Mio fratello
faceva l’aviatore,
gli diedero un giorno una carta.
Egli ha fatto i suoi bagagli.
La rotta verso Sud era segnata.
Mio fratello è un conquistatore.
Il nostro popolo ha bisogno
di spazio. E procurarsi delle terre
è per noi un vecchio sogno.
Mio fratello ha conquistato lo spazio  nel massiccio del Guadarrama.
E’ lungo un metro e ottanta,
è fondo un metro e cinquanta.

B. Brecht

Come potevamo noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore
Tra i morti abbandonati nelle piazze
Sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
D'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
Della madre che andava incontro al figlio
Crocifisso sul palo del telegrafo ?
Alle fronde dei salici per voto
Anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

   
Salvatore Quasimodo

 

Fischia il vento, urla la bufera
scarpe rotte eppur bisogna andar
              
Canto popolare

"Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati, non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente".

Così dicevi ed era d'Inverno e come gli altri, verso l'inferno te ne vai triste come chi deve ed il vento ti sputa in faccia la neve.

Fermati Piero, fermati adesso, lascia che il vento ti passi un po' addosso, dei morti in battaglia ti porti la voce, chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
            
Fabrizio De Andrè

Gesù piccino piciò, Gesù Bambino alla deriva,
se questa guerra deve proprio farsi fa che non sia cattiva.
Tu che le hai viste tutte e sai che tutto non è ancora niente,
se questa guerra deve proprio farsi fa che non la faccia la gente.
E poi perdona tutti quanti, tutti quanti tranne qualcuno,
e quando poi sarà finita fa che non la ricordi nessuno.
            
Francesco De Gregori


Generale, il tuo carro armato
è una macchina potente

Spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

Bertolt Brecht

Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.
Gianni Rodari

Ombra
Rieccovi accanto a me
Compagni miei morti in guerra
Oliva del tempo
Ricordi che ormai fate un ricordo solo
Come cento pelli fanno una sola pelliccia
Come queste migliaia di ferite fanno un solo articolo di giornale.

Guillaume Apollinaire

Filastrocca della bestia umana

 

Filastrocca della vecchia Terra per gli animali che non fan più la guerra.
da molto tempo il cane e il gatto
Han stipulato un curioso patto che, alla luce dell’esperienza, rende piacevole la convivenza: più non s’azzuffano, sono felici,
vivono in pace e da buoni amici
ed alla vecchia aggressività han preferito la solidarietà.

Anche col topo il moderno gatto

han stipulato il medesimo patto e ora il piccolo roditore
vive tranquillo e senza il terrore
di servire da bocconcino
al feroce nemico felino.

La colomba e lo sparviero solcano insieme lo stesso cielo
ed il lupo quasi protegge pecore, agnelli e l’intero gregge.

Per le bestie dell’universo
farsi la guerra ora è tempo perso;
meglio la pace e la vita serena che l’odio, il rancore, il dolore, la pena.

Solo una bestia fa ancora la guerra:
un essere immondo che infesta la Terra,
il più crudele, il più feroce
dal cuore nero e dall’animo truce.
Ammazza i suoi simili senza pietà
Per cupidigia, per avidità,
ma sempre in nome della libertà,
della giustizia, dell’uguaglianza
e per il mondo non c’è più speranza.

  Giuseppe Marino  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Storie di alcuni caduti caccuresi nella 2^ Guerra mondiale


