Connivenze potere politico – mafia: dal 1860 ai giorni nostri

                             
                                                                             

     Qualche sera fa, in occasione del Premio Caccuri, ho comprato un libro di Carlo Maria Lomartire dal titolo “La prima trattativa Stato – Mafia.” Il contenuto aggiunge poco alla conoscenza dei molti misfatti, anche se, scritto in forma romanzata, può magari raggiungere una più vasta platea di lettori.
    La trattativa tra la marina americana e la mafia di New Jork prima e quella siciliana poi, oggetto del racconto di Lomartire, non furono certamente i primi, scellerati connubi tra istituzioni e criminalità organizzata.  Senza andare molto lontano nei millenni dove troviamo spesso esempi di patti loschi tra il potere e l’anti stato, già nel 1838 Pietro Ulloa, procuratore del re a Trapani, poi ultimo primo ministro di Francesco II, descrive così la mafia: “Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di proteggerlo, ora di conquistarlo, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei”. E’ inoltre universalmente risaputo che lo sbarco di Garibaldi e delle sue camicie rosse a Marsala fu possibile anche grazie al patto perverso tra lo stesso Garibaldi, Rosolino Pilo e i latifondisti che misero a disposizione della “causa” le bande di picciotti affiliate alle varie famiglie, oltre all’appoggio sviscerato degli inglesi e al tradimento di molti ufficiali borbonici,a  cominciare dal generale Landi. Solo così si spiega come un migliaio scarso di guerriglieri male armati e digiuni di tattica militare, guidati da un avventuriero che non era certo quel genio militare descritto nei libri di storia se è vero com’è vero che qualche tempo dopo il colonnello Pallavicini, con quattro schioppettate lo ridusse a mal partito. Eppure il Pallavicini, Cialdini, Fanti e tutti i generali piemontesi, non erano certo delle aquile come strateghi  tanto che per vincere l’unica vera guerra nella sua storia, l’esercito italiano dovette licenziare i generali piemontesi e affidarsi al napoletano Armando Diaz.
  Il libro di Lomartire, come dicevo, racconta del patto sotterraneo tra la marina americana e Lucky Luciano, alias Salvatore Lucania, il più potente boss italo americano, per far cessare, grazie all’intervanto dei mafiosi,  il flusso di informazioni tra i moli della “Grande mela” e i nemici italo – tedeschi che aveva provocato l’affondamento di parecchie navi mercantili cariche di armi e aiuti per gli Alleati in Europa.
   Nel 1943, gli ufficiali americani che avevano sperimentato l’efficacia di tali forme nefaste e inconfessabili di collaborazioni, alzarono il tiro ed estesero “la ragione sociale” anche alla preparazione dello sbarco in Sicilia. E qui viene introdotta una novità di non poco conto che condizionerà pesantemente e continua a condizionare la storia politica, economica e sociale della Sicilia e dell’intera Penisola. Gli americani non si accontentano solo di poter sbarcare più o meno indisturbati in Sicilia, varcare lo stretto e risalire la penisola travolgendo la resistenza nazi  - fascista; no, a loro sta a cuore anche il futuro politico dell’Italia, vogliono l’assicurazione che i comunisti, i dirigenti del partito meglio organizzato e che da più di vent’anni si batte contro i nazi – fascisti, non occupino posti di potere, non intralcino il processo di colonizzazione che hanno in mente di avviare. Per questo bisogna già preparare le persone giuste da piazzare nei comuni, nelle province, nella burocrazia, nei gangli vitali dello stato; persone fidate, controllabili, di sicura fede anticomunista. Non è importante la loro fedina penale, la loro moralità, il loro senso civico, la loro onestà; tutto fa brodo purché siano sicuramente anti comunisti. Così si intensificano i rapporti con Lucky Luciano, ancora in carcere, ma per poco (sarà scarcerato meno di tre anni dopo per i servizi resi), con Francesco Castiglia, alias Frank Costello, nostro corregionale e con altri potentissimi boss che reclutano per gli americani decine e decine di mafiosi legalizzando di fatto Cosa nostra e affidandole settori importanti dello stato. Un po’ quello  che fece il famigerato Liborio Romano prima dell’entrata di Garibaldi a Napoli.  Niente di nuovo sotto il sole; la storia si ripete sempre uguale.
  Dopo lo sbarco e la liberazione i mafiosi infiltrati cominciano a portare avanti i compiti loro affidati con zelo e spietatezza, anche perché gli interessi americani e quelli degli agrari siciliani coincidevano alla perfezione; entrambi  avevano pessimi motivi per odiare i comunisti e per raggiungere i loro scopi cercarono alleanze anche con il movimento separatista e con Salvatore Giuliano che a detta di Buscetta e di altri pentiti era in realtà un “uomo d’onore.”  Si gettavano così i germi che avrebbero poi generato non solo l’orrenda strage di Portella della Ginestra (11 morti e 27 feriti), ma anche la distruzione delle sedi delle Leghe del PCI; l’assassinio di alcuni carabinieri tra i quali il nostro Giovanni Dardani, di decine di sindacalisti, da Salvatore Carnevale, ad Andrea Roia, a Placido Rizzotto, a Calogero Cangialosa; i delitti eccellenti di Pio Latorre, segretario regionale del PCI e Lenin Mancuso, del procuratore Pietro Scaglione, di Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Peppino Impastato, Giuseppe Fava. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Scopelliti, solo per citare i più noti; le guerre di mafia che insanguinarono Palermo e la Sicilia per decenni. Persino la morte di Aldo Moro.
   Nella lotta contro “i comunisti”, ovvero contro operai, braccianti, contadini che chiedevano solo un po’ di terra incolta, spesso sottratta al demanio da latifondisti ingordi, o migliori condizioni di lavoro, a sparare non è solo la mafia, ma anche la polizia di Scelba in una lunga teoria di stragi: Melissa, Torremaggiore, Montescaglioso, Celano, Modena che avranno una coda anche nel 1968 con gli eccidi di  Avola e di Battipaglia.
   Intanto la classe dirigente insediata dagli americani si impadroniva delle istituzioni, si spartiva gli appalti, avviava il sacco  edilizio di Palermo, della Sicilia, dell’intera Italia meridionale e si infiltrava anche in quella centrale e del nord fino a diventare una holding internazionale e sosteneva determinati partiti politici. Un cancro che  corrode ancora oggi lo stato. Potenza dell’anti comunismo!