Oggi voglio proporvi una storia bellissima che vale la pena di
essere raccontata e conosciuta, anche dai miei compagni di lotta e di
partito e dai tanti amici meridionalisti perché le storie degli
oppressi, dei combattenti per la libertà, contro lo sfruttamento, i
soprusi, le colonizzazioni, le becere dittature, soprattutto le storie
della gente umile, comune, quella che vive sulla propria pelle le
conseguenze della scelleratezza, della violenza, delle bramosie
dei potenti sono tutte belle e interessanti e ci aiutano a capire la
realtà. E’ una storia che ricorda moltissimo quella di Alcide Cervi e
dei suoi sette figli, anche se meno conosciuta. Per questo credo sia valsa
la pena scriverla. Buona lettura.
STORIA
DELLA FAMIGLIA SECCHIARI
I Secchiari, antichi pastori e contadini vivevano nel paesino di
Gragnana, una frazione di Carrara ai piedi delle alpi Apuane. Verso la
fine del XIX secolo nell’area intorno a Carrara vi era una forte e
combattiva presenza di lavoratori impegnati nella fiorente attività
estrattiva del marmo. Ciò faceva si che personaggi del calibro di
Michail Bakunin, Carlo
Cafiero, Errico
Malatesta, Pietro
Gori, Luigi
Galleani, Polo
Schicchi,
Luigi Molinari cercassero di essere a fianco dei lavoratori per
istruirli e per organizzare le loro lotte per conquistare condizioni
migliori di lavoro e di vita, favorendo la diffusione della dottrina
anarchica. Intanto in Sicilia,
negli anni che vanno dal 1891 al 1893 erano nati e andavano
diffondendosi i Fasci siciliani, leghe di operai, braccianti, contadini,
zolfatari di ispirazione socialista
che si unirono tra loro contro lo sfruttamento e l’arroganza
del potere e per migliorare le loro misere condizioni di vita. Come
simbolo adottarono un fascio che rappresentava, appunto, l’unità. Nel 1894 il governo
Crispi dichiarò lo stato di emergenza per distruggere il
movimento, anche attraverso l’impiego di ingenti forze militari
inviate appositamente nell’isola.
Gragnana
La violenta
repressione del moto siciliano provocò la reazione degli anarchici
della Lunigiana che promossero numerose manifestazioni di protesta e di
solidarietà per i fratelli siciliani, Sui muri di Carrara fu affisso un
manifesto che incitava gli operai a ribellarsi come avevano fatto i
compagni siciliani, per distruggere i comuni, incendiare i catasti,
rompere i telegrafi, impadronirsi delle officine e dei luoghi di lavoro.
Contemporaneamente si formarono cortei di operari armati di roncole e
bastoni
Il 15 gennaio una
banda anarchica scesa da Fossola si scontrò con i soldati che uccisero
un dimostrante, mentre il giorno dopo un corteo di circa 400 dimostranti
venne affrontato a fucilate da una compagnia di soldati. Gli operai in
lotta vennero falcidiati: otto caddero riversi
nella strada, molti altri che
si erano dati alla fuga sulle colline circostanti furono rastrellati lo
stesso giorno e nei giorni successivi. Qualche settimana dopo molti
anarchici vennero processati e condannati; altri schedati e
perseguitati, soprattutto dopo l’attentato a Crispi.
PAOLO
SECCHIARI ‘I V’ RGAI, IL CAPOSTIPITE
Paolo
Secchiari
Paolo
Secchiari, noto come ‘l Vrgai nacque a Gragnana, una frazione di
Carrara a nord ovest della città il 6
settembre 1865 da Achille e Caterina Cricca, pastori del luogo, Sin da
giovane si avvicinò agli anarchici e diventò un attivista del
movimento spesso impegnato a diffondere manifesti, volantini e opuscoli
del movimento. Nel 1894 fu uno degli organizzatori delle bande che dalle
colline scesero su Carrara per partecipare alle rivolte contro il
governo Crispi, per cui fu arrestato e condannato a 18 anni di prigione
e tre anni di vigilanza speciale perché accusato di “associazione a
delinquere e incitamento alla guerra civile” dal Tribunale militare di
guerra. venne Liberato due anni dopo in virtù dell’amnistia del 1896.