    La seconda guerra mondiale, combattuta dal 1939 al 1945 (dal 1940 al 1945 per l'Italia) fu la più spaventosa carneficina che l'Umanità abbia mai concepito e messo in atto, un conflitto spaventoso che produsse decine di milioni di morti, altri milioni di orfani, di vedove di mutilati ed invalidi, lutti, devastazioni, malattie, fame, patimenti. In cinque anni di combattimenti fu bruciata la migliore gioventù dell'Europa, dell'America e dell'Asia, una risorsa umana inestimabile macellata sui campi di battaglia, bruciata nei crematori degli aguzzini nazisti, consumata negli ospedali e nei lazzaretti tra dolore, sofferenza, lacrime e sangue. Migliaia e migliaia di paesi e città furono completamente distrutti dai bombardamenti; fabbriche, ospedali, scuole, ponti, ferrovie ridotti ad ammassi di macerie, mentre le malattie, prime tra tutte la malaria e la TBC si diffondevano nelle nostre contrade fino a diventare endemiche. 
    Nel corso del conflitto persero la vita anche molti nostri compaesani, alcuni in battaglia, altri a seguito di malattie contratte nei campi di prigionia per gli stenti, il freddo e la fame. Riteniamo, perciò, doveroso tramandare il ricordo di questi nostri "eroi loro malgrado"  affinché il loro sacrificio non sia stato inutile e perché le giovani generazioni riflettano sull'inutilità e sulla stupidità di tutte le guerre. 
    In questa pagina ho cercato di ricostruire le storie di alcuni di loro per i quali sono riuscito a reperire documenti ed informazioni. La pagina rimane, comunque "aperta", nel senso che, ove riuscissi a scovare notizie relative agli altri caduti o qualche familiare di altri caduti volesse inviarmi del materiale, non mancherò di aggiornarla.
   Ringrazio il professor Arcangelo Rugiero, lo zio Peppino Rugiero, le signore Pierina Longo, Costanza Falbo e Nina Lacaria per la loro preziosa
collaborazione.

 Elenco dei caduti caccuresi nella 2^ Guerra mondiale 1940 – 45

    1)     Aiello Luigi
      2)     Ambrosio Vincenzo
      3)     Chindamo Raffaele
      4)     Dardani Fedele
      5)     Dardani Vincenzo
      6)     Fazio Domenico
      7)     Iacometta Giuseppe
      8)     Longo Domenico
      9)     Loria Domenico
    10) Loria Salvatore
    11) Mazzei Domenico
    12) Mele Vincenzo
    13) Militerno Luigi
    14) Oliverio Andrea
    15) Parrotta Alessandro
    16) Pasculli Francescantonio
   
17) Raimondo Antonio
    18) Scigliano Giuseppe, disperso in Russia
    19) Silletta Pasquale
    20) Spatafora Antonio
    21) Spatafora Giovanni
    22
) Succurro Vincenzo

 

Nell'elenco sono compresi anche i dispersi in guerra e i soldati morti a seguito di malattie contratte in guerra.

        
Dardani Vincenzo –
Oceano Atlantico (Isola dell’Ascensione) – Piroscafo Laconia – 12 settembre 1942  


            Vincenzo Dardani

  Veramente commovente la storia di questo povero soldato caccurese, componente di una famiglia di quattro figli maschi, tre dei quali morti di morte violenta (due in guerra e il terzo, carabiniere, in un agguato della banda del bandito Giuliano), una storia tragica, quella di Vincenzo Dardani,  condivisa con un altro compaesano, Antonio Raimondo.
Vincenzo Dardani  nacque a Caccuri da Domenico e da Maria Rosa Urso,  il 5 giugno del 1913. Il 28 marzo del 1933 sposò Falbo Peppina e andò ad abitare in rione Pizzetto. La loro breve unione era stata allietata dalla nascita di due figli,  prima che il giovane padre venisse chiamato alle armi. Assegnato al 20° Reggimento Fanteria, brigata Brescia, fu inviato in Egitto. Nel luglio del 1942, nel corso della prima battaglia di El Alamein, Vincenzo Dardani e Antonio Raimondo furono catturati dagli Inglesi i quali, ad un certo punto, decisero di trasferire i prigionieri in Inghilterra. I due soldati caccuresi  furono imbarcati sul piroscafo Laconia, un transatlantico della Cunard White Star Line di 20.000 tonnellate comandato dal capitano Rudolf Sharp e adibito al trasporto delle truppe e dei prigionieri. Il Laconia, con a bordo i due caccuresi, salpò dal porto di Suez il 12 agosto 1942.  A bordo, oltre 463 tra ufficiali e uomini di equipaggio, 286 militari inglesi, 103 guardie polacche e 80 tra donne e bambini, vi sono ben 1800 prigionieri italiani delle divisioni Ariete, Brescia, Pavia, Trento, Trieste e Sabratha.
Le condizioni dei prigionieri, ammassati nelle stive, con razioni di viveri inadeguate e solo due ore d’aria al giorno, erano state durissime, ma la nave aveva percorso più di metà del tragitto. La notte del
12 settembre del 1942 si trovava all’altezza dell’isola di Ascensione, nel golfo di Guinea,  quando venne inquadrata nel periscopio del sommergibile tedesco U  Boot 156, al comando del capitano Werner Hartensteiner che, considerandola un  obiettivo militare, gli spedì contro due siluri. La grande nave si inabissò due ore dopo. L’equipaggio del sommergibile tedesco, dopo essere riemerso, saputo che a bordo vi erano prigionieri italiani,  si prodigò, assieme a quello del sottomarino italiano Cappellini al comando del tenente di vascello Marco Revedin, per salvarli, ma dei 1800 militari italiani, se ne poterono salvare solo pochi e, tra questi, non figuravano i due sventurati giovani caccuresi.
Secondo fonti autorevoli, i prigionieri italiani a bordo della nave furono deliberatamente  condannati a morte. Dalle testimonianze dei superstiti risulta, infatti, che le guardie polacche ricevettero l’ordine dagli Inglesi di chiudere gli italiani nelle stive e di respingere con le armi coloro i quali tentavano di raggiungere le lance di salvataggio decretandone, di fatto, la morte per annegamento. Tardiva fu la disperata reazione dei superstiti che riuscirono a sfondare i cancelli di sbarramento, nonostante  i colpi di baionetta e le fucilate a bruciapelo delle guardie polacche. Alla fine i naufraghi recuperati furono in tutto 425.
Vincenzo Dardani e Antonio Raimondo furono poi dichiarati ufficialmente morti dalla Commissione interministeriale per la formazione e la ricostruzione di atti di morte e di nascita non redatti o andati smarriti per eventi bellici, istituita ai sensi del Regio decreto 1520 del 20 ottobre 1942 e del Decreto legislativo luogotenenziale del 5 aprile 1946, n. 216.  Per quanto riguarda Vincenzo l’atto di morte presunta venne compilato il 31 agosto del 1962.


