LO
SPOPOLAMENTO DELLA CALABRIA |
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Spesso
mi sorprendo a riflettere sul curioso destino della nostra terra di
Calabria che, in alcuni decenni,, anche se l processo è in corso da 142
anni, si è trasformata da terra
di immigrazione in terra di emigrazione con un devastante spopolamento
continuo che sta portando alla scomparsa del popolo calabrese, della sua
storia, della sua cultura, della lingua, del patrimonio demoetnoantropologico
e alla desertificazione delle zone interne della nostra bellissima
regione, compresa la Presila crotonese. “Le
prime partenze dal Crotonese si registrarono, infatti, nel periodo
compreso tra il 1876 e il 1880, ma si trattava, comunque, di numeri
irrisori, solo 27 emigrati, soprattutto se confrontati ai 3.930 di
Castrovillari o ai 3.863 di Paola. L’ondata migratoria cominciò a
prendere consistenza, anche se i suoi numeri saranno sempre inferiori a
quelli degli altri circondari della regione, solo a partire dal 1886-1890
quando gli emigrati risulteranno essere 2.382. A
partire dal 1891 la crescita sarà costante fino al quadriennio 1906-1910,
quando in aggiunta a quelli che si sono già imbarcati per le Americhe,
emigreranno altri 12.788 lavoratori del Crotonese. Nel quinquennio
successivo il flusso subì una flessione, ma il numero dei lavoratori che
lasciò il Marchesato e le zone interne del Circondario per cercare
fortuna oltre oceano rimase comunque consistente, provocando una perdita
di 9.577 unità, trasversali alle classi di lavoro. Infatti, tra il 1876 e
il 1910, tra gli emigrati dalla Calabria «il 60,3% sono contadini, il 15%
braccianti, l’8,9% artigiani, l’1,7% muratori, il 3,1% domestici e
nutrici».
I
primi lavoratori calabresi non emigrarono, come si potrebbe credere, negli
USA, ma in Australa, in Uruguay, Argentina e Brasile. Tra i orimi caccursi
che lasciarono il nostro paese figurava il professore Francesco Maacrì
(Tata) poi direttore delle scuole italiane in Uruguay. “Tuttavia,
nonostante il flusso migratorio in costante aumento, nello stesso periodo
1861-1911 aumentò costantemente anche la popolazione residente, che passò
dai 52.021 del 1861 ai 79.657 del 1911. Un aumento che continuerà in modo
costante e senza flessioni fino al 1981, quando toccherà la vetta massima
di 186.671 residenti. Solo allora comincerà a diminuire con un flusso
negativo altrettanto costante, scendendo fino ai 174.980 residenti nel
2018”
[1]
L’emigrazione
nel Crotonese Anche
il Crotonese nel corso dei secoli è sempre stato un territorio di
immigrazione. Si trattava, in larga misura, di un’immigrazione interna a
carattere stagionale, anche se qualche lavoratore, generalmente
specializzato, proveniva anche
da altre regioni del regno, per l’esecuzione di alcuni lavori agricoli
come la mietitura o la potatura degli ulivi. Molto richiesti anche gli
scalpellini dal vibonese soprattutto da Serra San Bruno o gli stagnini che
si spostavano dal cosentino, soprattutto da Dipignano. Ancora
nei primi decenni del Novecento, assieme a un esodo massiccio esodo
soprattutto nei paesi oltre atlantico e, comunque, inferiore a quello di
altre zone della Calabria, si assisteva ancora a una interessante
immigrazione, soprattutto dopo l’apertura della Montecatini, uno
stabilimento chimico, e della Pertusola che produceva zinco elettrolitico,
due grandi aziende nate a Crotone a seguito della realizzazione degli
impianti idroelettrici silani e della opportunità di poter fruire di
energia elettrica a buon mercato. Qualche immigrato trovò lavoro anche
nelle miniere di zolfo del Comero, di Santa Maria del Comero e di Santa
