I SECCHIARI DI GRAGNANA
           
Storie di poesia, anarchia e antifascismo
 
di Giuseppe Marino

                                  

   Oggi voglio proporvi una storia bellissima che vale la pena di essere raccontata e conosciuta, anche dai miei compagni di lotta e di partito e dai tanti amici meridionalisti perché le storie degli oppressi, dei combattenti per la libertà, contro lo sfruttamento, i soprusi, le colonizzazioni, le becere dittature, soprattutto le storie della gente umile, comune, quella che vive sulla propria pelle le  conseguenze della scelleratezza, della violenza, delle bramosie dei potenti sono tutte belle e interessanti e ci aiutano a capire la realtà. E’ una storia che ricorda moltissimo quella di Alcide Cervi e dei suoi sette figli, anche se meno conosciuta. Per questo credo sia valsa la pena scriverla. Buona lettura.

                                                                     STORIA DELLA FAMIGLIA SECCHIARI

   I Secchiari, antichi pastori e contadini vivevano nel paesino di Gragnana, una frazione di Carrara ai piedi delle alpi Apuane. Verso la fine del XIX secolo nell’area intorno a Carrara vi era una forte e combattiva presenza di lavoratori impegnati nella fiorente attività estrattiva del marmo. Ciò faceva si che personaggi del calibro di Michail Bakunin, Carlo Cafiero, Errico Malatesta, Pietro Gori, Luigi Galleani, Polo Schicchi, Luigi Molinari cercassero di essere a fianco dei lavoratori per istruirli e per organizzare le loro lotte per conquistare condizioni migliori di lavoro e di vita, favorendo la diffusione della dottrina anarchica. Intanto in Sicilia, negli anni che vanno dal 1891 al 1893 erano nati e andavano diffondendosi i Fasci siciliani, leghe di operai, braccianti, contadini, zolfatari di ispirazione socialista  che si unirono tra loro contro lo sfruttamento e l’arroganza del potere e per migliorare le loro misere condizioni di vita. Come  simbolo adottarono un fascio che rappresentava, appunto,  l’unità. Nel 1894 il governo Crispi dichiarò lo stato di emergenza per distruggere  il movimento, anche attraverso l’impiego di ingenti forze militari inviate appositamente nell’isola.

Gragnana 
    La violenta repressione del moto siciliano provocò la reazione degli anarchici della Lunigiana che promossero numerose manifestazioni di protesta e di solidarietà per i fratelli siciliani, Sui muri di Carrara fu affisso un manifesto che incitava gli operai a ribellarsi come avevano fatto i compagni siciliani, per distruggere i comuni, incendiare i catasti, rompere i telegrafi, impadronirsi delle officine e dei luoghi di lavoro. Contemporaneamente si formarono cortei di operari armati di roncole e bastoni       
   Il 15 gennaio una banda anarchica scesa da Fossola si scontrò con i soldati che uccisero un dimostrante, mentre il giorno dopo un corteo di circa 400 dimostranti venne affrontato a fucilate da una compagnia di soldati. Gli operai in lotta vennero falcidiati: otto caddero riversi  nella strada, molti altri  che si erano dati alla fuga sulle colline circostanti furono rastrellati lo stesso giorno e nei giorni successivi. Qualche settimana dopo molti anarchici vennero processati e condannati; altri schedati e perseguitati, soprattutto dopo l’attentato a Crispi.

