Un libro di storia caccurese
                                                                          

 

A Guzzo, un operaio del suo frantoio

  Sarò lieto, assai lieto
Di riaverti al tappeto.
T’informo fin d’ora
Ho mandato a malora
Parecchi pretendenti
Noiosi e impazienti
Di fare le tue veci.
Saranno stati dieci
A chieder il tuo posto.
Ma io così ho risposto:
A Guzzo finanziere
Conviene tal mestiere.
          
U. Lafortuna

 

 

 

 

 

 

                                                                  La comunità caccurese di Buenos Aires

 

Questa foto scattata verso la fine degli anni '50 del secolo scorso in occasione del matrimonio di mia zia Cristina Marino con il signor Francesco Prete, mi dà l'opportunità di scrivere un pezzo di storia dell'emigrazione caccurese che vide centinaia e centinaia di compaesani lasciare il paese e imbarcarsi su piroscafi che solcavano l'Atlantico e il Pacifico e che li sbarcavano nelle Americhe o in Australia. Molti di loro tornarono in Italia solo per qualche visita fugace, altri non  fecero mai più ritorno e se ne persero addirittura le tracce. La piaga dell'emigrazione fu estesa e dolorosa e si può dire che non vi fu una sola famiglia caccurese che non ebbe almeno un componente emigrato in quei lontani mondi. Si calcola che dopo la conquista piemontese dall'Italia meridionale emigrarono, in pochi decenni, circa 20 milioni di persone. Singolare la vicenda della famiglia Marino; di otto figli, ben cinque, due maschi e tre femmine, emigrarono a Buenos Aires nel periodo compreso tra gli anni '30 e gli anni '50 e lì, a parte qualche breve visita a Caccuri di alcuni di loro per rivedere i vecchi genitori, rimasero per sempre. Mio padre, secondo dei maschi,  invece, emigrò solo negli anni '60, per quasi 6 anni, in Svizzera. In questa foto è ritratta buona parte della comunità caccurese nella capitale argentina nella metà del secolo scorso. Vi si riconoscono Cristina Marino (1) la sposa, Francesco Prete (2) lo sposo, Francesco Marino (3), fratello della sposa, Luisa Marino (4), altra sorella, Ercole Marino (5), altro fratello, Vincenza Marullo (6), moglie di Ercole, Giuseppe Lucente (7), la moglie  Antonia  Lacaria (8), Margherita Marino (9), moglie di Francesco, Omar Marino (10) suo figlio, Maria Marino (11), figlia di Ercole, Vincenzo Aiello (12), cugino dei Marino,  Giovanni Aiello (13), suo figlio, Rosario Iacometta (14), Francesca, moglie di Rocco Aiello (15), Caterina, moglie di Vincenzo Aiello (16), Mario Aiello, figlio di Vincenzo (17) e la sorella Chiarina (18). I Marino e gli Aiello erano cugini perché figli di due sorelle, Maria Scigliano, coniugata Marino e Chiara Scigliano, coniugata Aiello. Maria, Chiara e il fratello Luigi, erano figli di don Ercole Scigliano, cantoniere e maestro di scuola originario di Belvedere Spinello che aveva sposato donna Vincenza Lucente. A Buenos Aires emigrarono anche Francesco Guzzo, Libero Ventura, il mio padrino Leonardo Blaconà, Luigi Salvatore Sirianni e la moglie Rosalia Lacaria, mentre altri compaesani si stabilirono a Rosario. Altri ancora, come il professor Francesco Macrì, emigrarono in Uruguay. 