Domenica nei territori di Melissa, Strangoli, Casabona e San Nicola
dell'Alto e nell’indotto nato attorno alle due grandi fabbriche
crotonesi e nel latifondo dei Barracco, nobile famiglia di origini
francesi radicatasi poi a Napoli e a Cosenza, imprenditori che
introdussero numerose innovazioni colturali e nella trasformazione dei
prodotti agricoli e, soprattutto, nuove macchine olearie, per la
lavorazione della liquirizia, e
per altre pratiche agricole il cui uso richiedeva addetti specializzati e
tecnici per la loro manutenzione. Molti di questi lavoratori provenivano
dalle altre regioni del Regno, soprattutto dalla Puglia e dalla
Sicilia, ma qualcuno perfino dalle lontane regioni del nord. La
presenza di questo modesto tessuto produttivo non riusciva, comunque a
offrire grandi opportunità di lavoro alle masse del Crotonese,
soprattutto dei paesi interni, ai margini del Marchesato che, dopo
l’unità d'Italia cominciarono a emigrare. A
partire dal 1891 la crescita sarà costante fino al quadriennio 1906
–1910, in aggiunta a quelli che si sono imbarcati per le Americhe,
emigreranno 12.788 lavoratori della nostra zona. A
emigrare erano soprattutto braccianti e contadini che finivano
generalmente a scavare carbone nelle miniere del West Virginia di qualche
altro stato americano come il giovane caccurese Francesco Loria e decine
di lavoratori di San Giovanni in Fiore che troveranno la morte nella
terribile sciagura mineraria di Monongah del dicembre el 1907 o le loro
mogli e figlie impiegate come domestiche nelle case dei facoltosi
americani.
L’EMIGRAZIONE
NEL SECONDO DOPO GUERRA
Nel secondo dopoguerra i
flussi migratori cominciarono a orientarsi verso alcuni paesi europei come
in Belgio, grazie all’accordo firmato dal governo De Gasperi (imparate
le lingue e andate all’estero) con quel paese
“Manodopera contro
carbone”, la Germania e la Francia. Negi
anni 60 centinaia di migliaia di calabresi cominciarono a partire anche
per la Svizzera e i nostri paesi, complice anche un comprensibile calo
della natalità, cominciarono inesorabilmente a spopolarsi. Negli
ultimi anni, infine, il problema è diventato ancora più grave: oggi,
infatti, non emigrano più braccianti e contadini o manodopera scarsamente
qualificata della quale avremmo in ogni caso un grande bisogno, ma
cervelli, giovani laureati, lavoratori altamente specializzati, ingegneri,
medici, ricercatori formati nelle nostre università on notevoli sacrifici
econimici e finanziai, un valore aggiunto del quale beneficiano altre
regioni italiane ed europee ma sul quale noi non potremo mai contare per
la rinascita della nostra terra. I NOSTRI PAESI MUOIONO
I
nostri paesi interni, sempre più spopolati, rischiano ormai di sparire
anche dalla carata geografica. Mettendo a confronto i dati Istat relativi
al 2001 e al 2023, risulta che in 22 anni il Crotonese, con l’inclusione
anche del comune di Sa Giovanni in Fiore, perde 10.024. abitanti. La
situazione appare drammatica soprattutto nei comuni di Carfizzi che passa
da 868 a 521 abitanti, Pallagorio, da 1617 a 947, Savelli, da 1577 a 1029,
ma anche Caccuri con -240 abitanti passando da 1777 a 1537. In
queste condizioni diventa sempre più difficile organizzare e garantire
servizi, anche di primissima necessità, a cominciare dall’anagrafe,
passando per quelli socio - sanitari, postali trasporti etc, per cui si
dovrebbe pensare seriamente a una possibile fusione tra paesi viciniori o
quantomeno a consorziare alcuni servizi , ma disperiamo che in un futuro,
almeno prossimo, si possa arrivare a una soluzione del genere stante le
incomprensibili resistenze di alcuni settori.
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