                                                  PAOLO SECCHIARI ‘I V’ RGAI, IL CAPOSTIPITE

Paolo Secchiari

Paolo Secchiari, noto come ‘l Vrgai nacque a Gragnana, una frazione di Carrara a nord ovest della città il 6 settembre 1865 da Achille e Caterina Cricca, pastori del luogo, Sin da giovane si avvicinò agli anarchici e diventò un attivista del movimento spesso impegnato a diffondere manifesti, volantini e opuscoli del movimento. Nel 1894 fu uno degli organizzatori delle bande che dalle colline scesero su Carrara per partecipare alle rivolte contro il governo Crispi, per cui fu arrestato e condannato a 18 anni di prigione e tre anni di vigilanza speciale perché accusato di “associazione a delinquere e incitamento alla guerra civile” dal Tribunale militare di guerra. venne Liberato due anni dopo in virtù dell’amnistia del 1896. Assieme a lui vengono condannati anche il padre e i fratelli Silvio e Santino, detto Torello e  da allora considerato un pericoloso sovversivo da tenere sempre sotto stretto controllo.
   Dopo i fatti del ’94 per lui  inizia un vero calvario di persecuzioni, minacce, percosse  che si protrarranno per anni, soprattutto ad opera dei fascisti che agli inizi degli anni ’20 del Novecento si affacciarono violentemente sulla scena politica fino a instaurare la loro feroce dittatura.
     Nel 1921 gli squadristi assaltarono Gragana, devastarono il circolo anarchico, sequestrarono e pestarono a sangue il comunista Michele Pedroni e l’anarchico Primo Musetti, poi nel giorno di Natale uccisero Orfeo Frassinetti e minacciarono e percossero altri oppositori
Secchiari, a differenza di altri, non cede alla violenza e rimane fedele alle sue ide pagandone le conseguenze, Gli squadristi gli disperdono più volte il gregge, spargono il latte per terra e distruggono il formaggio che produce assieme ai figli, gli fanno mille violenze nel vano tentativo di costringerlo a passare dalla loro parte, ma il fiero pastore anarchico non cede.
    Il 25 novembre del 1923, quasi sessantenne, è costretto a subire una nuova, pesante aggressione da parte dei fascisti. Il pestaggio gli provoca la rottura del setto nasale e di alcuni denti. Assieme a lui viene aggredita anche la moglie Giselda Borghini. Nel corso di una nuova aggressione nella sua casa il 6 agosto 1925 entrambi i coniugi vengono duramente malmenati. Giselda muore il successivo il giorno 12 dello stesso mese per le conseguenze del pestaggio, ma le autorità attribuiscono ufficialmente la causa del decesso una “polmonite”. Negli anni seguenti è sempre oggetto di stretta vigilanza quasi fosse lui il criminale e non gli squadristi. Poi, finalmente, l’odiato regime cade e il vecchio combattente si spegnerà alcuni anni dopo, all’età di 85 anni il 15 novembre del 1950.



    Davvero dolorosa l’esistenza di questi patriarca che, come Alcide Cervi vide morire i figli Santino, Ceccardi, la moglie Giselda e assistette alle aggressioni alla figlia Silvia e alle persecuzioni nei confronti degli altri membri della sua famiglia. Silvia, nonostante l’infermità, continuò per tutta la vita la battaglia contro i fascisti assieme al padre e agli altri fratelli.

                                                         SILVIA SECCHIARI, LA VOCE DELLA LIBERAZIONE

   Silvia Caterina Berta, classe 1900,  era una donna poco istruita, autodidatta, fiera, ferma nelle idee anarchiche, coraggiosa e battagliera. Anche lei, come il padre, come i fratelli, divenne oggetto di persecuzioni, aggressioni e pestaggi ad opera dei “valorosi” ignobili squadristi. Nel corso di una di queste vigliacche bravate fu percossa in modo più violento del solito riportando lesioni gravissime che la lasciarono paralitica per il resto della sua esistenza.
    La violenza subita e lo stato di salute non fiaccarono la sua resistenza e non piegarono la sua ferrea volontà per cui la giovane paralitica divenne il simbolo della lotta al fascismo e un modello ideale per i compagni anarchici e antifascisti. Da allora visse nella certezza di vedere la fine dell’odiato regime e il trionfo della libertà, prima di spegnersi nel 1959, quattordici anni dopo la caduta dell’odiato regime.
   Fra le altre cose, la battagliera anarchica carrarina, in occasione della Liberazione.  scrisse una poesia dal titolo “La rovina del mondo” che divenne poi il “Canto della libertà” degli anarchici della Lunigiana e che trascrivo in parte qui di seguito:

E ora tutti i fascisti delle camicie nere
Li han messi per lutto alle nostre bandiere.
Questo sarà un ricordo per un’eternità
Bandiera rossa e nera sempre trionferà

Tutti quei misfatti e quella barbarie
Specie che avete fatto alla famiglia mia
Omicidi, botte incendio e, rovinata me,
attaccando dal ventuno fino al quarantatrè.

Poi c’è quel delinquente del nominato
Che il ventitré settembre la casa ci ha incendiato
Assieme ad altri fascisti, lo posso riferire,
mentre le mie sorelle ci stavano a dormire.

