, anche
se non avevano niente a che vedere con quelle di peste del XVI secolo
come quella del 1528 che fece strage di popolazione soprattutto a
Cerenzia, ma anche a Caccuri, o le successive del 1581, del 1592, e del 1593.
UN
REGALO DE L'ISOLA AMENA: L'EPIGRAFE PERDUTA DELLA CAPPELLA DE LUCA
Una quarantina d' anni fa ebbi la
fortunata idea di trascrivere le epigrafi all'interno della Chiesa di
Santa Maria delle Grazie, la chiesa forse più sfortunata d'Italia,
distrutta una prima volta dal terremoto del 1659, ricostruita, distrutta
una seconda volta da un incendio il 1 luglio del 1769, ricostruita una
seconda volta, danneggiata dal terremoto dell'8 marzo del 1832 e infine
da un fulmine che fece crollare mezzo campanile e l'altare di San
Francesco d'Assisi il 20 luglio del 1854 e prontamente ricostruita.
Purtroppo le epigrafi non sono più visibili, pare a seguito degli
interventi di manutenzione straordinaria degli anni 90, potete leggerle
e, se volete, provare a tradurle, su L'Isola Amena. Per ora vi
"regalo" quella nella cappella De Luca, poi cappella De
Franco. In essa vi sono chiari riferimenti all'incendio del mese di luglio del
1769 e al ruolo che ebbero il parroco Filippo De Luca e il Vescovo di Cerenzia Francesco Maria Trombini nella
ricostruzione nella prima e nella seconda ricostruzione e quella
che era la precedente situazione prima della seconda. La famiglia De
Luca era una nobile famiglia Caccurese i cui discendenti poi si
trasferirono a San Giovanni in Fiore.
Ho provato inutilmente a tradurle, purtroppo in
latino sono stato sempre una capra. Sarebbe bello se qualche amico che
conosce belle questa bellissima lingua ne facesse la traduzione e ce la
rendesse disponibile. Magari un giorno la si
potrebbe ricollocare nella cappelletta dalla quale è stata
incredibilmente cancellata.
D.O.M
T….
CEVI LONGINQUA VALET MULARE VETUSTAS N…. SACELLUM EX QUATTUOR SACELLIS
ERECTIS OPE …. Rdi. D. PHILIPPI DE LUCA PAR: ET RECTORIS HUIUS SS. CR.
EX A: 1642: ET OB INCENDIUM TOTUS DICTAE ECCLESIAE SUO DIC. Pr. MISIS
JULIO 1769 ET EX QUATTUOR CAPPELLI SANTE S. LUCA ET MICAEL ARCANGELI
ALTERA SE… DATA DD. STEPHANO DE LUCA A. 1363 TERTIO … DE MONTE CARMELO
(EIQUA?) SUB
TITULO … QUE CONSUMPIA REMANSERUNT VERUM … ET NAVAM SACELLUM VIGORE
DECRETI DOMINI FRANC. M. TROMBINI EPISCOPI GERENTHINENSIS IN ACTU S.
VISITATIONE OPERA ………
ANTONI T… ARISE DE
LUCA IN SUA …. FAMILIA.
IL REGNO D'ITALIA A RISCHIO PER UN SOVVERSIVO CACCURESE
Il processo ad Angelo
Serafino Secreto
Angelo Serafino Secreto, di professione mulattiere, era nato a Caccuri
il 3 luglio del 1813 da Paolo Secreto. Nel clima di repressione del
brigantaggio post unitario, ma anche di qualsiasi malcontento e mugugno
contro il nuovo stato unitario, fu imputato di “pubblico discorso col
reo fine di eccitare lo sprezzo ed il malcontento contro il governo”,
reato consumato a Caccuri il 6 settembre del 1865. Questi i fatti. Il
Segreto, soprannominato Panecauro, chiacchierando del più e del meno
nella bottega di Luigi Scigliano di Tommaso, sostenne di aver saputo, a Cotronei, che il re Vittorio si
apprestava a coniare nuove monete di rame e per far ciò avrebbe fatto
requisire e confiscare tutti
gli oggetti di rame che le guardie avessero trovato nelle case della
gente. Forse aggiunse anche qualche considerazione poco rispettosa nei
riguardi del re. La cosa fu denunciata al giudice del mandamento di
Savelli che chiese immediatamente ragguagli al delegato di Pubblica
sicurezza di San Giovani in Fiore. Lo zelante funzionario di polizia gli
rispose con nota del 14 settembre che “il Segreto era uno spargitore
di voci allarmanti contro il Re e il governo del Regno d’Italia
provocando in tal guisa disprezzo e malcontento.”
In data 8 settembre era stata raccolta la
testimonianza di Saverio Lamanna, fabbro ferraio, figlio di Bruno
Lamanna, la guardia urbana che troveremo in altri episodi di repressione
del brigantaggio, il quale dichiarò che nella mattinata del 6
settembre, nella bottega di Luigi Scagliano, il Segreto “teneva
argomenti atti a far nascere nella popolazione sospetti sulle intenzioni
del governo e, fra le altre cose, asseriva di aver saputo in Cotronei
che Vittorio era venuto nella determinazione di fare moneta portando via
ad ogni casa gli oggetti di rame che si sarebbero trovati.” Fu poi la volta dell’interrogatorio
dello Scigliano il quale confermò, sostanzialmente, le parole del
Lamanna.
Il giudice
ascoltò anche Tommaso Secreto (Pintisciolle), futuro giustiziere del
brigante Zirricu il quale sostenne che nelle parole del Segreto non
c’era il fine di eccitare la popolazione contro il governo e che
l’imputato aveva costantemente tenuto una condotta morale e politica
regolare.
L’imputato fu ascoltato dal giudice il 19 settembre
e si discolpò sostenendo di avere riportato una notizia che aveva
sentito da altri e che non aveva alcuna intenzione di eccitare la
popolazione. Così, dopo ulteriori atti istruttori, il giudice lo
assolse e il sottoprefetto di Catanzaro lo rimise in libertà la mattina
del 13 ottobre 1865. [1]
Morì a Caccuri il 14 aprile del 1879.[2]
[1]
Archivio di Stato di
Catanzaro – Processi penali – Fascicolo 652
[2] Comune di Caccuri – registro degli atti di morte
del 1879, n. 19
ACCADDE
DOMANI: I RESTI DELLA BANDA DI PIETRO MONACO VENGONO CATTURATI A CACCURI
Il 10 febbraio del 1864, in località Serra del bosco di Calasinuovo
nell'agro di Caccuri, cattura i resti della banda del brigante Pietro
Monaco capeggiati dalla moglie Ciccilla che si erano rifugiati in due
piccole grotte della zona dopo una lunga fuga a seguito dell'uccisione
del capo banda la notte del 24 dicembre del 1863.
La
latitanza dei resti della banda durò fino al 9 febbraio del 1864.
Fuggiti dalla valle del Jumicellu, il luogo dell’assassinio del capo,
la banda si diresse verso sud est fino a raggiungere il territorio di
Caccuri. Intanto al gruppo, che aveva trovato rifugio in due piccole
grotte nel bosco di Casalinuovo in località Serra del bosco del comune
di Caccuri, si erano aggregati anche i briganti Pasquale
Gagliardi e Ludovico Russo detto Portella.
Mi sono chiesto più volte come abbia fatto la banda a
scovare queste grotte e questa località che si trova a molti chilometri
di distanza dai luoghi solitamente frequentati dalla comitiva e comunque
teatro di scorribande di altri briganti. Evidentemente ci furono delle
complicità. Comunque anche la cattura di Ciccilla e dei
resti della banda Monaco fu, ancora una volta, il prodotto di un
tradimento.
Questa volta a vendere ai piemontesi Ciccilla e i suoi
fu il brigante Giuseppe Iaquinta, forso lo stesso che aveva insegnato
loro il nascondiglio. Iaquinta avvisò il comandante del 37° Reggimento
Fanteria della Brigata Abbruzzi di stanza a Petilia Policastro della
presenza dei briganti a Casalinuovo. A questo punto scattò
la trappola che impegnò molti uomini al comando del sottotenente
Ferraris e del capitano Baglioni i quali circondarono le grotte
tagliando ogni via di fuga alla banda intrappolata in quei piccoli
pertugi.
Vistisi persi i briganti ebbero una reazione furibonda che
costò la vita ai bersaglieri Giovanni Spagnolini di Fara Novarese e
Francesco Agnolini di Cittaducale e al guardiano di Barracco Michele
Corvino da Lappano[5],
conoscente di uno dei banditi. Questi a loro volta persero subito il
fratello di Pietro Monaco, Antonio che, gravemente ferito, spirò dubito
dopo e la cui testa, trapassata dalla pallottola mortale, fu
poi recisa e portata a Cotronei per essere esibita al giudice e Pietro
Gagliardi.
Nonostante le perdite, Ciccilla e i due superstiti
resistettero ancora per una notte, poi al mattino si arresero, furono
arrestati, condotti Cotronei e quindi a Catanzaro per il
processo. La brigantessa fu condannata a morte, pena poi commutata in
carcere a vita pare su richiesta del generale Sirtori e che
scontò nel carcere fortezza di Fenestrelle. Purtroppo le
grotte, sul versante sud di Serra del Bosco, nei pressi di un’antica
chiesuola a ridosso dell’abitato di Santa Rania e in faccia a
Cotronei, crollarono a seguito dell’alluvione del 1972 e la
zona è attualmente ricoperta da una intricata vegetazione che ne
impedisce l’accesso.
ACCADDE
OGGI: NASCE VINCENZO FAZIO IL FOTOGRAFO DELLA NOSTRA STORIA
Il 6 febbraio del 1866 nasce Vincenzo Fazio, artigiano poliedrico e
fotografo testimone di fatti e personaggi della storia caccurese del
primo Novecento.
Falegname ed idraulico e
fontaniere del Comune di Caccuri, fu uno dei più esperti ed
appassionati fotografi del circondario, un “professionista” umile e
modesto che seppe lasciare ai posteri pregevolissime testimonianze di
vita della piccola comunità nella quale visse ed operò.
Fin da giovane imparò a guadagnarsi da
vivere sfruttando le sue abilità e capacità. Come già detto, lavorò
da falegname, da idraulico ed, infine, ottenne dal comune l’incarico
di gestire la rete idrica del paese che era stata realizzata
all’inizio del secolo scorso su progetto dell’ingegnere Stanislao
Martucci. Quest’uomo intelligente ed abile aveva, per nostra fortuna,
anche la passione per la fotografia, un’arte ancora relativamente
“giovane” che, comunque, si andava diffondendo anche nei più
sperduti paesi della Calabria grazie a pochi isolati “pionieri”. E
così, a prezzo di sacrifici notevoli, Fazio comprò un apparecchio
fotografico che utilizzava lastre di vetro al bromuro d’argento
prodotte dalla famosa ditta Ferrania, un ingranditore e l’attrezzatura
per sviluppare in proprio le lastre e, utilizzando per lo sviluppo come
fonte di luce esclusivamente il sole, immortalò, per alcuni decenni,
centinaia e centinaia di soggetti: singoli personaggi, gruppi,
manifestazioni pubbliche, operai, contadini, massaie dediti
al loro lavoro quotidiano, paesaggi e scorci dei dintorni caccuresi.