     Il piroscafo Laconia 
 

Raimondo Antonio - Oceano Atlantico (Isola dell’Ascensione) – Piroscafo Laconia – 12 settembre 1942

   La storia di Antonio Raimondo è uguale in tutto e per tutto a quella di Vincenzo Dardani. Antonio era nato a Caccuri il 24 luglio del 1918 da Rocco Vincenzo e da Maria Oliverio. Ed era sposato con Elisa Spatafora. Anch’egli fu arruolato nel 20° Reggimento fanteria, catturato nella prima battaglia di El Alamein ed imbarcato sul piroscafo Laconia che avrebbe dovuto portarlo in Inghilterra. Purtroppo anche  la sua vita fu stroncata da due siluri tedeschi, dal cinismo degli inglesi e dall’ottusità delle guardi polacche. La sua morte fu  ufficialmente dichiarata il 5 novembre del 1960 dalla Commissione interministeriale per la formazione e la ricostruzione di atti di morte e di nascita non redatti o andati smarriti per eventi bellici

Militerno Luigi - Oceano Atlantico (Isola dell’Ascensione) – Piroscafo Laconia – 12 settembre 1942

Secondo quanto riferito a Giuseppe Rugiero, Luigi Militerno 

 

Ambrosio VincenzoNivice (Albania) – 10- 3 – 1941


     Vincenzo Ambrosio

Vincenzo Ambrosio, avvocato, tenente, comandante del reparto Arditi del 231° Reggimento della Brigata Avellino, era partito in guerra come volontario,  il 20 febbraio 1941. La stessa notte dell’arrivo partecipa ad un’azione di guerra ricevendo un encomio dal colonnello. Poi è tutto un susseguirsi di audaci azioni. Sopporta freddo, patimenti, stenti, ma trova la forza di scrivere quasi quotidianamente ai genitori ed ai fratelli anch’essi arruolati. Il giorno fatale del 10 marzo 1941 Vincenzo attacca per ben tre volte una munitissima postazione nemica. Al terzo assalto è colpito a morte. I suoi soldati lo portano al riparo e lui è ancora lucido e cosciente dell’imminente fine, nel mentre continua ad impartire ordini per la continuazione dell’azione. Poco dopo sopraggiunge la morte. 



Mele Vincenzo   Mulheim  (Ruhr) – Germania  -   20 - 03 - 1943           


Vincenzo Mele, di Pasquale e di Maria Antonia Falbo era nato a Caccuri il 10 agosto 1922.  Chiamato alle armi, fu assegnato al 3° Reggimento artiglieri d’armata, 3^ batteria di stanza a Reggio Emilia, assieme al compaesano Giuseppe Rugiero fratello del grande invalido di guerra Carmine Salvatore.