  Se vi dovessi dire il passato e la passione
Non basterebbe la carta che stampa la Nazione.
O figli di carogne e nati delinquenti,
dopo ventitré anni sono rinati i tempi.

  Credevano che il fascio fosse in eternità
E invece è un passaggio ch’è venuto e se ne va
Non ci sarà una testa che vi perdonerà
Le tante malefatte fino all’eternità.
[1]

 

                                                                        Dante  Luigi  Secchiari

   Altro figlio di Paolo, nacque a Carrara il 4 luglio del 1890. Fu molto attivo negli scontri e nelle manifestazioni del Biennio rosso (1919-1920) un periodo di intense lotte dei lavoratori, operai e contadini, che interesso tutta l’Europa e che in Italia furono particolarmente aspre anche per lo scontro con gli squadristi fascisti, una forza politica reazionaria che si andava organizzando per conquistare il potere e impedire la conquista di migliori salari e migliori condizioni di vita dei lavoratori.
   Il 12 settembre del 1921 fu arrestato per resistenza alle forze dell’ordine e minaccia a mano armata nel corso di uno scontro con i fascisti e condannato a 2 mesi e 15 giorni di carcere.  Due anni dopo, nel novembre del 1923 Dante e i suoi fratelli  Santino e Ceccardi, feriscono con tre coltellate uno dei fascisti che avevano partecipato all’assalto all’abitazione dei genitori e al violento pestaggio dei due anziani che avrebbe provocato la morte della madre.  Due giorni dopo vennero intercettati dai carabinieri che aprirono il fuco sul gruppo.  Ceccardi fu colpito a morte, mentre Dante e il fratello Santino riuscirono a sganciarsi. Santino sarà ucciso poi qualche giorno dopo probabilmente grazie alla soffiata di una spia, mentre Dante venne catturato, processato insieme alla sorella Assunta e alla sua compagna Pietrina Paolucci e condannato a 3 anni,4 mesi e 12 giorni di reclusione. Anch’egli sopravvisse al fascismo spegnendosi  a Carrara il 7 aprile del 1958.

                                                                SANTINO SECCHIARI

   Santino era un altro dei fratelli Secchiari, “i fratelli cervi di Gragnana”, fgiglio di Paolo e di Giselda Borghini.
    Il 25 novembre 1923 tornando dai pascoli al paesino, apprese del grave pestaggio dei genitori e delle gravi condizioni della madre che morirà qualche giorno dopo per le conseguenze della vigliacca bravata fascista. Il dolore e la rabbia incontenibile lo spinsero a entrare nella casa di un caporione fascista che aveva partecipato alla spedizione punitiva e ad accoltellarlo nel suo letto, senza riuscire tuttavia ad ucciderlo. Per questo motivo, assieme ai fratelli Dante Luigi, Ceccari e allo zio Francesco si diede alla latitanza.
    Il rifugio del giovane è una casa nei pressi della Pieve di Viano nel comune di Fivizzano, ma una spia viene a conoscenza della cosa e la riferisce alle forze dell’ordine che  nella notte tra il 27 e il 28 novembre circondano l’abitazione e feriscono gravemente l’uomo che viene poi lasciato morire dissanguato. 

                                                       
ARTURO MICHELE ANDREA SECCHIARI

    Nacque a Gragnana, frazione di Carrara il 27 aprile del 1903. Anche lui, come i fratelli e i genitori abbraccia le idee anarchiche  e subisce minacce, aggressioni, persecuzioni da parte dei fascisti, compreso il carcere e la schedatura come potenziale sovversivo.
   Dopo la caduta del fascismo entra a far parte della Formazione Elio, una brigata partigiana che opera nella zona di Cararra e che prende il nome dal suo primo comandate, Elio Wochiecevich, un  che partecipò alla prima liberazione dei Carrara tra l’8 e il 13 novembre del 1944.
   Arturo si spense nel 1964