Produsse e vendette, nella bottega di alimentari e coloniali gestita
dalla moglie, la famosa za Rosina, anche due pregevoli cartoline
del castello di Barracco e del rione Croci, la zona di “espansione”
del paese sorta negli anni ’20.
Nel 1988 parte della produzione del
fotografo caccurese fu raccolta, per iniziativa del Comune, in un volume
dal titolo “Caccuri e la sua gente” edito dall’ editore Saverio
Basile di San Giovanni in Fiore e curata dal fotografo Mario Iaquinta. Si
può dire che non v’è una sola casa di Caccuri in cui non vengano
conservate almeno cinque o sei istantanee dell’artigiano caccurese.
Le foto di Fazio consentono di
ricostruire fedelmente un pezzo importante della storia, delle
tradizioni e del costume caccurese. Particolarmente interessanti sono
quelle scattate in occasione della visita ufficiale del vescovo di
Cariati nel 1936, della missione dei Padri Passionisti nel 1935, della
proclamazione dell’Impero “sui colli fatali di Roma.” E poi,
ancora, quelle che ritraggono le maestre, i dirigenti e gli alunni
dell’asilo infantile “G. Cena”, le ragazze della scuola
per ricamatrici gestita, negli anni ’20, dalle suore, la
banda musicale Cimino nel 1920 e quella del maestro Di Rosa negli anni
’40, documenti preziosi per la storia caccurese prodotti dal bravo
artigiano appassionato di lastre ed obiettivi che si spense il 30
settembre del 1944.
ACCADDE
OGGI: MUORE A TRIESTE ANTONIO RIZZO, GENERALE CACCURESE, IL SOLDATO PIU'
DECORATO DELL'ESERCITO ITALIANO
Il
2 febbraio del 1951 muore a Trieste, all’età di 66 anni, il generale
di divisione caccurese Antonio Rizzo, già comandante della
Brigata Sassari. Rizzo nacque a Caccuri nel 1885, in una
casa di via Portapiccola da Antonietta Cistaro, maestra elementare e da
Salvatore Rizzo originario di Crotone. Compiuti in Calabria gli studi
superiori, si iscrisse all'università L'Orientale di Napoli dove si
laureò in lingue orientali con ottimi voti. Intanto aveva anche
intrapreso la carriera militare.
Nel settembre del 1907 è aggregato al 38° Reggimento
fanteria col grado di sottotenente, e nell'ottobre del 1912, al rientro
da Rodi (Isole Egeo) dov'era stato mandato in missione, è già capitano
nel 12 Reggimento Fanteria. Partecipa alla guerra di Libia e i 15
gennaio del 1917 viene destinato al comando della 6^ Armata. Nove mesi
dopo lo troviamo col grado di maggiore assegnato al deposito Fanteria
Ozieri.
Allo scoppio della prima guerra mondiale la sua già
brillante carriera ha un'accelerazione divenendo addirittura folgorante.
Rizzo è alla testa dei suoi uomini nella battaglia della Trincea delle
Frasche, nel Carso isontino, nella Decima battaglia dell'Isonzo, in
quella di Caporetto e nella Prima battaglia del Piave. Il 30
ottobre del 1917 compì un'impresa che ricorda la leggenda di Orazio
Coclite. A Codroipo, con pochi uomini, riesce a tenere in scacco un
reggimento tedesco consentendo al resto dell'esercito italiano di
ritirarsi indenne oltre il Tagliamento. Le cronache del tempo raccontano
che per molte ore sparò all' impazzata contro il nemico saltando di
casa in casa e rincuorando i suoi uomini. Rimasto con pochi compagni fu
ferito a un piede e catturato dal nemico, ma, mentre veniva avviato a un
campo di prigionia, riuscì a fuggire, attraversò a nuoto il fiume e
raggiunse il resto dell'esercito ormai al sicuro. L'azione gli fruttò
la prima delle due medaglie d'argento; la seconda la guadagnò vincendo
la prima battaglia italiana dopo la ritirata, episodio che ridiede
fiducia a tutto l'esercitò italiano demoralizzato dopo la ritirata di
Caporetto. Fu quindi spedito sul fronte francese dove ebbe modo di
guadagnarsi due onorificenze, quella di Ufficiale della Legion d'Onore
francese e una Citation a l'Ordre de L'Armèe.
Nel luglio del 1935 viene promosso colonnello comandante
del 151° Fanteria e il 12 novembre del 1936 parte da Napoli alla
volta di Massaua in Eritrea e, l'anno dopo cattura Ras Destà, genero
del Negus, l'ultimo ras ribelle ponendo fine alla resistenza etiope
contro l'aggressione italiana. Il 12 ottobre del 1940 è promosso
generale di brigata. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, in
Africa orientale fu fatto prigioniero dagli inglesi che gli resero
l'onore delle armi., ma nel 1943 riottenne la libertà, tornò in Italia
ammalato e, dopo un breve incarico al Ministero della guerra, il 6
agosto dello stesso anno fu collocato nella riserva col grado di
generale di divisione. Si ritirò quindi a Trieste dove si spense otto
anni dopo.
Antonio Rizzo è il soldato più decorato dell'esercito
italiano con ben 27 decorazioni tra le quali 2 medaglie d'argento, 10
medaglie di bronzo, 4 croci di guerra, Ufficiale dell'Ordine militare di
Savoia, e le già citate onorificenze francesi, oltre a citazioni di
merito e altri riconoscimenti. I suoi meriti e la sua cultura emersero
non solo in battaglia, ma anche negli incarichi diplomatici, soprattutto
nelle trattative di pace con i ribelli etiopi, e di giudice del
tribunale militare.
ACCADDE
OGGI: MUORE A SAVELLI PIETRO DE MARE, "IL LEONARDO" CACCURESE
Il 31 gennaio del 1979 si spense a Savelli Pietro De Mare, caccurese,
artigiano poliedrico, grande invalido di guerra dirigente della
locale Sezione dei combattenti. Nacque a Caccuri da Saulle De
Mare, un valente stagnino di Cropani e dalla caccurese Letizia Marino
nell'abitazione del nonno paterno Francesco, nel rione Vincolato, oggi
vico II Buonasera. Giovanissimo fu chiamato alle armi e combattè nella
Grande guerra. A causa del congelamento degli arti inferiori rimase
invalido per tutta la vita, ma questo non gli impedì di mettere a
frutto il suo grande ingegno e la sua versatilità in tutte le arti. Era
infatti un bravissimo stagnino come il padre, ma conosceva anche l'arte
di fondere i metalli, era un eccellente meccanico, idraulico, sapeva
scopire il marmo e si intendeva perfino di cartomanzia. E' sua la lapide ai caduti della prima
guerra
mondiale collocata sulla facciata del palazzo De Franco in via
Buonasera. Assieme al cugino Francesco Marino (zio dell'autore di
queste note) aprì il primo "cinema" caccurese che funzionava
con un ingegnoso proiettore da lui stesso costruito e che utilizzava una
potente lampada ad acetilene. Costruì, sempre ad acetilene,
l’impianto di illuminazione di alcune zone del paese. Altra sua
importante opera era la teleferica
che collegava la Serra Grande alla “Pagliera di Barracco, l'ex chiesa
sconsacrata di San Marco”, attuale villa San Marco, per il
trasporto della pietra calcarea estratta sulla collina a nord del paese
e che, portata ad elevate temperature
nelle calcare del luogo, forniva la calce utilizzata per costruire le prime
case del nascente rione Croci. Dopo il matrimonio si trasferì a
Savelli, paese di residenza della moglie ove visse per alcuni decenni.
ACCADDE
OGGI: IL COMUNE SI DOTA DEL TELEGRAFO
Il 30 gennaio del 1877 il Comune di Caccuri, con una delibera del
Consiglio comunale, chiese l’installazione di un impianto telegrafico
per collegare il paese alla
linea Petilia Policastro – San Giovanni in Fiore per rompere
l'isolamento e fruire di un moderno sistema di comunicazione con gli
altri centri abitati della provincia e del resto d'Italia.
L’impianto entrò in funzione nel mese di ottobre dello stesso anno.
L’ufficiale telegrafico percepiva uno stipendio annuo di 500 lire. Il
sindaco di quegli anni era il barone Guglielmo Barracco che fece
costruire anche la fontana pubblica di Canalaci, l'acquedotto rurale di
Eido (Canalette) e il bastione e la torre cilindrica merlata annessa
all'antico palazzo dei Cavalcante, progettata e realizzata
dall'architetto napoletano Adolfo Mastrigli
.
RESISTENZA
DUOSICILIANA
Il 28 gennaio del 1861 la Guardia Nazionale di San Giovanni in Fiore, al
comando di Salvatore Barberio, insieme al luogotenente dei
carabinieri Leopoldo Bianchi e al tenente Antonio Ripoli, arrestano
Domenico Scarcella che si sta recando ad una riunione cospirativa a
Acquafredda tenuta da un noto partigiano delle due Sicilie l’attivissimo
frate padre Clemente da Sersale. I carabinieri e la Guardia nazionale
accorrono ad Acquafredda, ma non trovano nessuno. Al ritorno, a
Gimmella, intercettano
tre individui. Due vengono catturati, mentre il terzo riesce a
dileguarsi nella boscaglia mentre infuria una tormenta di neve. L’
uomo che sfugge alla cattura è proprio padre Clemente da Sersale.
Due giorni dopo una
banda di partigiani borbonici che evidentemente aveva pianificato
l'azione proprio nella riunione di Acquafredda, penetra nel territorio
caccurese. Il comandante della Guardia Nazionale e i carabinieri
organizzano una battuta nelle campagne di
Vattinderi, Arghili e Lauro teatro delle operazioni dei resistenti, ma
di loro nessuna traccia.
LE INFUOCATE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL 1919
Nel 1919 Caccuri fu amministrata da due commissari prefettizi che
sostituirono, per un certo periodo, il sindaco dell’epoca Domenico
Ambrosio. Il primo, il dottor Nicola Leone, si schierò apertamente per
il partito degli agrari, ex liberali, la maggioranza dei quali
costituiva il primo embrione caccurese del futuro partito fascista, il
secondo. Vincenzo Costantino Barberio, originario di San Giovanni in
Fiore, militò nel Partito Popolare e fu eletto consigliere comunale del
nostro paese nelle elezioni amministrative del 10 ottobre del 1920.
Il dottore Leone rimase in carica da gennaio 1920 fino ad
agosto quando gli subentrò appunto il Barberio che gestì le elezioni
nelle quali era candidato, senza riuscire a condizionarle riuscendo solo
a ottenere un seggio di minoranza. Vinse, in fatti, la lista degli
agrari capeggiata da Raffaele Ambrosio, figlio del sindaco che era stato
costretto alle dimissioni che gli subentrerà nella carica.