Assieme a lui vengono condannati anche il padre e i fratelli Silvio e
Santino, detto Torello e da
allora considerato un pericoloso sovversivo da tenere sempre sotto
stretto controllo.
Dopo
i fatti del ’94 per lui inizia
un vero calvario di persecuzioni, minacce, percosse che
si protrarranno per anni, soprattutto ad opera dei fascisti che agli
inizi degli anni ’20 del Novecento si affacciarono violentemente sulla
scena politica fino a instaurare la loro feroce dittatura.
Nel 1921
gli squadristi assaltarono Gragana, devastarono il circolo anarchico,
sequestrarono e pestarono a sangue il comunista Michele Pedroni e
l’anarchico Primo Musetti, poi nel giorno di Natale uccisero Orfeo
Frassinetti e minacciarono e percossero altri oppositori Secchiari,
a differenza di altri, non cede alla violenza e rimane fedele alle sue
ide pagandone le conseguenze, Gli squadristi gli disperdono più volte
il gregge, spargono il latte per terra e distruggono il formaggio che
produce assieme ai figli, gli fanno mille violenze nel vano tentativo di
costringerlo a passare dalla loro parte, ma il fiero pastore anarchico
non cede.
Il
25 novembre del 1923, quasi sessantenne, è costretto a subire una
nuova, pesante aggressione da parte dei fascisti. Il pestaggio gli
provoca la rottura del setto nasale e di alcuni denti. Assieme a lui
viene aggredita anche
la moglie Giselda Borghini. Nel corso di una nuova aggressione nella sua
casa il 6 agosto 1925 entrambi i coniugi vengono duramente malmenati.
Giselda muore il successivo il giorno 12 dello stesso mese per le
conseguenze del pestaggio, ma le autorità attribuiscono ufficialmente
la causa del decesso una “polmonite”. Negli anni seguenti è sempre
oggetto di stretta vigilanza quasi fosse lui il criminale e non gli
squadristi. Poi, finalmente, l’odiato regime cade e il vecchio
combattente si spegnerà alcuni anni dopo, all’età di 85 anni il 15
novembre del 1950.
Davvero
dolorosa l’esistenza di questi patriarca che, come Alcide Cervi vide
morire i figli Santino, Ceccardi, la moglie Giselda e assistette alle
aggressioni alla figlia Silvia e alle persecuzioni nei confronti degli
altri membri della sua famiglia. Silvia, nonostante l’infermità,
continuò per tutta la vita la battaglia contro i fascisti assieme al
padre e agli altri fratelli.
SILVIA
SECCHIARI, LA VOCE DELLA LIBERAZIONE
Silvia Caterina Berta, classe 1900, era
una donna poco istruita, autodidatta, fiera, ferma nelle idee
anarchiche, coraggiosa e battagliera. Anche lei, come il padre, come i
fratelli, divenne oggetto di persecuzioni, aggressioni e pestaggi ad
opera dei “valorosi” ignobili squadristi. Nel corso di una di queste
vigliacche bravate fu percossa in modo più violento del solito
riportando lesioni gravissime che la lasciarono paralitica per il resto
della sua esistenza.
La
violenza subita e lo stato di salute non fiaccarono la sua resistenza e
non piegarono la sua ferrea volontà per cui la giovane paralitica
divenne il simbolo della lotta al fascismo e un modello ideale per i
compagni anarchici e antifascisti. Da allora visse nella certezza di
vedere la fine dell’odiato regime e il trionfo della libertà, prima
di spegnersi nel 1959, quattordici anni dopo la caduta dell’odiato
regime.
Fra
le altre cose, la battagliera anarchica carrarina, in occasione della
Liberazione. scrisse una
poesia dal titolo “La rovina del mondo” che divenne poi il “Canto
della libertà” degli anarchici della Lunigiana e che trascrivo in
parte qui di seguito:
E
ora tutti i fascisti delle camicie nere
Li han messi per lutto alle nostre bandiere.
Questo sarà un ricordo per un’eternità
Bandiera rossa e nera sempre trionferà
Tutti quei
misfatti e quella barbarie
Specie che avete fatto alla famiglia mia
Omicidi, botte incendio e, rovinata me,
attaccando dal
ventuno fino al quarantatrè.
