Caccuri
nel corso dei secoli ha avuto spesso dei cattivi governati, esosi quanto
pessimi amministratori che hanno finito per angariare la popolazione,
spogliare il territorio prelevandone le ricchezze senza, peraltro, farne
buon uso. Alcuni di questi, nonostante le spoliazioni, finirono per
ritrovarsi in un mare di debiti tanto da vedersi confiscare il feudo che
poi venne rivenduto all’asta. E’ il caso dei Cimino che, fortemente
indebitati, persero le loro terre caccuresi che nel 1651 finirono ai
Cavalcante.
Il barone Giovan Bernardino Cimino, nel 1559 acquistò da donna
Isabella di Toledo, madre di Francesca Spinelli, il feudo di Caccuri.
Gli Spinelli furono tra i più esosi feudatari del regno ed
ebbero gran parte di responsabilità nell’abbandono e nello
spopolamento del nostro paese da parte di centinaia di famiglie che si
trasferirono nella nascente San Giovanni in Fiore anche grazie ai
privilegi che l’imperatore Carlo V concesse all’abate Rota e che
consentivano agli “immigrati” caccuresi, cerentinesi e di altri
luoghi della zona di fruire liberamente degli usi civici e di non pagare
balzelli. Ma tornando ai Cimino, vediamo come impiegavano i loro soldi
che erano anche soldi dei caccuresi.
Francesco Cimino, barone di Caccuri, decise di utilizzate parte
delle sue sostanze per costruire un collegio che avrebbe dovuto ospitare
ragazzi
turchi catturati dai cristiani per insegnare loro la religione cattolica
e rinviarli nei loro paesi di origine a convertire i loro paesani
musulmani. Un tale Giovanni di sant’Eliseo lo convinse a finanziare il
restauro del convento dei Carmelitani scalzi di Monte Carmelo che il
nostro esimio barone finanziò con la bellezza di 3.000 scudi annui. Il
progetto di evangelizzare i musulmani, però, fu ritenuto una follia da
un tale Pietro della Madre di Gesù che ebbe ad eccepire che “In
patrum coetu severe obiurgavit quod rem a gravioribus patribus
exploratam et improbatam sine praelati concessu ut coniectari poterat
non modo tentasset, verum et promovisset” e il cervellotico progetto
finì nel nulla.
Circa quarant’anni dopo, fortemente indebitati, i Cimino, come già
detto,
furono costretti a vendere all’asta il feudo caccurese.
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