                                                              
ACHILLE SILVANO SECCHIARI


    Figlio di Arturo Michele, fu sempre federe all’ideale anarchico come il padre e come il nonno e gli zii. Pastore, prima sulle alpi apuane, poi nella piana di Sarzana, seppe dare un notevole impulso alla sua azienda conquistandosi, fra l’altro, l’interesse e l’attenzione di prestigiose riviste gastronomiche.[2]
    Tra i tanti interessi del giovane vi è anche quello per la canzone, passione che lo spinse a scriverne tantissime che, seppur  non furono mai incise, erano comunque conosciute e cantate dai carrarini e dagli a mici anarchici. Una delle più belle è senz’altro “La strage di Milano”, conosciuta anche come la “Ballata per la morte di Pinelli”, anche questa sulla melodia de “Il feroce monarchico Bava” come quella più nota dei giovani del Circolo anarchico “Gaetano Bresci” di Mantova,  meno diretta e polemica di quella che i ragazzi del ’68 e dintorni cantarono per anni, ma non certo meno efficace e ragionata, una ballata che si fa apprezzare per la rabbia e il dolore per la strage e per la morte del ferroviere anarchico, ma anche per la lucidità analisi dei fatti, per l’interpretazione degli stessi e l’individuazione della vera matrice degli attentati  e per ilo rinnovato atto di fede nell’anarchia che “non è confusione, come tanti la voglion chiamar”, ma rivoluzione, lotta contro la tirannia. Una canzone bella e struggente tradotta, fra l’altro, anche in francese.
Credo valga davvero la pena leggerla, sia nella versione italiana, che in quella francese  al link  https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=2305
    Silvano si è spento il 22 maggio del 1999.


                                             DANTE SECCHIARI, ALIAS FRANCESCO DETTO KANARON

      Dante Secchiari detto Francesco

    Anche la storia di quest’uomo è una storia esemplare ed emblematica della stupidità e della violenza del potere. Dante, conosciuto anche come Francesco, era figlio di Dante Luigi Secchiari, detto Martello, figlio di Paolo e fratello di Silvia.
   Nacque il 7 agosto del 1912 e si sposò giovanissimo. Nel 1934 venne sorpreso dai militi fascisti mentre è in compagnia di due amici che, in preda ai fumi dell’alcool, cantavano “Addio Lugano bella”, la celebre canzone di Pietro Gori. Dante, probabilmente, si trovava a passare per caso, ma trattandosi del nipote de ‘l Vgrai, per gli aguzzini in camicia nera doveva essere punito per il reato gravissimo commesso cantando, o meglio, sentendo cantare da due ubriachi la canzone rivoluzionaria di uno dei padri dell’Anarchia. Fu così che fu condannato a tre anni di confino e spedito in Calabria, a Siderno, a oltre mille chilometri di distanza dal suo paesino.[3] Le braccia di Dante sono indispensabili per il mantenimento della sua famigliola, della moglie Maria Musetti e del figlioletto Michele, nato solo otto mesi prima per cui la donna, con in braccio il suo bambino, è costretta a seguire il marito nell’ “esilio calabrese” e Michele Secchiari diventa il più giovane confinato d’Italia quasi fosse il figlio di un brigante duo siciliano alla macchia e perciò accusato di essere manutengolo del padre come accadde nell’ex regno del Sud dopo la “liberazione” garibaldino - savoiarda.
   Come spesso succede in questi casi, nonostante i rischi che si corrono mettendosi contro i biechi e ottusi pasdaran del Duce, scatta la solidarietà dei paesani nei confronti del confinato e della sua famiglia che cercano di alleviare le loro pene. Dante, fra l’altro, è un bravissimo scalpellino e lavora alla costruzione dei marciapiedi del paesino del reggino facendosi apprezzare anche come “mastro.”
     Finiti i tre anni, il confinato lui e la sua famiglia, in un misto di gioia per la fine della pena e malinconia per la separazione dai nuovo amici sidernesi, fanno ritorno a Gragnana, ma la gioia è di breve durata perché, nonostante sia ammogliato con prole,  viene arruolato in fanteria per due anni. Non fa in tempo a tornare a casa che litiga col segretario del dopolavoro di Gragnana per cui viene nuovamente arrestato e spedito al confino e, forse perché secondo i gerarchi in  Calabria si era trovato bene, questa volta lo spediscono a Locri per poi trasferirlo l’anno dopo a Satriano, nella provincia di Catanzaro.
    Al termine di questo secondo periodo di “villeggiatura” com’ebbe a definirla qualche anno fa un noto politico italiano, tornò a Gragnana, ma dopo qualche giorno si trasferì ad Aosta per motivi di lavoro. Quattro anni dopo, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, fu richiamato alle armi e inviato in Africa. Catturato a Tobruk dagli inglesi, viene inviato, fino al 1947, in un campo di prigionia a Bombay prima di rientrare definitivamente al suo paese per riprendere l’attività politica nel movimento anarchico.