Poi
c’è quel delinquente del nominato
Che il ventitré settembre la casa ci ha incendiato
Assieme ad altri fascisti, lo posso riferire,
mentre le mie sorelle ci stavano a dormire.
Se vi dovessi
dire il passato e la passione
Non basterebbe la carta che stampa la Nazione.
O figli di carogne e nati delinquenti,
dopo ventitré anni sono rinati i tempi.
Credevano che il fascio fosse in eternità
E invece è un passaggio ch’è venuto e se ne va
Non ci sarà una testa che vi perdonerà
Le tante malefatte fino all’eternità.
Dante
Luigi Secchiari
Altro figlio di Paolo, nacque a Carrara il 4 luglio del 1890. Fu
molto attivo negli scontri e nelle manifestazioni del Biennio rosso
(1919-1920) un periodo di intense lotte dei lavoratori, operai e
contadini, che interesso tutta l’Europa e che in Italia furono
particolarmente aspre anche per lo scontro con gli squadristi fascisti,
una forza politica reazionaria che si andava organizzando per
conquistare il potere e impedire la conquista di migliori salari e
migliori condizioni di vita dei lavoratori.
Il 12 settembre del
1921 fu arrestato per resistenza alle forze dell’ordine e minaccia a
mano armata nel corso di uno scontro con i fascisti e condannato a 2
mesi e 15 giorni di carcere. Due
anni dopo, nel novembre del 1923 Dante e i suoi fratelli Santino
e Ceccardi,
feriscono con tre coltellate uno dei fascisti che avevano partecipato
all’assalto all’abitazione dei genitori e al violento pestaggio dei
due anziani che avrebbe provocato la morte della madre.
Due giorni dopo vennero intercettati dai carabinieri che aprirono
il fuco sul gruppo. Ceccardi
fu colpito a morte, mentre Dante e il fratello Santino riuscirono a
sganciarsi. Santino sarà ucciso poi qualche giorno dopo probabilmente
grazie alla soffiata di una spia, mentre Dante venne catturato,
processato insieme alla sorella Assunta e alla sua compagna Pietrina
Paolucci e condannato a 3 anni,4 mesi e 12 giorni di reclusione.
Anch’egli sopravvisse al fascismo spegnendosi
a Carrara il 7 aprile del 1958.
SANTINO
SECCHIARI
Santino era un altro dei fratelli Secchiari, “i fratelli cervi
di Gragnana”, fgiglio di Paolo e di Giselda Borghini.
Il 25 novembre
1923 tornando dai pascoli al paesino, apprese del grave pestaggio dei
genitori e delle gravi condizioni della madre che morirà qualche giorno
dopo per le conseguenze della vigliacca bravata fascista. Il dolore e la
rabbia incontenibile lo spinsero a entrare nella casa di un caporione
fascista che aveva partecipato alla spedizione punitiva e ad
accoltellarlo nel suo letto, senza riuscire tuttavia ad ucciderlo. Per
questo motivo, assieme ai fratelli Dante Luigi, Ceccari e allo zio
Francesco si diede alla latitanza.
Il rifugio del
giovane è una casa nei pressi della Pieve di Viano nel comune di
Fivizzano, ma una spia viene a conoscenza della cosa e la riferisce alle
forze dell’ordine che nella
notte tra il 27 e il 28 novembre circondano l’abitazione e feriscono
gravemente l’uomo che viene poi lasciato morire dissanguato.
ARTURO
MICHELE ANDREA SECCHIARI
Nacque a
Gragnana, frazione di Carrara il 27 aprile del 1903. Anche lui, come i
fratelli e i genitori abbraccia le idee anarchiche
e subisce minacce, aggressioni, persecuzioni da parte dei
fascisti, compreso il carcere e la schedatura come potenziale
sovversivo.
Dopo
la caduta del fascismo entra a far parte della Formazione Elio, una
brigata partigiana che opera nella zona di Cararra e che prende il nome
dal suo primo comandate, Elio Wochiecevich, un
che partecipò alla prima liberazione dei Carrara tra l’8 e il
13 novembre del 1944.