                                                                             Una visita del vescovo

                                 

Uno dei documenti più preziosi per la ricostruzione di un  fatto o di un periodo storico è sicuramente la fotografia. La foto, infatti, è la rappresentazione plastica di una situazione particolare, di un momento storico, perfino dello stato d'animo dei personaggi ritratti in quel particolare momento. Questa vecchia istantanea che risale probabilmente al periodo compreso tra precedente il 1926 e il 1933,  documenta una visita a Caccuri del vescovo accolto dai maggiorenti del paese. Vi compaiono il podestà del tempo, il cav. Raffaele Ambrosio  (alla destra del vescovo) e  don Pietro Scalise, originario di Castelsilano, parroco di Caccuri fino al 1946. Alla sinistra del vescovo il tenente colonnello dei cc. Enrico Del Bene che diventerà a sua volta podestà del paese nel 1938. Alle spalle dell'ufficiale caccurese notiamo un don Peppino Pitaro sturziano, già militante del Partito Popolare visibilmente a disagio tra le camice nere, il signor Domenico Ambrosio, figlio del cav. Raffaele, lo zio, il maestro elementare Umberto Ambrosio, il dott. Giuseppe Dima e il signor Salvatore Durante. La successiva visita di un vescovo a Caccuri ci sarà il 15 maggio del 1936 quando ad accoglierlo sarà il nuovo podestà, prof. Francesco Macrì. La foto sembrerebbe essere stata scattata all'interno del cortile del castello di Barracco. 

 

                                                                                                   Caccuri nel 1897


                                                       

   Ho avuto l'occasione di sottolineare più volte l'importanza storica della fotografia ed il valore storiografico della stessa. La foto che commento oggi ne è la dimostrazione più lampante. Si tratta di un bozzetto di un ignoto artista della fine dell' Ottocento  che raffigura il castello di Caccuri e la Destra visti, più o meno, dal luogo nel quale negli anni '30 del secolo successivo sarebbe poi sorto l'edificio della scuola elementare. Tale bozzetto, risalente al 1897,  fu pubblicato sul numero 138 del 1898 della rivista "Le cento città", edita dalla casa editrice milanese Sonzogno,  della quale chi scrive è in possesso di una rara copia acquistata tempo fa.   
  Questo prezioso bozzetto, oltre a mostrarci uno splendido castello a soli dodici anni dalla realizzazione del bastione merlato e della torre ad opera dell'architetto Adolfo Mastrigli su commissione di don Guglielmo e donna Giulia Barracco, proprietari dell'immobile, ci fornisce altri particolare molto interessanti che cercherò di illustrare qui di seguito. Intanto il castello, che odora ancora di calce fresca, ci appare diviso in due corpi. La parte più antica e con l'intonaco più scuro, a ridosso del vecchio abitato di Caccuri era la vecchia dimora dei Cavalcanti fatta edificare dal duca Antonio seniore nella seconda metà del XVII secolo. C'è poi  un secondo corpo,  che forma un angolo ottuso con l'antico palazzo ed è collegato al bastione sul quale si erge la torre. In questo secondo corpo  l'intonaco appare più chiaro forse a testimonianza del fatto che era stato probabilmente  ristrutturato solo due anni prima. L'imponente costruzione è protetta da quattro parafulmini le cui aste erano ancora visibili nei primi anni '60 del secolo scorso; tre sul tetto e una sulla torre.  Anche la vecchia caserma dei carabinieri di via Mergoli era protetta da un parafulmine costituito da un'asta centrale collegata a quattro funi di acciaio che scendevano lungo i quatto angoli del fabbricato infilandosi nel suolo. 