A dare una mano ai popolari di don Pitaro, Peppino
Gigliotti, Francesco Militerno, coantoniere statale, scese da
Rovigo il dottor Francesco Lucente, ma neanche il suo contributo riuscì
a sovvertire il risultato di una competizione che i popolari,
scioccamente, regalarono agli avversari.
Le elezioni erano state precedute da duri scontri
sfociati in furibonde risse che l'anno prima provocarono le
dimissioni del segretario comunale dott. Vincenzo Ambrosio al quale
subentrò il dott. Vincenzo De Franco e i popolari avevano chiesto e
ottenuto le dimissioni del sindaco Domenico Ambrosio e la nomina dei due
commissari. Poi, probabilmente gli animi si erano un po' calmati tanto
che i rappresentanti dei due
schieramenti, prima del voto, in barba alla legge elettorale, si misero
d’accordo per consentire agli elettori di votare fuori dalla cabina.
La decisione fu fatale per i militanti sturziani. I popolari si fidavano
dei loro elettori che dalla lotta del partito e dell’associazione dei
combattenti avevano ottenuto numerosi benefici, ma non avevano messo in
conto la paura e la soggezione che provavano per gli agrari che li
tenevano schiavi da sempre. Distribuite le schede, uno dei
maggiorenti degli agrari, cominciò a urlare ad alta voce che chi votava
in cabina era considerato un traditore e infatti i popolari votarono per
gli agrari sotto gli occhi sbigottiti dei loro capi partito. A nulla
valse un veemente esposto che mastro Peppino Gigliotti presentò al
segretario comunale per invalidare il risultato che non cambiò. Passò
poco e le elezioni furono abolite del tutto e al sindaco Raffaele
Ambrosio subentrò il podestà Raffaele Ambrosio.
IL DURO INVERNO 1919 - 1920
L’inverno del 1919 –1920 fu per i Caccuresi uno dei più difficili e
drammatici. Le famiglie dei reduci, infatti, private del sussidio di
guerra col quale erano riuscite per quattro anni a barcamenarsi e
a sopperire alla mancanza delle braccia del congiunto al fronte,
vivevano nella più assoluta indigenza ed erano prive di indumenti
idonei, cibo, legna da ardere. Anche le provviste scarseggiavano, sia
perchè le terre dei piccoli contadini erano abbandonate per la
scarsezza di manodopera, essendo tutti gli uomini validi e forti al
fronte, sia perché la quasi totalità dei terreni agricoli era nelle
mani dei Barracco e di altri grandi proprietari che li lasciavano
incolti per utilizzarli come pascoli. Per
questi motivi la Sezione dei combattenti organizzò una raccolta di
viveri da destinare alla popolazione affamata facendo appello alla
generosità degli agrari che, inaspettatamente, si mostrarono assai
solidali e munifici. Qualche mese dopo i reduci, associati all'Opera
Nazionale Combattenti, iniziarono una dura battaglia che si concluse con
una parziale conquista delle terre del latifondo.
ACCADDE OGGI: PAPA ONORIO III DONA DUE MONASTERI BASILIANI AI FLORENSI
Il 22 gennaio del 1217 papa Onorio III° donò i monasteri basiliani di
Santa Maria di Càbria e dell’abate Marco, entrambi fondati dai
basiliani, all’ordine dei Florensi. Dopo la vasta donazione di Enrico
VI che comprendeva anche tutte le terre del Monastero dei Tre Fanciulli
(Patia) e quella del Bordò a favore del "Calavrese abate Gioacchino di
spirito imprenditoriale dotato", un papa completa l'opera di
cancellazione del rito greco e la sua sostituzione con quello latino, ma
soprattutto l'espansione dei possedimenti florensi a scapito
dell'Università di Caccuri i cui confini vengono portati quasi fin
sotto le mura della cittadina. Perfino gli antichi toponimi verranno
stravolti come, ad esempio il Virdò che diventa il Vuldoji.
TIMBRI E STEMMA CACCURESI
Quelli che vedete in questo
collage di foto sono alcuni timbri e stemmi caccuresi del Regno di
Napoli e di quello delle due Sicilie. Il primo in alto a destra,
risalente al 1813 durante, regnante Gioacchino Murat, è il timbro del
tabellionato del notaio Francesco Antonio Ambrosio che aveva lo studio
notarale nel palazzo Ambrosio di via Salita Castello, attuale proprietà
degli eredi Macrì e Pirito, mentre quello in basso è quello del Comune
di Caccuri durate il regno di Ferdinando II di Borbone. Lo stemma,
infine, collocato successivamente sulla parete della fontana
pubblica di Canalaci fatta costruire dal sindaco, il barone Guglielmo
Barracco nel 1884, risale al 1734 durante il regno di Carlo III di
Borbone, padre di Ferdinando IV, dal quale ebbe origine la dinastia che
regno su Napoli e sulla Sicilia fino al 1860, prima dell'arrivo di
Garibaldi e dei Savoia.
ACCADDE
DOMANI: SI AUTORIZZA LA COSTRUZIONE DELLA CHIESA DEL ROSARIO
L' 8 gennaio del 1690 il Padre Provinciale dei Predicatori, aderendo
alla richiesta dei confratelli del S.S. Rosario di Caccuri, Francesco
Saverio Bonaccio, priore della Congregazione Orazio Antonio Novello,
assistente priore, Filippo Mele, infermiere, Francesco Mele
e Santino Falbo, concesse
l’autorizzazione ad erigere
la chiesetta della Congregazione del SS. Rosario in una stanza del
convento dei domenicani fondato un secolo prima da padre Andrea da
Gimignano, con questo
provvedimento: "Concedimus quod in nobis est experitur servatis
servandis et committemu Fra Priori ut de Consilio P.P. (illegibile) pro
ut congriensis estimabinet ut esentiori mandetur ut sg. dicta .
Concessio Caccuri die 8 januarii 1690."
Qualche decennio dopo il nuovo priore, don Antonio
Cavalcante, cavaliere di Malta e fratello del duca Rosalbo, arricchì la
chiesetta con altari, scanni corali, statue e dipinti come apprendiamo
da quest'epigrafe: "D.O.M.
- Ac deiparae semper Virgini de Rosario quid quid hic permagnifice vides
extructum totum industra et sedula pietate excellentissimi D.ni Prioris
E. D. Antonii Cavalcanti inter frates milites hierosolimitani recepti et
labora. Tum evit A.D.
1751".
Infine
il 21 luglio del 1824 papa Leone XII concesse l'indulgenza plenaria a
coloro i quali visita la chiesetta in una domenica qualsiasi e in
occasione della festa del SS. Rosario:
Decretum
Ad
humillimas preces pia Archiconfraternitas sub titula B.M.V. de Rosario
in quaedam Ecclesia loci Caccuri nuncupavit, Diocesis Cariatem, Canonice
erecta, vel canoinice erigens Il.mus D.nus Nr. Leo P.P. XII anneus ut
omnes et singula Missa qua omnibus vis eiusdem triconfraternitatis
confratribus ed cosnoribus defuntis Deotamen richavitate congiuntis die
qodlibet Altare dicta Ecclesia celebrabuntur, eodem gaudeant privilegio,
nisi ne altari privilegiato clebrata fuerint clementer indulsit, non
obstantibus in contrarium facientibus quibuscumque Praesentim perpeuum
volituro absque Bravis expedite.
Datum
Roma in Sec.ria S. Congregationis Indulgentium die 19 Iulii 184 . P.s.
Card Nava L. Sirey
l.mus D.nus
Nr. Leo P.P. XII omnibus utriusque (illeggibile) delibus, vere
paenitentibus, confessis, saervaque comunione refertis supraenunciata
Ecclesiam diebus utui fra devota vigilantibus, inique per aliquod
temporis spatium giustamentem Samtitatis Sua pie oranti bus nunaviam
indulgentiam, tam i praencipio D.N. I.C. Solemnitatibus Nativitatis
semper nuncpr Circuncisionis Epiphaniae, Dominica Pasqualis,
Resurretionis, Ascentionis et (illeggibile) Xpte scecenonsia B.M.V.
Conceptionis, Nativitatis, Annunciation is, Parificationis festis
incipientur.
Leone
XII
L'ARTIGIANATO DEL SETTECENTO CACCURESE
Nel secolo XVIII° l’artigianato caccurese era particolarmente
fiorente. Oltre ai Trocino dei Marsi, la famosa famiglia di intagliatori
il cui membro più illustre, Battista realizzò il pulpito e gli scanni
corali della chiesa di Santa Maria delle Grazie, nel paesino c’era un
gran numero di sarti, calzolai, falegnami, maniscalchi; c’era anche un
mastro pittore, tale Costantino Asturi originario di Catanzaro, un
mastro fonditore di campane, forse discendente di quell'Angelo
Rinaldi che nel 1578 fuse in loco la campana della chiesa matrice, il
mugnaio Astorino, un barilaro e numerosi cestai. Molto bravi anche i
fabbri che realizzavano le loro opere in ferro battuto che si
tramandavano la loro arte di padre in figlio. Uno degli ultimi, anzi
probabilmente l'ultimo, fu mastro Peppino Gigliotti che visse a cavallo
tra l'Ottocento e il Novecento.
ACCADDE OGGI MUORE IL DOTT. FRANCESCO MACRI'
Il 12 dicembre del
1973, nelle prime ore del mattino moriva all'impovviso il dott.
Francesco Macrì, "l
"medico del sorriso" come venne ribattezzato dai
caccuresi.
Don
Ciccio, come lo chiamavano tutti, non era solo un grande medico, ma era
anche un uomo di cultura, un umanista che coltivava le buone letture e
che, fino al giorno della morte, curava la propria formazione culturale
con lo stesso zelo con il quale curava i suoi pazienti. Nei
primi giorni di dicembre, nonostante avesse avuto diversi segnali che
lasciavano presagire un imminente attacco di cuore, rifiutò di
farsi ricoverare in ospedale e continuò a fare la spola tra i suoi
pazienti. Era il periodo della crisi petrolifera, delle domeniche a
piedi e la Bianchina di don Ciccio era la sola macchina in circolazione
nelle strade del paese, tra tricicli, e automobiline di bambini che
approfittavano del blocco della circolazione per giocare liberamente in
strada. “Il medico del sorriso” si fermava spesso ad osservare,
divertito, ridendo fino alle lacrime, quei bambini, quei “diavoletti
di Cartesio”, come affettuosamente li definiva, che
giocavano in strada e sulla cui salute vigilava. L’andirivieni della
piccola utilitaria si interruppe tragicamente in una fredda mattina di
dicembre, quando un maledetto infarto spense quel sorriso, ma il ricordo
di quell’uomo dolce, buono e schivo è rimasto indelebile fra i suoi
assistiti.
ACCADDE
DOMANI: MUORE IL SACERDOTE DON ANGELO DE FRANCO
Il 14 dicembre del1847 muore all’età di 51 anni il sacerdote
Don Angelo De Franco, caccurese, figlio di don Antonio e di donna Agata
Florio e fratello maggiore di mons. Raffaele, arcivescovo di Catanzaro.