                   
Vincenzo Mele

Da lì i due furono inviati in Grecia, sempre col 3° Reggimento, ma questa volta al 14° gruppo, 41^ batteria. In una località di fronte l’isola di Eubea. Rastrellato in Grecia dai tedeschi subito dopo l’armistizio di Cassibile, fu internato, sempre insieme al compaesano Rugiero, in Germania come (Italienische Militär- Internierten), operaio sussidiario e qui assegnato alle dipendenze di una impresa edile in una località nei pressi di Mulheim nella regione della Ruhr in via Elisabettenstrasse  n. 30. Giuseppe Rugiero, invece, finì alle dipendenze di una ditta boschiva ad un paio di chilometri di distanza.  I due giunsero nel paesino tedesco l’11 dicembre del 1944. Verso la metà di marzo Vincenzo e Peppino si separarono per raggiungere i rispettivi datori di lavoro, anche se si tenevano in contatto come potevano, anche a mezzo di altri commilitoni. Ma la tragedia oramai incombeva.  Alle 8,19 del 20 marzo 1943, due squadriglie di aerei inglesi ed americani attuarono un bombardamento a tappeto proprio sul borgo nel quale il giovane caccurese era al lavoro.  Vincenzo, che non era riuscito a raggiungere un rifugio, fu tra le vittime dell’attacco e  venne sepolto in luogo sconosciuto. Giuseppe, da lontano, assistette al bombardamento trepidando per la sorte dell’amico,  ma con un atroce presentimento che poi, purtroppo, si rivelò fondato.


  Vincenzo Mele (a sinistra) e Giuseppe Rugiero a Reggio Emilia

 

Dardani Fedele Albania (Località imprecisata) data presunta 9 settembre 1943


      
Fedele Dardani

 Fedele Dardani, di Domenico e di Maria Rosa Urso, nato a Caccuri il 20 giugno 1916, uno dei tre poveri fratelli tutti morti in circostanze tragiche, fu, nella morte, forse il più sventurato dei tre. Di lui, infatti, non si sa come e perché si trovasse in Albania, quando morì effettivamente e quale fu la causa del decesso. Per tentare di fare una improbabile luce sulla morte di questo povero caccurese bisogna affidarsi alla Commissione interministeriale per la formazione e la ricostruzione di atti di morte e di nascita non redatti o andati distrutti per eventi bellici costituita in virtù del regio decreto 1520 dell’ottobre 1942 e del Decreto legislativo luogotenenziale n. 216 del 4 aprile 1948 che, nella seduta del 20 dicembre 1961,  scrive: “Dichiara che il giorno 9 del mese di settembre del 1943 è deceduto in Albania, alle ore non accertate, in età di anni ventisette, il Dardani Fedele appartenente non militare , nato il 20 giugno 1916 a Caccuri, residente in Caccuri in Via V. Veneto, figlio di Domenico e di Urso Maria Rosa. Il suddetto Dardani Fedele è morto in seguito a cause imprecisate di guerra ed è stato sepolto a si sconosce

 

 

Chindamo Raffaele -  Taurianova – 10 – 05- 1943

 
          
Raffaele Chindamo

Raffaele Chindamo, di Saverio e di Guglielma Belcastro, era nato a Caccuri il 13 maggio 1907. Da ragazzo era stato vittima di un incidente automobilistico per cui era leggermente claudicante. Per questo motivo, in un primo tempo,  era stato esonerato dal servizio di leva, ma quando la più sanguinosa delle guerre mai combattute entrò nel vivo, non si andò più tanto per  il sottile e nel dicembre del 1942, all’età di 35 anni,  fu comunque chiamato alle armi, ma, poiché si trovava a Merano (BZ) per motivi di lavoro, si determinarono una serie di disguidi per cui parti per la caserma alla quale era stato assegnato solo nel febbraio del 1943, qualche settimana dopo aver contratto il suo secondo matrimonio. Destinato a Gioia Tauro (RC), fu adibito a mansioni interne. La sera del 9 maggio 1943 montò di sentinella. Alla fine del suo turno, secondo la versione ufficiale, ebbe  il cambio da un commilitone, tale Diruzza Domenico. Raffaele, dopo il cambio, si avviò verso la camerata,  ma,  mentre si allontanava, decise di accendersi una sigaretta e, non avendo fiammiferi, pensò di tornare indietro e chiederli al commilitone appena montato di guardia. Il Diruzza, accortosi che qualcuno si avvicinava alla postazione, intimò per due volte il “chi va là” e, non avendo ricevuto risposta, esplose alcuni colpi di fucile che attinsero il soldato caccurese alla spalla. Almeno questa fu la ricostruzione ufficiale dell’accaduto  che non convinse mai completamente gli altri commilitoni. Ferito gravemente, fu ricoverato nell’ospedale di Taurianova, dove morì il 10 maggio 1943. 