   Accanto all' asta  sulla torre ci pare anche di vedere sventolare una bandiera, forse un tricolore, vessillo impugnato senza tentennamenti dai Barracco dopo l'Unità d'Italia quando tre rampolli dell'illustre famiglia ottennero il laticlavio. Molto nitida anche la rampa sotto la quale era incassata la vecchia condotta idrica che alimentava il castello e l'abitato di Caccuri, in uso fino ai primi anni '80 del '900, rampa che servì anche per il trasporto dei materiali utilizzati per la realizzazione del bastione e della torre. Purtroppo non si nota la vecchia via Adua che all'epoca doveva essere solo un sentiero percorso a piedi dai  caccuresi e dai muli e dai cavalli del barone che venivano rinchiusi nello stallone (attuale casa Talarico). 
   Continuando l'osservazione di questo prezioso documento notiamo ben visibili i resti dell'antica cinta muraria nel tratto compreso tra il Murorotto e la Porta nuova. Nella parte più in basso si nota anche una specie di torre di avvistamento, probabilmente nel luogo dove la cinta faceva angolo. Interessanti anche i tetti delle case nella zona della Porta nuova, molto più inclinati di quelli attuali. 
Ai piedi del castello spicca una linea su pali che attraversa il paesaggio da est a ovest e che potrebbe erroneamente far pensare ad una linea elettrica. In realtà l'elettricità arrivò a Caccuri solo molti anni dopo. Quella in questione, invece, è, con molta probabilità,  la linea telegrafica Caccuri  Petila Policastro - San Giovanni in Fiore costruita nel 1877 dal Comune di Caccuri per rompere l'isolamento del paese e che entrò in funzione del mese di ottobre dello stesso anno. L'opera era stata deliberata dal consiglio comunale il 30 gennaio del 1877 sulla base di un finanziamento promesso dalla Deputazione provinciale e che arrivò, però, solo molti mesi dopo che l'opera era già stata realizzata. (1)  La direttrice della linea, così come ci lasciano intuire i tre pali che osserviamo nella foto, ci fa ritenere che la linea Petilia - San Giovanni passasse più o meno per la località Praci - Acquafredda dove, probabilmente, si collegava a quella di Caccuri. 
   Purtroppo questi luoghi fiabeschi  rimasero tali solo fino al 1930. Poi l'opera di deturpazione ebbe inizio con la costruzione dell'edificio scolastico che devastò parte del "Petraro", luogo nel quale era sorto nei secoli  uno dei più antichi insediamenti rupestri della Calabria, fra l'altro abitato fino alla fine del XIX secolo, e proseguì con altri scempi tra i quali la distruzione dello spuntone della Mezzaluna). Qualche anno fa, infine, a completare l'opera, fu realizzata una specie di siepe metallica che nelle intenzioni di chi l'ha realizzata dovrebbe servire a garantire la sicurezza dei passanti sulla via Adua, ma che, oltre a non garantire un bel nulla, deturpa orrendamente quello che era rimasto ancora da deturpare. 
   Intanto già verso la fine degli anni '40 del Novecento i Barracco cominciarono a disinteressarsi dell'antica dimora e dei possedimenti caccuresi che vendettero agli inizi degli anni '50, parte al comune, parte a privati. Don Guglielmo e Donna Giulia che erano molto legati, anche affettivamente, a Caccuri e alla loro dimora,  non ebbero figli,  così dopo la loro morte gli eredi vendettero non solo il castello, ma anche lo splendido parco annesso, il convento e tutte le altre proprietà caccuresi, ma chi subentrò nel loro possesso, a cominciare dal Comune,  non coltivò, evidentemente, il culto della bellezza estetica.  