I De Franco erano una delle più antiche e più illustri famiglie
caccuresi, proprietari di vaste tenute, armenti e dell'omonimo palazzo
di via Buonasera nel quale nacquero sia don Angelo che l'arcivescovo.
Altri rampolli illustri della famiglia furono, tra gli altri, don Marco
al quale il 31 dicembre del
1903 il Consiglio comunale dell'epoca, su proposta del sindaco Francesco
Maida, decise di affidare l'incarico di "insegnare a leggere e a
scrivere a quei cittadini che ne avessero possibilità e voglia" e
che ricoprì per molti anni anche la carica di giudice conciliatore, il
dott. Vincenzo Maria Raffaele Eugenio (il padre del dott.
Francesco, detto don Ciccio) medico chirurgo, farmacista e
segretario comunale, i fratelli di quest'ultimo, l' avv. Lugi e il
perito agrario Francesco, detto don Ciccio, il dott. Gaetano, farmacista
e maestro elementare e i loro discendenti.
ACCADDE
DOMANI: NASCE MARIA FRANCESCA ANTONIA DEMME
Il 2 dicembre del 1902 nacque a Caccuri Maria Francesca Demme, la
seconda ultracentenaria caccurese che si spense a San Giovanni in Fiore
il 24 febbraio del 2005 alla venerabile età di 102 anni. Prima di lei
c'è solo Maria Rosaria Perri che sfiorò i 104 anni. La famiglia Demme,
purtroppo, è una delle tante famiglie caccuresi ormai estinta e della
quale si sente tanta nostagia. Una curiosità: quattro donne
caccuresi delle cinque che hanno raggiunto e superato il secolo di
vita hanno tutte come primo nome Maria e sono, oltre le due già citate,
Maria Loria e Maria Antonia Falbo.
'A 'MPANATA
"San Nicola: ogni vallune sona e ogni màntra fa la prova".
In molti altri paesi della Calabria il detto cambia e "la
prova" diventa la provola. Da fanciullo sentivo spesso nonno Saverio ripeter
questo proverbio. Un giorno, spinto dalla curiosità, gli chiesi che
significassero quelle parole strane ed egli me lo spiegò. La festa di
San Nicola si celebra il 6 dicembre, al culmine di quello che un tempo
era il periodo più piovoso dell'anno essendo le piogge intense
concentrate tra la metà di novembre e la metà di dicembre. Per questo
motivo i ruscelli, che in settembre erano in secca, a San Nicola
tornavano a scorrere impetuosi nei letti sassosi facendo sentire il loro
"suono" assordante. In questo periodo pare che i pastori
cominciassero a mungere pecore e capre figliate da poco e a
"fare la prova", cioè a produrre il primo formaggio e le
prime ricotte egli altri prodotti caseari tra i quali, probabilmente
anche la provola.
A me, però piace
ricordare la 'mpanata", la squisita zuppa di siero, pane casereccio
e ricotta che si consumava calda presso l'ovile del pastore e che ho
mangiato qualche volta in primavera o all'inizio dell'estate. Per
gustare questo piatto sano e proteico che poi era la colazione del
mattino del pastore consumata prima di " mmiare", cioè di
avviare le greggi al pascolo, di solito si fissava un appuntamento,
quindi ci si presentava all'ovile portandosi dietro un pane casereccio
leggermente raffermo avvolto in un tovagliolo di lino. Allora si
aspettava pazientemente che il pastore togliesse dal "caccavu"
prima il formaggio, poi la ricotta. A questo punto si sbriciolava in una
coppa di legno di ontano che ci forniva il pastore stesso il pane e vi
si versava sopra il siero per lasciarlo ammorbidire. Dopo un po' si
gettava via il siero in eccesso e si distribuiva sul pane inzuppato una
ricotta ancora calda rimestando delicatamente con un cucchiaio di legno.
Quindi ci si sedeva in un cantuccio e ci si beava di quel cibo
delizioso. Secondo il proverbio la 'mpanata si cominciava a
mangiare nei primi giorni di dicembre, ma secondo me il periodo migliore
è quello compreso tra la seconda quindicina di aprile e la prima metà
di maggio. Una delle ultime 'mpanate l'ho mangiata presso l'ovile
del mio amico Giovanni Gallo, molti anni fa. Ancora ne sento il
sapore.
POPOLARI E AGRARI CACCURESI IN LOTTA
Nel maggio del 1923,
l’allora sindaco del paese vietò, con un’ordinanza inviata al
parroco che era un simpatizzante della Sezione dei combattenti, l’uso
della campana per chiamare a raccolta i soci ex combattenti.
La Sezione dei combattenti era stata fondata il
lunedì di Pasqua del 1919 in un locale del convento di proprietà di
donna Luisa Lucente, cattolica militante del Partito Popolare di don Luigi
Sturzo. I reduci combattenti della Grande guerra, quasi tutti popolari e
socialisti, elessero presidente il muratore Enrico Pasculli, segretario
il fabbro Peppino Gigliotti e dirigente il grande invalido Pietro De
Mare, un artigiano poliedrico che scolpì la lapide ai caduti di via
Buonasera, realizzò una teleferica che collegava la Serra Grande alla
vecchia chiesa di San Marco (Pagliera) e aprì il primo cinema caccurese
in via Misericordia. Il De Mare, figlio di Saulle e di Letizia Marino,
si trasferì oi a Savelli.
La Lega caccurese, attraverso una serie
di battaglie, utilizzando i decreti Visocchi e con l'aiuto dell'Opera
Nazionale Combattenti, riuscì a ottenere la
concessione di alcune terre espropriate agli agrari che erano
state promesse ai reduci durante lo spaventoso conflitto nelle
località Pantane, Lamari, Furnia, Corvi, Cucco e Rittusa.
Ciò, ovviamente, scatenò la
reazione impotente degli agrari al cui partito apparteneva il sindaco
che si rese protagonista dell'episodio degno della penna di Giovannino
Guareschi che
vide contrapposti il sindaco, cavalier Raffaele Ambrosio e il parroco
Don Peppino Pitaro, l'amico fraterno di don Sturzo e di Giovanni
Gronchi.
Gendarmeria caccurese
La caserma della Guardia Nazionale mobilizzata di Caccuri, istituita con
la legge del 4 agosto 1861, era situata nei pressi della Porta Grande
(attuale piazza). Lo si desume dall’atto di morte di un tale Bruno Lamanna,
di anni 63, il cui decesso avvenne proprio all’interno del posto di
guardia. La Giardia nazionale fu istituita dopo la conquista piemontese
del Sud; in precedenza il compito di mantenere l'ordine pubblico nei
piccoli paesi era affidato alla Guardia urbana, un corpo di polizia
formato d volontari assoldati e finanziati dagli agrari, ma riconosciuto
dal governo borbonico. Gli urbani erano contemporaneamente anche
artigiani, commercianti o possidenti, quest'ultimi in posizione di
comando.
Bruno Lamanna, originario di Serra San Bruno, si stabilì a
Caccuri, assieme al fratello Saverio, zio materno di don Peppino Pitaro,
dove esercitava il mestiere di fabbro ferraio e, contemporaneamente,
ricopriva il ruolo di capo sezione degli urbani. Tra le sue imprese si
ricardano il contributo alla cattura del brigante Lungi Angotti, Il 28
aprile del 1847 in località Ombraleone e quella del brigante Filippo
pellegrino e dei resti della sua banda in località Laconi il 20 luglio
del 1848.
L'ANTICA FIACCOLATA DEL ROSARIO
Nei
primi decenni del Novecento a Caccuri si organizzava una fiaccolata e,
in onore della Madonna del Rosario che si ripeteva, ogni anno, nella
prima domenica di ottobre sullo stesso itinerario, con partenza dal
“Portiulo dei venti” (Serra Grande) e arrivo nella chiesa di Santa
Maria delle Grazie dove si celebrava la messa. Le fiaccole erano preparate con infiorescenze verbasco
(varbascu) imbevute di olio già usato per friggere. Animatrice della
manifestazione era la signora Teresa Loria in Sperlì. A quel tempo la Congregazione del SS. Rosario era la sola ancora attiva
in paese, mentre la Confraternita del SS. Corpo di Gesù Cristo, detta
anche del Santissimo Sacramento della chiesa Matrice di Caccuri
che il 13 gennaio del 1615 aveva ottenuto da papa Paolo V l’indulgenza
nelle feste del SS. Corpo di Cristo, della Natività,
dell’Annunciazione e dell’Assunzione. (F. Russo – Regesto 27494)
era stata sciolta già nel Settecento, così come le altre minori.
Uno dei più longevi priori della
Congregazione del SS. Rosario fu il mio bisnonno materno Ercole
Scigliano, cantoniere statale e maestro di scuola deceduto nel 1942 al
quale subentro prima Francesco Sgro, poi Giuseppe Di Rosa.
CENNI SULLA SFORTUNATA FAMIGLIA DARDANI
Come il
gobbo Quasimodo che nel romanzo di Victor Hugo “Notre Dame de Paris”
abitava nella famosa cattedrale parigina, anche nel convento dei
Dominicani di Caccuri dimorò, per alcuni anni, fino alla metà degli
anni ’50 del XX° secolo, un povero muto, Domenico Dardani. Il
vecchio, assieme alla moglie, la pia e devota “za Maria Rosa” Urso
abitava nel campanile. I due custodivano, con zelo e devozione, la
chiesa all’epoca ancora aperta al culto. In particolare Za Maria Rosa,
donna vecchietta umile, di una bontà infinita, mite e paziente con noi
ragazzini che le facevamo qualche dispettuccio e che ricordo sempre con
affetto e nostalgia, provvedeva alla pulizia della chiesa e a tenere
accessa sempre qualche candela all'alltare maggiore e a quello di San
Domenico.
Domenico Dardani e Maria Rosa Urso erano i genitori di tre
sfortunati giovani caccuresi, tre eroi, morti prematuramente per una
patria a vlete ingrata.
Giovanni, classe 1918, carabiniere, medaglia
d’argento al valor militare morì nel maggio del 1946 a Palermo
per le ferite riportate in un conflitto a fuoco con la banda del
famigerato bandito Salvatore Giuliano, l’autore, fra le altre cose della strage di
Portella della Ginestra.
Vincenzo, il primogenito, trovò invece la morte,
assieme a centinaia di altri soldati italiani e a un altro giovane
caccurese, Antonio Raimondo, nell’oceano Atlantico, nei pressi
dell'isola di Ascensione chiusi nella stiva del
piroscafo inglese Laconia carico di prigionieri che venivano trasportati
dal’Egitto in America e affondato da un sommergibile tedesco.
Di
Fedele, ultimo dei tre, si sa solo che morì in Albania per cause di
guerra, ma nemmeno la Commissione interministeriali che si occupò dei
morti in guerra fu in grado di chiarire il luogo, la data e le cause
precise della morte.