Oliverio Andrea  -  Oschiri (Olbia) – 15- 09 - 1944

Andrea Oliverio, di Gaetano Giovanni e Rosa Oliverio, era nato a Caccuri il 26 febbraio del 1921. Chiamato alle armi come soldato di sanità, fu assegnato, ironia del destino, proprio all’Ospedale militare territoriale di riserva di Oschiri nel quale si spense, all’età di 23 anni,  alle ore 22,30 del 19 settembre 1944, a seguito di una infezione malarica recidiva accertata complicata da enterocolite acuta mico – sanguinolenta. Fu sepolto nel cimitero comunale di Oschiri, Zona RE, fossa n. 41.  

 

(Mazzei Domenico – Campo di concentramento della Bessarabia 15-01-1945 (data presunta ai sensi del DL 216 del 1946)

 Domenico Mazzei, di Antonio e di Costanza Spatafora, soldato della 361^ Batteria costiera da 155/14, chiuse la sua esistenza, all’età di 35 anni, il 15 gennaio 1945 (trattasi di data presunta ai sensi del DL 216 del 1946), nel campo di concentramento della Bessarabia (Romania) a causa di una polmonite. Era nato a Caccuri il 30 ottobre del 1909 e abitava in via Misericordia.

 

Longo Domenico – Centro italiano di raggruppamento di prigionieri e deportati di Liegnitz –   28- 08-1945


  
Domenico Longo detto Silvio

 

Domenico Longo era nato a Caccuri il 28 settembre del 1923 da Vincenzo Longo e da Domenica Gallo. Chiamato alle armi allo scoppio della guerra, fu arruolato nell’artiglieria e spedito sul fronte greco.  Catturato dai Tedeschi, fu deportato in Germania,  e avviato in un campo di prigionia per essere assegnato al lavoro coatto. Qui, per le pessime condizioni di vita imposta dagli aguzzini nazisti, contrasse una TBC polmonare per cui fu ricoverato nel lazzaretto di Zeithain (Sassonia)  Liberato dai russi il 17 aprile del 1945, fu trasferito nell’Ospedale militare russo di Liegnitz (Legnica), Polonia, dove si spense il 28 agosto del 1945.  Tra i commilitoni figurava un certo Quinto Cariati, di Sant’Andrea dello Ionio di qualche anno più giovane che gli rimase accanto fino alla fine. Fu proprio Quinto Cariati a raccontare gli ultimi giorni di vita dello sfortunato soldato caccurese sepolto, secondo l’amico nel centro del cimitero di Legnica, dopo un funerale regolare celebrato dal cappellano militare il quale, saputo che i due erano originari della stessa provincia, volle che fosse l’amico a gettare la prima palata di terra sulla bara.
 Testimoni dell’atto di morte, redatto dal capitano Mario Borghesi, furono lo stesso  Quinto Cariati e Francesco Pate di Belmonte Calabro (CS).

 

Scigliano Giuseppe - Fronte russo - Disperso in guerra (data e luogo di morte sconosciuti)

              
                               Giuseppe Scigliano

Giuseppe Scigliano era nato a Caccuri il 15 aprile 1921  da Luigi e da Carolina Lucente. Allo scoppio della guerra fu chiamato alle armi e assegnato all’ARMIR, l’armata italiana inviata in Russia, nel gelo di quelle contrade, con le scarpe di cartone. Di lui non si seppe più nulla. Probabilmente morì di stenti nella steppa  durante la drammatica ritirata. 