                                 Giuseppe Marino

1) Vedi G. Marino, Caccuri e la sua storia, Abramo 1983, pagg. 31-32

 

 

 

 

Le famiglie Ambrosio - Lafortuna - De Franco

 

                                        

     Ringrazio la carissima e gentilissima amica professoressa Rita De Franco per avermi  fornito notizie utilissime su questa interessantissima foto che  possiamo considerare un vero e proprio libro di storia sulla  Caccuri degli inizi del XX secolo e su alcune delle sue più illustri famiglie.
    Forse per qualche fortuita circostanza, forse volutamente, molti membri di tre famiglie caccuresi imparentate tra loro, gli Ambrosio, i Lafortuna e i De Franco, con l'aggiunta di qualche amico, decisero di farsi fotografare in gruppo in via Salita Castello (detta allora Macchia del Castello) da qualche fotografo ambulante o, forse, da un giovane Vincenzo Fazio.
    La storia che ci racconta,  come ogni storia, è ambientata in un contesto che nell'istantanea risulta abbastanza  nitido. Molto probabilmente ( salvo improbabili errori) fu scattata davanti il portone d'ingresso del palazzo del notaio Domenico Ambrosio, vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, morto nel 1821, da questi poi passato in eredità al figlio  Francesco Antonio, anch'egli notaio,deceduto il 21 agosto del 1823, quindi al nipote Vincenzo, capo della Guardia Urbana e al pronipote Domenico (nella foto contrassegnato con il n. 6), all'epoca dello scatto vero e proprio patriarca delle tre famiglie. Se il posto è effettivamente quello, notiamo immediatamente che, mentre il portale è rimasto lo stesso,  il portone dell'epoca era molto più bello e signorile di quello attuale e che vi era una scala all'esterno che dalla strada consentiva di accedere al terrazzo (oggi di proprietà della famiglia Pirìto), successivamente rimossa. La facciata del palazzo era adornata da una pianta rampicante, probabilmente un glicine,  della quale non v'è più traccia.
  Don Domenico Ambrosio, classe 1857, troneggia al centro del gruppo. Altro personaggio molto interessante e importante, contrassegnato con il n. 7, è Giuseppe Lafortuna, cancelliere presso la Pretura di Savelli, padre del futuro poeta Umberto, il ragazzo accovacciato in prima fila contrassegnato con il n. 2. Giuseppe Lafortuna era cognato di Domenico Ambrosio, avendone sposato la sorella Maria Giuseppa. 
   Continuando a sfogliare le pagine di storia racchiuse in questa foto ci soffermiamo sul personaggio n. 12,  un giovanissimo don Ciccio De Franco, perito agrario, fratello del dottore Vincenzo (n. 11), medico chirurgo, farmacista e segretario comunale di Caccuri per molti anni. Vincenzo e Francesco De Franco erano figli di Antonio e nipoti di Vincenzo De Franco, capo della Guardia urbana e membro della Commissione per il restauro delle case danneggiate dal terremoto del 1832, nonché fratello di mons. Raffaele De Franco, arcivescovo di Catanzaro. Don Vincenzo sposò la signorina Luigia  Castelluccio e fece costruire il palazzo di viale Convento nel quale visse fino alla morte che lo colse nel 1961. Altro personaggio importante è l'avvocato Luigi Lafortuna, (n. 10 nella foto) che ha ai suoi lati due signori  che non siamo riusciti ad identificare . Davanti siede, invece, la moglie Peppina Ambrosio (n. 5). Ancora un Ambrosio (personaggio n. 13); si tratta del geometra, cavaliere  Raffaele, sindaco di Caccuri e podestà dello stesso paese. Don Raffaele redasse anche il piano regolatore che disegnò lo sviluppo urbanistico del rione Croci, abbandonato poi negli anni '50 e '60.  Infine la foto ci mostra un altro caccurese autorevole e famoso, l'ingegnere Stanislao Martucci, nato a Caccuri il 25 maggio del 1870, figlio del segretario comunale del tempo, Giovanni Martucci. 

                      Giuseppe Marino

Caro Peppino,
ho visto la foto pubblicata nel tuo sito ed ho letto che secondo te è stata scattata in via salita castello, secondo me, invece, il gruppo è collocato nel cortile interno del castello, quello della chiesa, più precisamente sul lato sinistro; te ne potrai rendere conto guardando attentamente il pavimento a lastroni, il balcone-finestra, che è quello della prima sala (lato Comune), il rampicante e la porta di sinistra, che allora era a vetri. Se quello che penso è vero, si potrebbe ipotizzare che fra personaggi della foto ci siano l'amministratore, fattori e guardacaccia del barone Baracco.
Ciao, Rita


Rita De Franco ci dà altre notizie sulla foto che dovrebbero far chiarezza sull'ubicazione. In effetti mi sembrava strano che si trattasse della facciata del palazzo Ambrosio, soprattutto per la presenza della scala. Molto fondata anche l'ipotesi che alcuni dei personaggi ritratti potessero essere amministratori del barone Barracco. Purtroppo a Caccuri non c'è più chi potrebbe soddisfare queste nostre curiosità, ma, magari in futuro, potremmo rinvenire altri documenti che, messi a confronto con quanto già in nostro possesso potrebbero squarciare altri veli sulla conoscenza del nostro passato.