FARMACIE CACCURESI
Nel
secolo scorso, per quasi due decenni, fino ai primi anni ’60 dello
scorso secolo, titolare dell’unica farmacia caccurese fu il dott.
Gaetano De Franco, farmacista e insegnante elementare nella scuola dello
stesso paese insieme alla sorella Anita. La farmacia De Franco era
ubicata nell’omonimo palazzo di Largo Vincenzo Ambrosio. In precedenza
la farmacia di Caccuri era gestita dal dottor Raffaele Piterà, un
professionista cutrese che si era trasferito nel nostro paese. La
farmacia Piterà era ubicata in via Simonetta (casa Durante) e prima
ancora al dottor Vincenzo De Franco, parente di Gaetano, eccellente
medico chirurgo e farmacista. Per qualche anno, nei primi decenni del
Novecento, la vendita dei farmaci fu gestita anche dai farmacisti
Lucente, discendenti di don Carmine Lucente.
Quando il dottor Gaetano De Franco si trasferì da
Caccuri gli subentrò il dott. Emilio Sperlì, titolare dell’omonima
farmacia ancora presente nel nostro paese.
Il dott. Piterà era molto stimato e contava numerosi
amici in paese tra i quali il dott. Sperlì che, probabilmente, volle
seguire le orme del suo anziano collega. Tra gli altri amici farmacista
cutrese figuravano mio nonno Peppino Marino e il perito agrario e
agrimensore Antonio Loria che costituivano un trio molto affiatato
capace di far fuori in una nottata un paio di capretti e una decina di
litri di vino. Pare, infatti, che ognuno di loro adoperava un
bicchiere di vetro da un litro col manico per risparmiarsi la fatica di
sta continuamente a riempire il bicchiere.
ACCADDE DOMANI: IL 16 NOVEMBRE 2007 MUORE IL GENERALE SGRO
Il 16 novembre del 2007 si spegne a
Palmanova (UD) il generale di brigata Vincenzo Sgro. L'alto
ufficiale nacque a Caccuri il 31 gennaio del 1932 da mastro
Francesco, valente artigiano caccurese, uomo pio e devoto, per molti
anni priore della Congregazione del SS. Rosario, e da Saveria Loria.
Si avvicinò agli studi classici da privatista, sotto
la guida dei professori Luigi e Francesco Antonio Fazio e del sacerdote
don Pietro Scalise. Successivamente consegue la maturità liceale a
Crotone, presso il liceo Pitagora, scuola che frequentò regolarmente.
Entrò poi nella famosa Accademia militare di Modena, quindi
requentò la Scuola di Applicazione di Torino e conseguì il grado
di tenente di artiglieria, prima di essere trasferito, nel 1957,
in Friuli Venezia Giulia, a Palmanova. Qui si svolse tutta la sua
brillante carriera militare culminata con la promozione a generale. Nel
1988 venne collocato in pensione.
Vincenzo Sgro, oltre che essere un buon soldato, un uomo
con uno spiccato senso del dovere e un rispetto profondo per le
Istituzioni, fu anche un uomo generoso ed altruista, impegnato nelle
associazioni di volontariato. Fu, infatti, il fondatore della
delegazione della Croce Rossa di Palmanova e di una associazione che
curava la riabilitazione di ragazzi portatori di handicap mediante
l'ippoterapia. Nel 1992 divenne l'animatore e il responsabile di un
campo profughi che accoglieva cittadini della ex Jugoslavia martoriata
dalla guerra. Uomo generoso e dedito al prossimo, fu anche, per lungo
tempo, donatore di sangue. Per i suoi meriti militari e per la sua
generosa attività in favore della collettività gli furono conferite
numerose onorificenze fra le quali il titolo di Commendatore della
Repubblica Italiana.
Seppur lontano, per moltissimi anni da Caccuri,
rimase sempre profondamente legato al paese d'origine, alla sua gente,
alle sue tradizioni, alla cultura dei padri e nel suo paesello tornava
ogni volta che poteva.
ZIRRICU
TRA LEGGENDA E REALTA’
Il celebre brigante
Giovanni Cosco, alias Zirricu ucciso in un conflitto a fuoco con le
forze dell’ordine a Eido il 10 ottobre del 1868, come tutti i
capi banda dell’epoca, aveva un debole per le belle donne. Una volta,
un marito tradito, sorprese gli amanti in località Valle del Papa, ma,
non avendo il coraggio di affrontare il tagliagliagole a viso aperto per
paura della sua reazione, si limitò a sottrargli di soppiatto i vestiti
lasciandolo completamente nudo e credendo, in tal modo, di metterlo in
serie difficoltà. E, in effetti, il bandito ebbe non poche difficoltà
a recuperare qualcosa da mettersi addosso, ma alla fine ci riuscì con
l’aiuto di un pastore. La cosa lo turbò a tal punto che da allora
aggiunse alle sue mansioni di capo banda, anche quelle di procurare e
distribuire personalmente ai suoi compagni i capi di abbigliamento.
L’episodio fu raccontato da Angelo Raffaele Secreto (Velociu) in una
farsa.
Questo è quello che raccontano le leggende popolari che
enfatizzarono moltissimo la figura di un maldestro fuorilegge che non
riuscì mai a combinare nulla nemmeno come brigante, basti pensare che
nel corso di un sequestro di persona sparò a una persona a distanza di
un metro e mezzo riuscendo a mancarla e che il sequestrato si liberò da
solo dopo qualche ora. Si vede che anche
all’epoca i caccuresi erano soliti raccontare balle. In realtà il presunto
seduttore non riuscì mai nemmeno a sedurre la moglie che se la spassava con
un finanziere.
UN PAESE DI FORESTIERI
Nel secolo scorso, fatta eccezione per la scuola dove quasi tutto il
personale insegnante era del luogo (almeno dal 1970 in poi), negli
uffici pubblici impiegati e dirigenti erano questi tutti forestieri.
Anche il clero proveniva, quasi sempre, da fuori. Oltre ai vari
comandanti dei carabinieri e delle guardie di finanza erano forestieri
l’ufficiale postale (Antonio Senandres originario di Nicastro prima e
Nicola Brancati di Castelsilano dopo), il farmacista, dottor Raffaele
Piterà originario di Cutro, il segretario comunale Francesco Cordua di
Belvedere Spinello, i sacerdoti don Francesco Fusi (Crema), don Mario
Vaccaro (San Nicola dell’Alto), don Giovanni Greco (San Giovanni in
Fiore). Forestieri erano anche moltissimi dipendenti del barone
Barracco.
Un saluto deferente ai tre personaggi della foto che non sono più tra
noi, ma che hanno dato tanto al nostro paese.
GLI ANTICHI RITI DELLA SEPOLTURA
Fino a qualche decennio fa nel comporre il cadavere di un defunto si
rispettava un antico rituale che prescriveva tutta una serie di
adempimenti che avevano origine nel culto dei morti ereditato dalla
cultura greca. In particolare si dovevano collocare nella bara 13
monetine che servivano per pagare il pedaggio a Caronte che, con la sua
barca, traghettava le anime al di là dello Stige, un pezzetto di pane
per ammansire Cerbero, guardiano dell’Ade e un moccolo di candela per
illuminare la buia strada che conduceva nel regno dei morti. Oggi questi
riti sono quasi scomparsi e, quasi sempre al morto mettono in mano una
coroncina del rosario, anche se è ateo, tanto si sa, per la Chiesa gli
atei non esistono, soprattutto quando, passati a miglior vita, non
possono più smentirla.
ACCADDE DOMANI: MUORE MAURIZIO SGRO, MEDAGLIA D'ARGENTO
Il
6 novembre del 1929, all'età di 34 annim moriva a Caccuri Maurizio
Sgro, eroe della Grande Guerra, medaglia d'argento al valor
militare.
Maurizio Sgro, un giovane bersagliere caccurese fu mandato, come
centinaia di migliaia di altri commilitoni, al macello in una
guerra spaventosa e assurda, una guerra tra le più sporche che il
genere umano avesse fin allora combattuto. La mattina dell'11 giugno
1915, assieme ad altri pochi compagni, gli fu affidato il compito di
tenere a bada il nemico, mentre i compagni, alle loro spalle, scavavano
alacremente una lunga trincea. Il soldato, fedele alla consegna, combatté
duramente per una intera giornata, esponendosi al fuoco dei cecchini
austriaci rischiando ripetutamente la vita fino a quando, a sera, cadde
colpito da una fucilata rimanendo gravemente ferito. Soccorso
prontamente dai compagni, riuscì a raggiungere la retroguardia, fu
ricoverato in ospedale e, dopo le opportune cure, rimandato a casa. Per
il coraggio mostrato e per lo zelo con il quale assolvette il
compito che gli era stato affidato, gli venne concessa la medaglia
d'argento al valor militare con la seguente motivazione:
"Con generoso ardimento e per dare modo ai propri compagni di
completare i lavori di trinceramento, rimase esposto per quasi un'intera
giornata al fuoco avversario controbattendo efficacemente, finché venne
gravemente ferito."
Passo di Sesis 11-14 giugno 1915
Quella di Maurizio Sgro fu la quarta medaglia
d'argento al valor militare concessa a un soldato caccurese assieme alle
due del generale di divisione Antonio Rizzo e a quella del carabiniere
Giovanni Dardani morto a Palermo il 10
maggio del 1946, dopo un conflitto a fuoco con la banda Giuliano. Anche
Antonio Rizzo e Maurizio Sgro, oltre alla medaglia d'oro Vincenzo
Ambrosio e a Giovanni Dardani, meriterebbero almeno l'intitolazione di
una strada.
UNO SGUARDO SUL SETTECENTO CACCURESE
Il
secolo si apre con la morte del duca Antonio Cavalcante juniore nel 1709
al quale subentra il figlio Marzio juniore. Don Marzio avrà due figli,
Antonio che rinuncia alla primogenitura in favore del fratello minore
per farsi cavaliere gerosolimitano. Divenuto priore della Congregazione
del Rosario sarà l’artefice della cappella grazie alle generose
donazioni della sua famiglia tra le quali, il 4 gennaio 1750, quella del
ricco podere di Vignali con un atto redatto nel castello di
Caccuri e controfirmato dal suo segretario Diego Guarascio, che era
anche il sindaco. In quegli anni l’Università di Caccuri, (il
comune), era infatti amministrata dallo stesso Guarascio, sindaco, da
Giacomo de Miglio, eletto, e da Tommaso Aloisio, eletto, mentre Aloisio
De Rose era il cancelliere (segretario).
Il Settecento fu per Caccuri un secolo
fecondo che trasformò il paese in un cantiere permanente e che vide,
fra l’altro, il completamento della cappella del SS. Rosario, la cui
costruzione era iniziata il 1690. Risalgono ai primi decenni del secolo
l’altare, gli scanni corali e altri arredi di quello che secondo me è
il più bello e interessante monumento caccurese. Al Settecento risale
anche la seconda ricostruzione della chiesa madre di Santa Maria delle
Grazie dopo, quella di un secolo prima e dopo l’incendio del 1°
luglio del 1769 che la distrusse per la seconda volta. Oltre alla
ricostruzione delle strutture murarie si provvide a costruire gli scanni
corali e il pergamo opera del maestro caccurese Battista Trocino,
rampollo di una famiglia di grandi ebanisti dei quali si avvalsero anche
i paesi della zona come Strongoli per realizzare altari e scanni corali.