Arturo si spense nel
1964
ACHILLE SILVANO
SECCHIARI
Figlio di
Arturo Michele, fu sempre federe all’ideale anarchico come il padre e
come il nonno e gli zii. Pastore, prima sulle alpi apuane, poi nella
piana di Sarzana, seppe dare un notevole impulso alla sua azienda
conquistandosi, fra l’altro, l’interesse e l’attenzione di
prestigiose riviste gastronomiche.
Tra
i tanti interessi del giovane vi è anche quello per la canzone,
passione che lo spinse a scriverne tantissime che, seppur
non furono mai incise, erano comunque conosciute e cantate dai
carrarini e dagli a mici anarchici. Una delle più belle è senz’altro
“La strage di Milano”, conosciuta anche come la “Ballata per la
morte di Pinelli”, anche questa sulla melodia de “Il feroce
monarchico Bava” come quella più nota dei giovani del Circolo
anarchico “Gaetano Bresci” di Mantova,
meno diretta e polemica di quella che i ragazzi del ’68 e
dintorni cantarono per anni, ma non certo meno efficace e ragionata, una
ballata che si fa apprezzare per la rabbia e il dolore per la strage e
per la morte del ferroviere anarchico, ma anche per la lucidità analisi
dei fatti, per l’interpretazione degli stessi e l’individuazione
della vera matrice degli attentati e
per ilo rinnovato atto di fede nell’anarchia che “non è confusione,
come tanti la voglion chiamar”, ma rivoluzione, lotta contro la
tirannia. Una canzone bella e struggente tradotta, fra l’altro, anche
in francese.
Credo valga davvero la pena leggerla, sia nella versione italiana, che
in quella francese al link https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=2305
Silvano
si è spento il 22 maggio del 1999.
DANTE
SECCHIARI, ALIAS FRANCESCO DETTO KANARON
Dante
Secchiari detto Francesco
Anche la storia di quest’uomo è una storia esemplare ed
emblematica della stupidità e della violenza del potere. Dante,
conosciuto anche come Francesco, era figlio di Dante Luigi Secchiari,
detto Martello, figlio di Paolo e fratello di Silvia.
Nacque il 7 agosto del 1912 e si sposò giovanissimo. Nel 1934
venne sorpreso dai militi fascisti mentre è in compagnia di due amici
che, in preda ai fumi dell’alcool, cantavano “Addio Lugano bella”,
la celebre canzone di Pietro Gori. Dante, probabilmente, si trovava a
passare per caso, ma trattandosi del nipote de ‘l Vgrai, per gli
aguzzini in camicia nera doveva essere punito per il reato gravissimo
commesso cantando, o meglio, sentendo cantare da due ubriachi la canzone
rivoluzionaria di uno dei padri dell’Anarchia. Fu così che fu
condannato a tre anni di confino e spedito in Calabria, a Siderno, a oltre
mille chilometri di distanza dal suo paesino.
Le braccia di Dante sono indispensabili per il mantenimento della sua
famigliola, della moglie Maria Musetti e del figlioletto Michele, nato
solo otto mesi prima per cui la donna, con in braccio il suo bambino, è
costretta a seguire il marito nell’ “esilio calabrese” e Michele
Secchiari diventa il più giovane confinato d’Italia quasi fosse il
figlio di un brigante duo siciliano alla macchia e perciò accusato di
essere manutengolo del padre come accadde nell’ex regno del Sud dopo la
“liberazione” garibaldino - savoiarda.
Come
spesso succede in questi casi, nonostante i rischi che si corrono
mettendosi contro i biechi e ottusi pasdaran del Duce, scatta la
solidarietà dei paesani nei confronti del confinato e della sua famiglia
che cercano di alleviare le loro pene. Dante, fra l’altro, è un
bravissimo scalpellino e lavora alla costruzione dei marciapiedi del
paesino del reggino facendosi apprezzare anche come “mastro.”
Finiti
i tre anni, il confinato lui e la sua famiglia, in un misto di gioia per
la fine della pena e malinconia per la separazione dai nuovo amici
sidernesi, fanno ritorno a Gragnana, ma la gioia è di breve durata perché,
nonostante sia ammogliato con prole, viene
arruolato in fanteria per due anni. Non fa in tempo a tornare a casa che
litiga col segretario del dopolavoro di Gragnana per cui viene nuovamente
arrestato e spedito al confino e, forse perché secondo i gerarchi in
Calabria si era trovato bene, questa volta lo spediscono a Locri
per poi trasferirlo l’anno dopo a Satriano, nella provincia di
Catanzaro.