 

                                           MICHELE SECCHIARI, IL PIU’ GIOVANE CONFINATO D’ITALIA
                                                    Una vita al servizio degli invalidi del lavoro

 
   Michele Secchiari, pronipote de ‘I iVgrai e figlio di Dante, alias Francesco, detto Kanaron, è nato a Carrara il 31 marzo del 1933. L’anno successivo, a 8 mesi di età, diventa, probabilmente, il “più giovane confinato politico italiano.” Il padre, infatti sorpreso dai fascisti in compagnia di due amici che cantano “Addio Lugano bella” viene confinato per tre anni a Siderno (RC) e la madre, Maria Musetti, che  non vuole e non può lasciare solo il marito, anche perché a Carrara le sarebbe difficile trovare i mezzi per il sostentamento suo e del bambino, segue il marito nell’esilio calabrese con in braccio il suo bambino.
    Michele crescendo, come il padre, come i nonno e il bisnonno, si avvicina alle idee anarchiche divenendo, fra l’altro, un dotto cultore dello pera di Pietro Gori, l’avvocato, politico, poeta messinese di nascita, ma di origini toscane che fu uno dei più famosi anarchici del periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo, autore, fra l’altro delle due famosissime canzoni Addio Lugano bella e La ballata di Sante Caserio.
   Negli anni ’50 Michele trova lavoro come cavatore di marmo, ma il 24 ottobre del 1959, presso la cava Calocara, a ridosso dell’abitato di Carrara, rimane vittima di un grave incidente sul lavoro che gli costerà l’amputazione di una gamba. Da quel giorno dedicherà la sua esistenza ai problemi degli invalidi sul lavoro e alla sicurezza sul lavoro e alla prevenzione degli infortuni ricoprendo degnamente la carica di presidente provinciale della Sezione Anmil di Massa Carrara e distinguendosi per la  grande competenza in materia, l’impegno e la dedizione alla causa degli invalidi e delle loro famiglie tanto da essere riconfermato più volte. Il suo mandato durerà, infatti, 25 anni, dal 1988 al 2013.

Michele Secchiari

 Nello stesso periodo ricopre più volte anche la carica di consigliere nazionale.  Gli anni della sua presidenza sono caratterizzati da un consistente proselitismo, dalla crescita di prestigio della Sezione, anche perché il Presidente cura i rapporti con le istituzioni, le imprese, le cooperative, le autorità politiche, militari e religiose che gli saranno perciò sempre molto vicini. Michele riesce così, in collaborazione con enti locali e un comitato appositamente creato, a vedere realizzato il sogno della costruzione di un imponente monumento alle vittime degli infortuni sul lavoro, quello della creazione di un periodico della sede, “La nostra voce” del quale è  ancora oggi direttore, quello dell’acquisto della sede ANMIL e l’istituzione del contributo agli studenti figli di caduti sul lavoro. Oggi Michele, pur non ricoprendo più cariche in seno all’associazione, è sempre vicino ai problemi degli invalidi e sempre appassionato del suo maestro, Pietro Gori.




















Michele Secchiari e Giuseppe Marino

    
Sono molto felice e onorato di conoscere ed essere fraterno amico di questo “combattente”, di quest’ uomo che, nonostante le non facili condizioni di vita nelle un uomo che subisce un infortunio come il suo è costretto a vivere, ha dedicato e dedica ancora la sua esistenza ai problemi della categoria in modo disinteressato, generosamente e sempre col suo sorriso solare.

 


[1] Rosa Gallieni Pellegrini, profili e voci di donne a Carrara tra l'Otto e il Novecento, Comune di Carrara 1999

[2] Corinna Secchiari dal sito http://www.antiwarsongs.org/artista.php?id=1026&lang=it&rif=1

[3] Collezioni digitali Biblioteca Franco Serantini, Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Casellario politico centrale, ad nome, Dante Secchiari