La chiesa di Santa Maria delle Grazie ospitava le tre
parrocchie del paese, quella di San Pietro, quella di San Nicola e
quella della stessa Santa Maria. Tra i sacerdoti che ressero la
parrocchia di san Pietro in Caccuri si ricordano don Domenico De Rosa,
don Agostino Chirico e don Gennaro Lucente che fu parroco dal 1768 in
poi succedendo ai primi due.
Nel 1742 i sacerdoti caccuresi erano ben 7: l’arciprete
don Francesco Abate, il parroco don Gennaro Lucente e i sacerdoti don
Domenico De Luca, don Domenico Antonio Abate, don Giacomo Clausi, don
Giovanni Leto e don Giovanni Francesco Magliaro. I 7 religiosi curavano
appena 1031 anime. Precedentemente, negli anni '60, arciprete del paese era don Francesco Franco.
Oltre alla chiesetta della Congregazione del S.S.
Rosario e alla chiesa madre si lavorava anche alla realizzazione di
altari e statue il quella di Santa Maria del Soccorso nella quale il
maestro Francesco Paolo Cristiano
nel 1781 completava le decorazioni del monumentale altare di San
Domenico.
Molti erano i maestri artigiani caccuresi che
caccuresi che nel corso del secolo diedero lustro e decoro alla nostra
cittadina e ai paesi vicini come i Tocino dei quali si è già detto,
come il maestro fonditore Scipione Palmieri che rinverdiva la tradizione
di Angelo Rinaldi che nel Cinquecento fusa la campana grande del
campanile della chiesa madre e ancora bottai, fabbri, carradori,
conciatori e orafi.
Nel ducato di alternarono quattro duchi della
famiglia Cavalcante. Oltre ai citati Don Antonio juniore e don Marzio
juniore, ressero il feudo Rosalbo, Gaetano Maria e Marianna che fu
l’ultima erede di questa nobile famiglia e che sposò il capo del
governo del Regno delle due Sicilie Giuseppe Ceva Grimaldi di
Pietracatella.
Nel Settecento si spensero anche i due arcivescovi
Cavalcante, Francesco Antonio, il 7 gennaio del 1748 e Domenico Antonio
il 3 febbraio del 1769.
L'ESISTENZA
DELLE FOSSE MORTUARIE CERTIFICATE DA UN TESTAMENTO
L'esistenza delle fossae mortuorum nelle quali venivano tumulati i
defunti nella chiesa di Santa Maria delle Grazie e nella cappella del
Rosario di Caccuri, almeno fino al 1823, nonostante la pratica fosse
vietata già dal 1804 con l'editto di Saint Cloud del 1804 e certamente
in vigore nel Regno di Napoli sotto Murat, è testimoniata da un atto
pubblico ufficiale, il testamento di Laura Manfredi del fu Tommaso
rogato dal notaio caccurese Francesco Antonio Ambrosio del fu Domenico
in data 12 gennaio
a1823, "in questa Comune di Caccuri, alle sedici, Regnando
Ferdinando Primo per grazia di Dio Re delle due Sicilie, Re di
Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza e Castro e Gran
Principe Ereditario di Toscana" e Registrato in Umbriatico il
tre aprile 1823 - Rec. N. 1 vol. 4°, Fog. 3, fasc 2°.
Nell'atto pubblico la signora Manfredi, dopo aver dettato le sue
volontà "sopra tutti i miei beni liberi per legge, mobili, stabili e semoventi,
ori, argenti, rame crediti e nomi di debitori in qualsivoglia maniera
consistenti, i miei cari e benedetti nepoti" come una vigna in
località Battinderi, un magazzino, "il vestimento di seta come si
attrova", dispone che alla sua morte "ancora che il mio
cadavere sia trasportato e sepolto nella chiesa di S. Domenico, essendo
questa la mia volontà.
"
La donna, ", sana di mente, ma inferma di
corpo", come precisa notar Ambrosio, non trascura di lasciare
disposizioni sulla quantità di messe "messe basse in altare
privilegiato, a seconda che ne pattuiranno i motivi del pagamento"
in suffragio dell'anima sua e sulle celebrazioni per il trigesimo. Sono
questi, probabilmente, i motivi che le danno il diritto a essere sepolta
nella più grande chiesa caccurese considerato che il quel periodo era
attivo anche un altro luogo di sepoltura, la collina dell'Annunziata
come apprendiamo da un'antica canzone caccurese e dal ritrovamento di
numerosi resti umani a partire dagli inizi degli anni '20 del secolo
scorso.
MONS. CARNUTO, SFORTUNATO VESCOVO CACCURESE
di Giuseppe Marino
Il 10 ottobre del 1551 un certo Nicolò Interzato e la moglie Livia
Costa si presentano al notaio caccurese Domenico Mignaccio per
raccopntgare i particolari
della scorreria saracena del mese di luglio del 1544 a Cariati ad opera
dell'ammiraglio ottomano Khayr al-Dīn, meglio conosciuto
come Barbarossa nel corso della quale venne rapito il vescovo di
Cerenzia e Cariati, il caccurese mons. Giovanni Carnuto, il primo dei
quattro prelati nati nel paesino che aveva già dato i natali a molti
illustri religiosi come l'abate Cornelio Pelusio, suo contemporaneo, e
ai Simonetta.
Il religioso caccurese il 21 ottobre 1530 era stato
nominato era stato nominato vescovo della diocesi di Carinola (CE) da
papa Clemente VII che resse fino al 15 gennaio 1535 quando Paolo
III lo trasferisce nella sua Calabria .
Dopo averlo catturato assieme a tanti altri cittadini, I
pirati lo condussero prigioniero in Algeri e qui morì pare l'anno dopo.
Di lui è incerto anche il cognome. Gabriele Barrio, contemporaneo dello
sfortunato vescovo, nel De antiquitate et situ Calabriae scrive
"Ioannes Carnutus carinolensi episcopus geruntinis et
chariatensis", mentre nelle cronotassi di Carinola e Cariati è
riportato come Giovanni Canuti.
POSTE E TELEGRAFI ALLA FINE DEL OTTOCENTO
di Giuseppe Marino
Il
30 gennaio del 1877 il Comune di Caccuri chiese l’installazione di un
impianto telegrafico che per collegare Caccuri alla linea Petilia
Policastro – San Giovanni in Fiore. L’opera, contrariamente al
solito, fu realizzata in pochi mesi e nel mese di ottobre dello stesso
anno l’impianto, gestito da un ufficiale telegrafico pagato con uno
stipendio di 500 lire annue, entrò in funzione nel mese di ottobre
dello stesso anno. Risolto questo problema, esattamente un anno dopo,
l’Amministrazione risolse anche il problema dell’ufficio postale.
Se le due opere contribuirono a togliere il paese
dall’isolamento, non risolsero tutti i problemi. Ancora nel 1915 la
corrispondenza che partiva da Crotone, arrivava a Caccuri solo il giorno dopo. Ciò perché la corriera
partiva tardi e non riusciva a raggiungere, entro la serata
Caccuri (a 55 km.) e San Giovanni in Fiore (a 78 km.). Per
questi motivi il consiglio comunale, il 4 febbraio del 1915, fece
“voti alla Direzione Provinciale delle Poste di Catanzaro affinché si
compiaccia di voler disporre che la corriera postale Crotone – San Giovanni in Fiore parta da
Crotone seguendo il primitivo orario in modo da evitare ritardi e avere
la posta entro sera, ritenuto che il servizio automobilistico deve
restare eternamente un pio desiderio.”
CONFRATERNITE CACCURESI E PRIVILEGI
di Giuseppe Marino
Le
confraternite religiose, si sa, sono associazioni pubbliche che hanno
come scopo principale quello di incrementare il culto pubblico, in modo
particolare per Gesù Cristo, la Madonna o per qualche santo dai quale
prendono il loro nome. Ne esistono ancora in molti paesi della Penisola
e della nostra Calabria e un tempo anche a Caccuri, almeno due. La più
antica delle quali abbiamo notizia è quella del SS: Corpo di Gesù
Cristo, detta anche del Santissimo Sacramento che aveva sede nella
chiesa Matrice che era anche il lòuoco di culto delle tre parrocchie
caccuresi, quella di Santa Maria delle Grazie, quella di San Pietro, che
nel 1742 era ancora attiva e affidata al parroco don Gennaro Lucente, e
quella di San Nicola. Doveva essere una confraternita molto forte
e stimata se il 13 gennaio del 1615 ottenne da papa Paolo V
plenaria, ovvero la cancellazione di tutti i peccati, in occasione delle feste del SS. Corpo di
Cristo, della Natività, dell’Annunciazione e dell’Assunzione.
Più complicato e più lungo il percorso per ottenere
quest'importante privilegio per la congregazione del Santissimo Rosario
che aveva come luogo di culto quella che è sicuramente la più bella e
nel contempo a più piccola chiesa caccurese conosciuta col nome di
"Congrega o Cappella del Rosario" all'interno del vecchio
convento dei domenicani. Questa congregazione, pur se fondata
già nel 1689 quando un gruppo di cittadini chiese al padre provinciale
dei domenicani l'autorizzazione
a creare una loro cappella all'interno di una stanza del convento
fondato da Andrea da Gimigliano, autorizzazione concessa
l'8 gennaio del 1690 dietro il versamento annuo di 15 carlini al
convento a titolo di elemosina, ottennero solo il 24 luglio del
1824,
da Papa Leone XII, l’indulgenza
plenaria per coloro i quali visitavano la chiesa nei giorni delle feste
principali e in tutte le domeniche dell’anno. Qualche
anno dopo i confratelli chiesero al Santo Padre di “voler loro
accordare la partecipazione ai privilegi che si godono dall’ordine dei
Predicatori, quantunque vengano diretti nello spirituale dai Religiosi Riformati,
venendo raccomandati dal proprio ordinario coll’attestato che si
umilia qui annesso” privilegio che venne concesso dal papa Gregorio
XVI° il 27 marzo del 1835.
'U TIZZUNE BENERITTU
Un tempo, quando un forte temporale incuteva paura nella
popolazione o la pioggia cadeva abbondante con rischio di alluvioni, per
far cessare le intemperie, le nostre nonne mettevano fuori dall’uscio“ 'u tizzune beneritto”, un pezzetto di legno semi
carbonizzato residuo del focherello che si accendeva davanti la chiesa
la notte del Sabato Santo e che veniva benedetto dal sacerdote.
Secondo la credenza popolare il legno bruciacchiato
benedetto assorbiva tutta l'acqua che cadeva dal cielo per
spegnere il fuoco sacro evitando che facesse danni e mettesse in
pericolo la vita di uomini e donne. Ancora oggi ogni tanto si sente
durante qualche forte temporale qualche anziano dire "avimu 'e
cacciare 'u tizzune benerittu."