Al
termine di questo secondo periodo di “villeggiatura” com’ebbe a
definirla qualche anno fa un noto politico italiano, tornò a Gragnana, ma
dopo qualche giorno si trasferì ad Aosta per motivi di lavoro. Quattro
anni dopo, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, fu richiamato alle
armi e inviato in Africa. Catturato a Tobruk dagli inglesi, viene inviato,
fino al 1947, in un campo di prigionia a Bombay prima di rientrare
definitivamente al suo paese per riprendere l’attività politica nel
movimento anarchico.
MICHELE
SECCHIARI, IL PIU’ GIOVANE CONFINATO D’ITALIA
Una vita al servizio degli invalidi del lavoro
Michele Secchiari,
pronipote de ‘I iVgrai e figlio di Dante, alias Francesco, detto Kanaron,
è nato a Carrara il 31 marzo del 1933. L’anno successivo, a 8 mesi di
età, diventa, probabilmente, il “più giovane confinato politico
italiano.” Il padre, infatti sorpreso dai fascisti in compagnia di due
amici che cantano “Addio Lugano bella” viene confinato per tre anni a
Siderno (RC) e la madre, Maria Musetti, che
non vuole e non può lasciare solo il marito, anche perché a
Carrara le sarebbe difficile trovare i mezzi per il sostentamento suo e
del bambino, segue il marito nell’esilio calabrese con in braccio il suo
bambino.
Michele
crescendo, come il padre, come i nonno e il bisnonno, si avvicina alle
idee anarchiche divenendo, fra l’altro, un dotto cultore dello pera di
Pietro Gori, l’avvocato, politico, poeta messinese di nascita, ma di
origini toscane che fu uno dei più famosi anarchici del periodo a cavallo
tra il XIX e il XX secolo, autore, fra l’altro delle due famosissime
canzoni Addio Lugano bella e La ballata di Sante Caserio.
Negli anni ’50 Michele trova lavoro come cavatore di marmo,
ma il 24 ottobre del 1959, presso la cava Calocara, a ridosso
dell’abitato di Carrara, rimane vittima di un grave incidente sul lavoro
che gli costerà l’amputazione di una gamba. Da quel giorno dedicherà
la sua esistenza ai problemi degli invalidi sul lavoro e alla sicurezza
sul lavoro e alla prevenzione degli infortuni ricoprendo degnamente la
carica di presidente provinciale della Sezione Anmil di Massa Carrara e
distinguendosi per la grande
competenza in materia, l’impegno e la dedizione alla causa degli
invalidi e delle loro famiglie tanto da essere riconfermato più volte. Il
suo mandato durerà, infatti, 25 anni, dal 1988 al 2013.
Michele
Secchiari
Nello stesso
periodo ricopre più volte anche la carica di consigliere nazionale.
Gli anni della sua presidenza sono caratterizzati da un consistente
proselitismo, dalla crescita di prestigio della Sezione, anche perché il
Presidente cura i rapporti con le istituzioni, le imprese, le cooperative,
le autorità politiche, militari e religiose che gli saranno perciò
sempre molto vicini. Michele riesce così, in collaborazione con enti
locali e un comitato appositamente creato, a vedere realizzato il sogno
della costruzione di un imponente monumento alle vittime degli infortuni
sul lavoro, quello della creazione di un periodico della sede, “La
nostra voce” del quale è ancora oggi direttore, quello dell’acquisto della sede ANMIL e l’istituzione
del contributo agli studenti figli di caduti sul lavoro. Oggi Michele, pur
non ricoprendo più cariche in seno all’associazione, è sempre vicino
ai problemi degli invalidi e sempre appassionato del suo maestro, Pietro
Gori.
Michele
Secchiari e Giuseppe Marino
Sono
molto felice e onorato di conoscere ed essere fraterno amico di questo
“combattente”, di quest’ uomo che, nonostante le non facili
condizioni di vita nelle un uomo che subisce un infortunio come il suo è
costretto a vivere, ha dedicato e dedica ancora la sua esistenza ai
problemi della categoria in modo disinteressato, generosamente e sempre
col suo sorriso solare.
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