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Procopio di Peppino Marino |
La
famiglia Procopio era una delle più antiche prestigiose di Caccuri i
cui discendenti si estinsero nel secolo scorso imparentata con i De
Miglio, altra importante famiglia caccurese. Tra gli esponenti
più importanti figurano don Giovanni Procopio e il figlio Filippo.
Giovanni Procopio Don
Giovanni Procopio fu per molti anni il capo della guardia urbana
di Caccuri sposò Angela De Miglio discendente del mag. Filippo De
Miglio che nel 1724 fu processato perché non voleva far sbarrare le
mense di Gabella, di proprietà dell’Abazia di Calabro Maria di
Altilia. Lo “sbarro” era un’antica consuetudine in uso fino agli
anni 50-60 del XX° secolo e consisteva nel consentire, a chiunque,
l’accesso in una proprietà, dopo il raccolto per raccogliere
eventuali residui dei prodotti agricoli sfuggiti al padrone ed era,
praticamente, un dare le briciole alla povera gente per consentirle di
sbarcare il lunario e prevenire possibili rivolte provocate dalla fame
e dalla miseria della povera gente, . Don Giovanni nacque a Caccuri nel
1805. Nel 1828, già ai vertici della polizia caccurese l a cui
caseram si tovava nei pressi della Porta Grande (attuale piazza) soli 23
anni, tentò di arrestare Giuseppe Meluso, alias Nivara, la futura
guida dei fratelli Bandiera, e Pasquale Cimino, alias Manchetta,
latitanti, che erano stati segnalati a Eydo. Raggiunta con i suoi
gendarmi la contrada a
circa un miglio dal paese, non trovò i briganti, ma chiese ad alcuni
contadini che si trovavano sul posto per coltivare gli orti, notizie
sui fuorilegge. I contadini risposero di non aver visto nessuno e don
Giovanni li denunciò al giudice regio di Umbriatico. Era ancora capo urbano
quando, nel 1847, testimoniò al processo contro la banda Angotti che
egli, con i suoi uomini e in collaborazione con la Guardia nazionale,
aveva sgominato il 28 aprile dello stesso anno, dopo un conflitto a
fuoco a Laconi nel corso del quale restarono feriti lo stesso Angotti,
il gendarme Bartolomeo Bucchianico e la guardia urbana caccurese
Vincenzo Cosenza, capomastro, perito edile e impresario che
restaurò, fra l'altro, la chiesa di San Rocco, quest’ultimo in modo grave. L’anno dopo
don Giovanni, all’età di 43 anni, lasciò il comando della polizia
caccurese essendo stato accusato dal capitano della colonna mobile
della gendarmeria di Crotone, Francesco Sangiovanni di proteggere e di
ospitare spesso il nipote Pietro Scigliano, brigante della banda di
luigi Angotti e Andrea Intrieri. A succedergli provvisoriamente fu
Luigi De Franco, e poi Vincenzo Ambrosio figlio del notaio Francesco
Antonio. Don Giovanni era il
padre di Filippo Procopio, futuro sindaco del paese.
FILIPPO
PROCOPIO Filippo Francescantonio
Gaetano Procopio, falegname, sindaco dal 1857 al 1859, nacque a
Caccuri il 23 ottobre del 1826 da don Giovanni Procopio e da donna
Angela De Miglio. Nel 1862, esaurito il mandato di sindaco, fu
consigliere nell’amministrazione di cui era sindaco Luigi De Franco,
carica che ricoprì anche dal 1875 in poi nell’amministrazione
guidata dal barone Guglielmo Barracco.
Filippo, nel
1837 donò al paese la statua di Santa Filomena, probabilmente
per ringraziare la santa per aver allontanato da Caccuri
l’epidemia di colera che l’anno precedente aveva mietuto molte
vittime nella vicina Cerenzia. La notizia era contenuta in una
targhetta all’interno di una bacheca che ospitava la statua quando
era ancora collocata nella chiesa parrocchiale. Sia i Procopio che i De Miglio erano due delle più antiche famiglie caccuresi oggi scomparse; i Procopio nei primi decenni del XX secolo, i De Miglio verso la fine dello del XIX. Un antenato di donna Angela, il mag. Filippo De Miglio, nel 1724 subì un processo perché si rifiutava di fare sbarrare[1] le mense di Gabella, fra l’altro di proprietà dell’Abazia di Calabro Maria di Altilia fino alla fiera di San Marco, impedendo alla povera gente di sfamarsi. [2] I De Miglio erano probabilmente originari di Crotone. Diversi De Miglio sono infatti citati in un documento sulle parrocchie crotonesi soppresse tra il Cinquecento e il Seicento. [3]
[1]
Lo “sbarro” era un’antica consuetudine in uso fino agli
anni 50-60 del XX° secolo e consisteva nel consentire, a
chiunque, l’accesso in una proprietà, dopo il raccolto, per
raccattare eventuali residui dei prodotti agricoli
sfuggiti al proprietario, praticamente un dare le briciole
alla povera gente per consentirle di sbarcare il lunario. [2]
Un’antica fiera che si concludeva il 26 aprile, il giorno
dopo la festa di San Marco (25 aprile) [3]
A. Pesavento, Le parrocchie di Crotone tra il Cinquecento e il
Seicento, La Provincia KR
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