ILLUSTRI ECCLESIASTICI CACCURESI
La nobile famiglia caccurese dei De Gaeta, già imparentata con i
Simonetta, nel XVIII° secolo era imparentata anche con i Cavalcante.
Ottavio De Gaeta, fratello di monsignor Muzio, caccurese, governatore di
Loreto, era cognato del duca don Antonio Cavalcante. Mons. Muzio,
il 15 giugno del 1695 fu nominato Governatore di Loreto da papa
Innocenzo XII carica che ricoprì fino alla fine di maggio del
1698.
Il clero caccurese, oltre a questo
importante personaggio, annovera quattro vescovi, tre dei quali
arcivescovi di importanti diocesi. Il primo fu Giovanni Carnuto, vescovo
di Carinola (CE) e poi di Cariati, città nella quale fu rapito nel
luglio del 1544 dal corsaro Khair Ad Din, meglio conosciuto come
Barbarossa e portato in catene ad Algeri dove morì in cattività. Nel
XVIII secolo troviamo poi i due fratelli Cavalcante, Francesco Antonio,
nato il 22 ottobre 1695 nel palazzo ducale di Caccuri, arcivescovo di
Cosenza e Domenico Antonio, nato il 26 ottobre del 1698, arcivescovo di
Trani. Nel XIX secolo, infine, fu nominato arcivescovo di Catanzaro
mons. Raffaele De Franco, rampollo di una delle più illustri famiglie
caccuresi. Di Caccuri era anche l'abate Cornelio Pelusio, priore
florense. Dal 1586 al 1605 ricoprì la carica di praeses (preside)
della congregazione cistercense di Calabria e Lucania, autore del
manoscritto De Abbatia Florens et eius filiabus" conservato presso
la Biblioteca Nazionale di Napoli.
ACCADDE DOMANI - NASCE IL CIRCOLO DIDATTICO DI CACCURI
Il 1° ottobre del 1959 nasce il Circolo didattico di
Caccuri che resterà in vita fino al 30 agosto del 2001 quando lascerà
il posto all'Istituto comprensivo Cicco Simonetta. Inizialmente ne fanno
parte le scuole elementari e materne di Caccuri, Cerenzia, Castelsilano,
Cotronei e Rocca Bernarda, ma nel corso dei suoi 42 anni di vita subirà
diversi distacchi e accorpamenti. Se ne distaccheranno, infatti,
Cotronei e Roccabernarda, ma vi saranno accorpate le scuole di Savelli e
Belvedere di Spinello . Il primo direttore fu il prof. Giambattista
Mantella, mentre le mansioni di segretario didattico furono affidate al
prof. Mario Filippo Sperlì, dottore in scienze economiche e insegnante
elementare nella scuola di Caccuri che gli sarà intitolata nel
2000. Qualche anno dopo vinse il concordo per direttore scolastico
e, dopo qualche anno di servizio a Girifalco, gli venne affidato proprio
il Circolo didattico di Caccuri nel quale, intanto, svolgeva le mansioni
di segretario il mitico Alberto Macrì. Dopo il pensionamento del
direttore Sperlì l'istituzione scolastica caccurese vide l'alternanza
di numerosi dirigenti come Pasquale Di Petta, Antonio Marchio, Emilio De
Simone, il compianto Francesco (Ciccio) Scalise di Castelsilano e
Giannetto Oliverio.
Tra gli insegnanti che vi prestarono servizio dagli
anni '60 in poi mi piace ricordare i colleghi Alfonso Chiodo, Rosa
Nicastro, Maria Schiariti, Alberto Macriì, Luigi Martino, i fratelli
Antonio e Peppino Lucente, Benia Garrupa, Peppino Gallo, Maria Miliè,
Stella Lacaria di Caccuri, Tommaso Nicoletta, Teodoro Torchia, Ciccio
Brisinda, Ciccio Scalise, Dino De Vuono, Ciccio Manfredi di
Castelsilano, Salvatore Lista di Cerenzia e quelli della mia generazione
che mi riesce difficile elencare, educatori che hanno istruito e formato
decine di generazioni di giovani dei nostri paesi.
Fino
ai primi decenni del secolo scorso i contadini e i pastori della nostra
zona calzavano le "purcine", calzature povere, fatte in casa
con materiali di fortuna molto simili alle famose cioce. Quelli più
abbienti utilizzavano una suola di cuoio dalla quale partivano lunghe
stringhe che avvolgevano la gamba fin quasi al ginocchio, i più poveri
sostituivano il cuoio con un pezzo di un vecchio copertone di auto
reperito chissà con quale difficoltà, in un tempo in cui le automobili
nella zona si contavano sulle dita di una mano. Le donne calzavano anche
gli zoccoli di legno fabbricati da Domenico Loria soprannominato "
'u zocculàru" proprio per il mestiere che svolgeva. 'U Zoccularu
era apprezzato anche come suonatore di violino e per le serenate che
organizzava assieme ad altri amici suonatori. Di lui si ricorda questa
canzoncina satirica sull'infedeltà coniugale cantata sulle note di un
valzer lento anch'esso di sua composizione.
Stanotte a Menzannotte
di Domenico Loria (Zu Duminicu ‘u Zoccuàaru)
Stanotte a menzannotte, lu gattu facia
rumure.
Stanotte a menzannote, lu gattu facia
rumure.
Era dintra ‘u tiraturu, lu sordu fauzu
volià piglià;
era dintra lu tiraturu, lu sordu fauzu
volia piglià.
Si lu pignli ‘ntra ste grànche
Tanti e ri srazi chi l’haiu re fa’,
‘u piscu ccà, ‘u piscu llà,
‘u sordu fauzu volia piglià.
IL FEUDO
DI CACCURI DAI NIPOTI DEI PAPI AI PETRA
Tra i feudatari che nel periodo compreso tra il 1465 e il 1505 si
alternarono nel possesso delle terre di Caccuri troviamo fra gli altri,
Geronimo Riario, visconte di Squillace, feudatario di Caccuri dal 1479
al 1485, signore di Imola e nipote del papa Sisto IV°. (1)
Geronimo Sanseverino, un tale Francesco Coppola e un nipote del papa
Alessandro VI°, Alfredo Borgia d’Aragone che fu signore di Caccuri
dal 1497 al 1505. Da quest’ultimo il feudo passò a Giambattista
Spinelli.
Nel 1561 il feudo di Caccuri, sequestrato per debiti al
barone Giambattista Cimino fu messo all’asta e comprato dai
Cavalcante. Il primo Cavalcante, il barone Antonio, morì nel 1676. Da
allora il feudo passerà di mano ad altri 6 duchi dello stesso casato
fino a quando a seguito del matrimonio della duchessa Marianna
Cavalcante con il marchese di Pietracatella Giuseppe Ceva Grimaldi,
passerà a questo nobile casato.
Il Marchese di Pietracatella, discendente degli
Spinelli per via della madre, nato a Napoli nel 1777, dopo aver
ricoperto più volte la carica di intendente, nel 1840 fu nominato
Presidente del Consiglio del Regno delle due Sicilie, carica dalle quale
si dimise il 28 gennaio del 1848 in dissenso con Ferdinando II che aveva
concesso qualche giorno prima la costituzione.
Dai Ceva Grimaldi il titolo di duca di Caccuri passo infine
ai Petra, nobile casato napoletano, che lo conserva ancora.
'A SARMA 'E LIGNE
Fino ai primi anni '60 dello scorso secolo l'unico combustibile usato
per riscaldare le case caccuresi era la legna raccolta nei boschi che
circondano il paese. Molti boschi demaniali erano stati usurpati nel
corso dei secoli e dagli usurpatori poi venduti, più o meno
illegalmente ad altri privati per cui la superfice nella quale, nel
corso degli ultimi secoli si poteva raccogliere legna o tagliare alberi
secchi per ricavarne legna da ardere secondo le antiche consuetudini
risultava sempre più ristretta. I proprietari cercavano di difendere il
loro presunto diritto servendosi di guardie giurate che vigilavano sui
boschi e reprimevano quelli che ritenevano veri e propri furti ai danni
dei loro padroni, mentre i contadini e i pastori consideravano
sacrosanto quel diritto ad esercitare gli usi civici, mentre le
Autorità borboniche prima, napoleoniche e savoiarde dopo, assumevano un
comportamento pilatesco avallando, di fatto, le pretese illegali degli
usurpatori con gli inevitabili conflitti sociali che ne derivavano. Tale
situazione si protrasse fin oltre la metà del XX secolo quando lo
spopolamento dei paesi a causa dell'emigrazione, la progressiva
scomparsa di asini e muli e l'avvento di nuovi combustibili e nuovi
sistemi di riscaldamento ridussero drasticamente il consumo di legna da
ardere.
La raccolta e il commercio di tale combustibile erano esercitati dai
"ciucciàri", i proprietari di asini e muli, quasi tutti
contadini o pastori che la vendevano a "sarme" agli
artigiani, ai commercianti o agli impiegati che vivevano nei nostri
paesini. La salma, da non confondere con la salma del Regno delle
due Sicilie che era una misura per liquidi, era il
carico della cavalcatura e variava a seconda della stazza e dell'età
dell'animale di cui si disponeva, asino o mulo. Anche il prezzo di una
"sarma", agli inizi degli anni '60 del Novecento, variava tra
le 750 per quella dell'asino e le 900 lire per quella del mulo, cifre
che corrispondevano a circa la metà della paga giornaliera di un
manovale o di un muratore.
CENNI SUGLI ANTICHI
CACCURESI
Le prime notizie relative agli abitanti della Caccuri del secondo
millennio si trovano in alcuni frammenti di documenti del X secolo. In
un diploma del 1228, poi, si fa il nome di un Johannes de Caccurio,
mentre in una “nota inquisitionis” del marzo del 1240 gli
inquisitori Goffredo di Roccabernarda e Stefano da Crotone riportano
l’interrogazione di Riccardus de Caccurio. Altre notizie certe
risalgono al 1251 quando Stefano Marchisorto, conte di Crotone e di
Cerenzia sanziona i caccuresi Pietro e Matteo Leto , un certo Perrecta e
i fratelli Logorio per il loro comportamento in danno, guarda caso
dell’abbazia florense.
Nel territorio caccurese esistevano anticamente
numerosi toponimi tra i quali Canalagi (scritto con la “g”),
Cangemi, Sautante, Biamonti, Lenzana, Acqua di Lepori, Gradia,
Misocampo, Homo morto, Jemmella, Lo Funaro, Fontanelle, Passo de lo
salice, Simigadi, Arcovadia, Lo Perdice.
Nel Trecento a Caccuri oltre all’arciprete
Sudnerius o Inderus, vi erano una quindicina tra chierici e canonici.