 Invalidi di guerra

  La guerra produsse, anche nel nostro paese, numerosi invalidi, tra i quali il grande invalido e mutilato Carmine Salvatore Rugiero, un giovane soldato che sperimentò sulla propria pelle le tremende, dolorose  conseguenze di una guerra la più atroce  e sanguinosa mai combattuta. Carmine Rugiero subì gravissime mutilazioni che gli provocarono dolore e sofferenza per tutta la sua lunga vita, ma egli seppe sopportare tutto con dignità. 

 Rugiero Carmine Salvatore, grande invalido di guerra 

Carmine Salvatore Rugiero

Carmine Salvatore Rugiero nacque a Caccuri il 16 luglio 1914 da Francesco e da Caterina Angotti.  Assolto regolarmente il servizio militare, fu collocato in congedo illimitato il 22 settembre del 1936. Allo scoppio della guerra fu richiamato alle armi e d assegnato al 207° Reggimento Fanteria e trasferito, poi , al 4° battaglione del  48° Reggimento fanteria di Ferrara. 
Il 30 dicembre del 1940 si imbarcò a Brindisi con destinazione l'Albania e il 31 dicembre del 1940 giunse in territorio dichiarato in stato di guerra quando oramai l'offensiva italiana era  stata già respinta dai greci costringendo la Germania ad accorrere in aiuto degli Italiani mandati allo sbaraglio. Salvatore era solo uno dei tanti soldati delle 8 divisioni trasferite in Albania tra il 28 ottobre e il 31 dicembre del 1940 e, alla fine, risultò uno dei 12.368 congelati gravi. Il 22 gennaio del 1941, infatti, a meno di un mese dall'arrivo, fu ricoverato nell'ospedale da campo 471 per congelamento e, due giorni dopo, il 24 gennaio,  viste le gravi condizioni in cui versava, fu imbarcato a Valona  e rimandato in Italia. Il 27 gennaio sbarcò a Brindisi e, lo stesso giorno, venne ricoverato all'ospedale militare di Taranto,. Pare che già sulla nave avesse subito una prima amputazione agli arti inferiori. Fu quindi trasferito all'ospedale Principessa di Piemonte di Roma. Alla fine subì l'amputazione della gamba sinistra e della coscia destra, un tributo davvero pesantissimo ad una guerra stupida ed  assurda. Il 14 luglio del 1943, fu, finalmente, collocato in congedo assoluto. 
Salvatore Rugiero ci ha lasciato il 5 luglio del 2009. Al suo funerale, celebrato in forma solenne, con gli onori militari, oltre al picchetto d'onore formato da tre militari del Comando militare Esercito Calabria, c'era una folla immensa. 

 

 Prima di chiudere questa pagina voglio inserire una brevissima biografia di un giovane carabiniere caccurese che non cadde nella Seconda guerra mondiale, ma in quella che fu un'altra feroce guerra, un'appendice del più grande conflitto, la guerra personale del bandito indipendentista siciliano Salvatore Giuliano contro lo Stato italiano. Si tratta di Giovanni Dardani, terza sfortunata vittima di una famiglia decimata dalla guerra. Giovanni, infatti, era fratello di Vincenzo e di Fedele Dardani dei quali abbiamo parlato in questa stessa pagina.



Dardani Giovanni – Ospedale militare di Palermo – 10-05-1946

 

   Giovanni Dardani, carabiniere nato a Caccuri il 27 giugno del 1918,  era figlio di Domenico e di Maria Rosa Urso,  coniugato con Maria Mele, sorella di Vincenzo, internato in Germania dove mori a seguito di un bombardamento. Dardani morì a Palermo il 10 maggio del 1946, nell’ospedale militare nel quale era stato ricoverato alcuni giorni prima essendo stato gravemente ferito nel corso di un agguato ad una camionetta di carabinieri ad opera  della banda di Salvatore Giuliano, il feroce bandito separazionista siciliano. Giovanni lasciò la loglie e due figliolette in tenera età. Al giovane carabiniere fu poi conferita la medaglia d’argento al valor militare. Nei primi anni '90 gli fu intitolata la via che dal cancello di Villa San Marco arriva alle case popolari. 

 

 

                                         

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2 http://s5.histats.com/stats/r.php?371533&100&66&urlr=&www.webalice.it/giuseppe.marino50/Storia/Guerra/caduti1.htm

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