Conobbi
Pietro De Mare quando avevo circa 10 anni. Avevo sentito parlare spesso
di questo mitico, gigantesco cugino di mio padre, ma non avevo mai avuto
l’occasione di incontrarlo. Quando venne a Caccuri, a casa mia dove lo
ospitammo per un paio di giorni, rimasi stupefatto. Era alto quasi due
metri, robusto, con due orecchie grandi quanto uno smartphone di media
grandezza, con una cassa toracica enorme. Fumava come tre turchi ed era
capace di scolarsi un fisco di anice come se fosse acqua fresca.
Zio Pietro,
come lo chiamavamo tutti i Marino, era nato a Caccuri il 3 aprile del
1894 da Saulle De Mare, un artigiano di Cropani e da Letizia Marino,
sorella di nonno Peppino. Tutto il lui suscitava curiosità, a
cominciare da questo strano nome del padre che solo molto tempo dopo,
quando frequentavo la scuola superiore, scoprì trattarsi di una
modifica del nome del primo re di Israele, a finire alla mutilazione di
un piede amputato in
parte perché congelato
nelle trincee del Carso, alla voce possente, ma dolce, alla bravura nel
raccontare le sue avventure.
Di
professione stagnino, come il padre
e come il nonno
materno, Francesco Marino (bisnonno di chi scrive), sapeva fondere i
metalli, scolpire il marmo e la pietra e si intendeva egregiamente di
meccanica. Una delle sue tante specialità era la realizzazione di
impianti di illuminazione a gas e, spesso, veniva chiamato ad illuminare
edifici pubblici e seggi elettorali, ma, da quell’uomo intelligente e
poliedrico che era, fece di tutto, perfino il cartomante durante una
breve esperienza di emigrazione in Brasile. Dopo la prima guerra
mondiale, tornato al suo paese, fondò insieme a Peppino Gigliotti e a
don Peppino Pitaro la Sezione dei reduci e combattenti di Caccuri
divenendone uno dei tre dirigenti, ma ne uscì presto deluso dal
comportamento di alcuni soci. Fu in questo periodo che costruì una
teleferica che collegava la Serra Grande con la Pagliera, l’ex chiesa
di San Marco venduta da Murat ai Barracco e trasformata in fienile, per
trasportare le pietre calcare che abbondavano sulla collina con le quali
si ricavava la calce per costruire le prime case del rione Croci.
Qualche anno dopo, col cugino Francesco Marino, costruì anche un
proiettore per film che utilizzava come fonte di luce una lampada ad
acetilene con la quale proiettò le prime pellicole che arrivarono a
Caccuri.
Pietro De Mare fu
anche il primo artigiano caccurese a costruire macchine artigianali per
preparare il gelato. Purtroppo
l'unica opera del maestro caccurese conservata nel paese natale
è la lapide ai caduti della "Grande guerra" collocata
sulla facciata del palazzo De Franco di via Buonasera. Il maestro si
spense Savelli, dove si era trasferito dopo il matrimonio con una donna
del luogo, il 31 gennaio del
1972.
|