Qualche sera fa, in occasione del Premio Caccuri, ho comprato un libro
di Carlo Maria Lomartire dal titolo “La prima trattativa Stato –
Mafia.” Il contenuto aggiunge poco alla conoscenza dei molti misfatti,
anche se, scritto in forma romanzata, può magari raggiungere una più
vasta platea di lettori.
La trattativa
tra la marina americana e la mafia di New Jork prima e quella siciliana
poi, oggetto del racconto di Lomartire, non furono certamente i primi,
scellerati connubi tra istituzioni e criminalità organizzata. Senza
andare molto lontano nei millenni dove troviamo spesso esempi di patti
loschi tra il potere e l’anti stato, già nel 1838 Pietro Ulloa,
procuratore del re a Trapani, poi ultimo primo ministro di Francesco II,
descrive così la mafia: “Ci
sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi
partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza
da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune
sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di
proteggerlo, ora di conquistarlo, ora d’incolpare un innocente. Il
popolo è venuto a convenzione coi rei”. E’ inoltre
universalmente risaputo che lo sbarco di Garibaldi e delle sue camicie
rosse a Marsala fu possibile anche grazie al patto perverso tra lo
stesso Garibaldi, Rosolino Pilo e i latifondisti che misero a
disposizione della “causa” le bande di picciotti affiliate alle
varie famiglie, oltre all’appoggio sviscerato degli inglesi e al
tradimento di molti ufficiali borbonici,a
cominciare dal generale Landi. Solo così si spiega come un
migliaio scarso di guerriglieri male armati e digiuni di tattica
militare, guidati da un avventuriero che non era certo quel genio
militare descritto nei libri di storia se è vero com’è vero che
qualche tempo dopo il colonnello Pallavicini, con quattro schioppettate
lo ridusse a mal partito. Eppure il Pallavicini, Cialdini, Fanti e tutti
i generali piemontesi, non erano certo delle aquile come strateghi tanto
che per vincere l’unica vera guerra nella sua storia, l’esercito
italiano dovette licenziare i generali piemontesi e affidarsi al
napoletano Armando Diaz.
Il libro di Lomartire, come
dicevo, racconta del patto sotterraneo tra la marina americana e Lucky
Luciano, alias Salvatore Lucania, il più potente boss italo americano,
per far cessare, grazie all’intervanto dei mafiosi,
il flusso di informazioni tra i moli della “Grande mela” e i
nemici italo – tedeschi che aveva provocato l’affondamento di
parecchie navi mercantili cariche di armi e aiuti per gli Alleati in
Europa.
Nel 1943, gli
ufficiali americani che avevano sperimentato l’efficacia di tali forme
nefaste e inconfessabili di collaborazioni, alzarono il tiro ed estesero
“la ragione sociale” anche alla preparazione dello sbarco in
Sicilia. E qui viene introdotta una novità di non poco conto che
condizionerà pesantemente e continua a condizionare la storia politica,
economica e sociale della Sicilia e dell’intera Penisola. Gli
americani non si accontentano solo di poter sbarcare più o meno
indisturbati in Sicilia, varcare lo stretto e risalire la penisola
travolgendo la resistenza nazi -
fascista; no, a loro sta a cuore anche il futuro politico dell’Italia,
vogliono l’assicurazione che i comunisti, i dirigenti del partito
meglio organizzato e che da più di vent’anni si batte contro i nazi
– fascisti, non occupino posti di potere, non intralcino il processo
di colonizzazione che hanno in mente di avviare. Per questo bisogna già
preparare le persone giuste da piazzare nei comuni, nelle province,
nella burocrazia, nei gangli vitali dello stato; persone fidate,
controllabili, di sicura fede anticomunista. Non è importante la loro
fedina penale, la loro moralità, il loro senso civico, la loro onestà;
tutto fa brodo purché siano sicuramente anti comunisti. Così si
intensificano i rapporti con Lucky Luciano, ancora in carcere, ma per
poco (sarà scarcerato meno di tre anni dopo per i servizi resi), con
Francesco Castiglia, alias Frank Costello, nostro corregionale e con
altri potentissimi boss che reclutano per gli americani decine e decine
di mafiosi legalizzando di fatto Cosa nostra e affidandole settori
importanti dello stato. Un po’ quello
che fece il famigerato Liborio Romano prima dell’entrata di
Garibaldi a Napoli. Niente
di nuovo sotto il sole; la storia si ripete sempre uguale.
Dopo lo sbarco e la
liberazione i mafiosi infiltrati cominciano a portare avanti i compiti
loro affidati con zelo e spietatezza, anche perché gli interessi
americani e quelli degli agrari siciliani coincidevano alla perfezione;
entrambi avevano pessimi
motivi per odiare i comunisti e per raggiungere i loro scopi cercarono
alleanze anche con il movimento separatista e con Salvatore Giuliano che
a detta di Buscetta e di altri pentiti era in realtà un “uomo
d’onore.” Si gettavano
così i germi che avrebbero poi generato non solo l’orrenda strage di
Portella della Ginestra (11 morti e 27 feriti), ma anche la distruzione
delle sedi delle Leghe del PCI; l’assassinio di alcuni carabinieri tra
i quali il nostro Giovanni Dardani, di decine di sindacalisti, da
Salvatore Carnevale, ad Andrea Roia, a Placido Rizzotto, a Calogero
Cangialosa; i delitti eccellenti di Pio Latorre, segretario regionale
del PCI e Lenin Mancuso, del procuratore Pietro Scaglione, di Boris
Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Peppino Impastato, Giuseppe Fava.
Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Scopelliti, solo per citare
i più noti; le guerre di mafia che insanguinarono Palermo e la Sicilia
per decenni. Persino la morte di Aldo Moro.
Nella lotta contro
“i comunisti”, ovvero contro operai, braccianti, contadini che
chiedevano solo un po’ di terra incolta, spesso sottratta al demanio
da latifondisti ingordi, o migliori condizioni di lavoro, a sparare non
è solo la mafia, ma anche la polizia di Scelba in una lunga teoria di
stragi: Melissa, Torremaggiore, Montescaglioso, Celano, Modena che
avranno una coda anche nel 1968 con gli eccidi di
Avola e di Battipaglia.
Intanto la classe
dirigente insediata dagli americani si impadroniva delle istituzioni, si
spartiva gli appalti, avviava il sacco
edilizio di Palermo, della Sicilia, dell’intera Italia
meridionale e si infiltrava anche in quella centrale e del nord fino a
diventare una holding internazionale e sosteneva determinati partiti
politici. Un cancro che corrode
ancora oggi lo stato. Potenza dell’anti comunismo!
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