Quelli che compaiono in una lista del 1324 sono: don Giovanni Cipriano,
l’ariciprete Sudnerius, Giovanni de Foresta, Tommaso Eunuchus,
Leonectus, Durantus, Giovanni De Florello, Giovanni de Magistro
Clemento, dominus Francesco Ruffo, dominus Guglielmo de Novello, Iaconus
Xelsus.
Tra le famiglie più antiche figurano: i De Gaeta, i
Protospataro, i Crissune, gli Accepta, i Quattromani, gli
Spolveri, gli Xpano, gli Accimbatore, i Patrizio, e i Mingazio e, in
tempi più recenti, i De Miglio, i De Luca, i Rao, gli Ambrosio, i
Leonetti, i Quintieri, i De Franco, i Principato e i
Riccoi, famiglie quasi tutte scomparse dal panorama anagrafico
caccurese.
FUMATORI DI FOGLIE DI PATATE
Nella
prima metà del secolo scorso, nei periodi più brutti del primo
dopoguerra e dell’autarchia fascista, i nostri vecchi, che non
trovavano o non avevano la possibilità di comprare tabacco, fumavano,
nelle loro pipe di terracotta, dal cannello di canna, foglie di patate
essiccate e cosparse di estratto di tabacco. Tra questi nonno Saverio
Chindamo, Giuseppe Perri, Domenico Fazio, Luigi Covello ed
altri, alcuni dei quali ebbi la ventura di conoscere e che mi
raccontarono l'aneddoto.
ACCADDE
OGGI: MUORE A ROMA IL DOTT LEONARDO SECRETO
Il 9 settembre del 1999 muore a Roma il caccurese Leonardo Secreto,
avvocato, prestigioso dirigente del Ministero della Difesa che ricoprì,
fra le altre, la carica di
Vice Direttore generale di Difepensioni, una delle direzioni generali
del Ministero. Era il figlio di Giovanni Secreto, conosciuto come
Sonnino, uno dei più bravi sarti caccuresi. Per la biografia completa
del dottor Secreto si può visitare questo link: http://www.isolamena.com/Caccuri/Personaggi/SECRETO/leonardosecreto.htm
ACCADDE
DOMANI: MUORE DI FEBBRE SPAGNOLA UN GIOVANE INGEGNERE SERBO
Il 9 settembre del 1919, alle ore 1,15, in una casa di via Salita
Castello, muore di febbre spagnola (repepentino
morbo
correptus, come si legge nel certificato di morte della Parrocchia
di Santa Maria delle Grazie), Wladimiro
Iegitch,
un giovane ingegnere di Belgrado che si trova a Caccuri da un paio di
anni per collaborare alla progettazione degli impianti idroelettrici
silani. Solo 6 giorni prima aveva avuto la gioia della
nascita di una figlioletta Lucia che non avrà la fortuna di vedere
crescere.
Il giovane tecnico, che era nato nella capitale serba nel
1891, fu sepolto in una povera tomba nel cimitero caccurese. Per saperne
di più sulla commovente storia di questo sfortunato giovane da me ricostruita a
fatica, potere visitare questo link: http://www.isolamena.com/Caccuri/Storie%20di%20Caccuri/Ingegnere/Iegitch.htm
ACCADDE
OGGI: Nasce Mario Filippo Sperlì
Il 26 agosto del 1920 nacque Caccuri Mario Filippo Sperlì,
dottore in scienze economiche con laura conseguita presso l'Istituto
Orientale di Napoli, pedagogista, insegnante e direttore didattico,
amministratore e dirigente politico, uno degli uomini più colti. onesti
e più stimati dell'intera regione. Da giovane, dopo lo sbandamento
dell'esercito nel quale ebbe il grado di sergente maggiore
dell'aviazione in forza allo Stato maggiore, partecipò alla Resistenza
nelle file dei partigiani. Mario Sperlì formò decine di generazioni di
ragazzi e centinaia di insegnanti.
Per saperne di più visitare questo link: http://www.isolamena.com/Caccuri/Personaggi/Sperli.htm
ACCADDE
OGGI: MUORE MONS. DE FRANCO, CACCURESE ILLUSTRE
Il
22 agosto del 1883 si spense a Catanzaro, all'età di 83 anni, mons.
Raffaele De Franco, arcivescovo della città. Era nato a Caccuri, nel
palazzo degli avi in via Buonasera, il 30 maggio del 1803 da Antonio,
rampollo di una illustre, antica famiglia caccurese e da Agata Florio: A
Caccuri visse e su formò e, nel 1819 fu designato canonico della
collegiata del paese natale.
Il 21 gennaio del 1852 fu nominato arcivescovo di
Catanzaro, diocesi che governò per ben 31 anni lasciandovi la sua
impronta indelebile. Nel 1869 partecipò al Concilio
Ecumenico Vaticano I e fu nominato componente della Commissione dei
Canonisti nella quale ebbe modo di farsi apprezzare per la vasta e
profonda conoscenza del diritto canonico. A Catanzaro fece ricostruire
interamente il Palazzo vescovile e fece ingrandire il Seminario che egli
stesso aveva frequentato in gioventù. Fondò anche l’Istituto dei
sordomuti e fece frequentare al sacerdote Luigi Spadola, a sue spese, a
Napoli, un corso di istruzione per l’insegnamento a questa categoria
di portatori di handicap. Nell’ottobre del 1880 tenne un sinodo
diocesano, dopo circa un secolo dall’ultimo che era stato proclamato
dal 1vescovo Gori. Fece inoltre erigere il campanile del Duomo di
Catanzaro, sotto la direzione dell’architetto Michele Manfredi
facendovi collocare cinque campane.
Mons. De Franco fu dunque uno degli esponenti più illustri
e più prestigiosi del clero calabrese della seconda metà del XIX
secolo. Ebbe una parte di rilievo nell'organizzare discretamente la
resistenza del clero all'aggressione piemontese del Regno delle due
Sicilie. Un caccurese illustre, dunque, ma poco conosciuto nel paese
natio, che meriterebbe anch'egli almeno l'intitolazione di una strada.
ACCADDE
OGGI: GLI AGRARI VINCONO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE
Il 14 luglio del 1895 la lista degli agrari, diretta emanazione
del barone Barracco, vinse ancora una volta le elezioni subentrando a se
stesso. Il barone Guglielmo Barracco fu a sua volta sindaco
del paese dal 1874, al 1888.
Domenico Ambrosio era figlio di Vincenzo, già capo della Guardia
urbana del paese che sgominò la banda del brigante Pellegrino e
catturò Saverio Segreto, padre del feroce Salvatore Secreti detto Titta
che era morto qualche giorno prima in uno scontro con alcuni foresi in
agro di Santa Severina. Il padre era a sua volta figlio di
Francesco Antonio, notaio a Caccuri fino al 1823 quando morì
prematuramente. Tra i consiglieri figurano Carmine Lucente,
Federico Del Bene, padre del colonnello Enrico e Domenico Caccuri.
ACCADDE
DOMANI: L'INCENDIO
CHE DISTRUSSE SANTA MARIA DELLE GRAZIE
Il 1° luglio del 1769 un violento incendio ridusse in cenere la
chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il monumento, fortunatamente, venne
interamente ricostruito in pochi anni. Anche nel secolo precedente la
chiesa, danneggiata dai terremoti del 1638 e del 1659, era stata
ricostruita per interessamento del vescovo Geronimo Barzellino. Fu in
occasione di questa seconda ricostruzione che furono realizzati gli
scanni corali e il pergamo opera dell'intagliatore caccurese Battista
Trocino. Ma i guai per il tempio caccurese non erano finiti. Altri
notevoli danni subì dal terremoto del marzo del 1832 che
l'ingegnere Vincenzo Sassone, incaricato del sopralluogo in paese,
nella relazione inviata a Federico Bausan, del Corpo degli
ingegneri di acque e strade incaricato dal re Ferdinando II della
ricostruzione dei paesi del Crotonese devastati dal sisma così
descrisse :
“Il muro laterale di detta chiesa, scrive
l’ingegnere Sassone, poggia su un terrazzino; dietro le replicate
scosse di tremuoto quest’ultimo si è ribassato perché sostenuto da
un debole muro, in conseguenza il detto muro laterale è uscito fuori di
piombo cagionando grave danno alla volta della nominata chiesa,
essendosi di già divisa in tre sezioni longitudinali." Infine il
20 luglio del 1854 un fulmine demolisce parte del campanile e la parete
del lato nord compreso l'altare di San Francesco. Anche questa volta i
danni furono riparati sotto la direzione dell'architetto Luciano Corea.
In questa occasione si verificarono anche degli illeciti amministrativi
dei quali si rese protagonista il sindaco del tempo.
Chi volesse approfondire l'argomento può dare uno sguardo
a questo link: http://www.isolamena.com/Storia/Chiesa%20Madre/storia.htm
175 ANNI FA I
BANDIERA AL BORDO
Il 19 giugno del 1844 (175 anni fa), il gruppo sovversivo dei fratelli
Attilio ed Emilio Bandiera che con 19 compagni, tra i quali il brigante
sangiovannese Giuseppe Meluso e il corso Pietro Boccheciampe erano
sbarcati alle foci del Neto tre giorni prima, giungono alla grancia del
Bordò reduci dallo scontro di Pietralonga (Belvedere di Spinello) che
era costato la vita al capo delle guardie urbane Antonio Arcuri e al
nipote Nicola Rizzuto. Dopo una breve sosta nel corso della quale si
rifocillarono, ripresero la marcia verso Cosenza preceduti da un ragazzo
di San Giovanni in Fiore spedito di nascosto dai massari della grancia
nella cittadina silana e che aveva il compito di avvertire il capo
urbano del passaggio dei sovversivi.
Sfuggiti alla guardia urbana di Caccuri che intendeva
bloccarli in località Laconi, nel pomeriggio furono intercettati dalla
gendarmeria sangiovannese in località Stragola e arrestati dopo un
conflitto a fuoco nel quale persero la vita il pesarese Giuseppe Tesei e
il forlivese Giuseppe Miller, mentre il Meluso riusciva a dileguarsi nel
bosco.
Noterelle
su due grandi caccuresi
: Raffaele De Franco e Angelo Di Rosa
30/05/1803
- 30/05/1909
La data del 30
maggio è una data importante nella storia di Caccuri. Il 30 maggio del
1803 il nostro paese diede i natali all'arcivescovo di Catanzaro, mons.
Raffaele De Franco che resse la diocesi della "capitale della
seta" per ben 31 anni lasciando un'impronta indelebile della sua
missione pastorale, fondò il seminario e fece eseguire importanti
lavori al duomo della città. Ebbe
anche un ruolo discreto, ma efficace nell'organizzazione della
resistenza anti piemontese prima e dopo l'annessione del Regno delle due
Sicilie allo stato savoiardo.
A distanza di 106 anni, il 30 maggio del 1906
nacque, invece, il maestro Angelo di Rose che rinverdì la tradizione
musicale caccurese, fu l'animatore di una banda fino alla fine degli
anni 60 del secolo scorso, insegnò per lunghi anni educazione musicale
nella locale scuola media e nel 1947 ricoprì la carica di sindaco di
Caccuri.
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