La spedizione dei fratelli Bandiera

 


   Il 1844 fu l'anno dello sfortunato tentativo dei fratelli Bandiera e dei loro generosi compagni venuti in Calabria per un ideale di libertà e di indipendenza e la cui esistenza fu chiusa da una scarica di fucileria nel vallone di Rovito.  I due giovani, ufficiali della marina da guerra  austriaca, erano figli del barone Francesco Giulio, ammiraglio della stessa marina. 

Qualche tempo  dopo l'arruolamento disertarono e aderirono alle idee di Mazzini fondando, a loro volta, una società segreta, l'Esperia che era il nome che gli antichi greci usavano per indicare l'Italia. 
    I Bandiera  nel 1844  si trovavano a Corfù dove si erano rifugiati insieme ad un gruppo di amici  quando giunse loro, evidentemente con molto ritardo,  la notizia di una rivolta scoppiata a Cosenza contro il governo borbonico. Era il periodo compreso tra la fine di maggio e gli inizi di giugno, ma i patrioti non potevano sapere che la rivolta,  che aveva provocato, fra l'altro, la morte del capitano Galluppi, figlio del grande filosofo tropeano Pasquale Galluppi, scoppiata nel mese di marzo, era stata da tempo domata e si era conclusa con la condanna a morte di 21 persone delle quali poi solo sei vennero effettivamente giustiziate. Così, assoldarono una guida che conosceva molto bene i luoghi sui quali avrebbero dovuto in seguito operare e che loro conoscevano col nome di Battistino Belcastro, ma il cui vero nome era Giuseppe Meluso, brigante di San Giovanni in Fiore, più volte processato dai tribunali borbonici per atti di brigantaggio nei territori di San Giovanni in Fiore, Cotronei, Caccuri e Casino (l'attuale Castelsilano)
(1). Fatto cio si imbarcarono,  alla volta della Calabria, con 17 compagni, il Meluso e il corso Piertro Boccheciampe che si era aggregato alla spedizione fingendosi anch'egli un patriota, ma in realtà per evitare un matrimonio riparatore con una ragazza del luogo.

   Sbarcato alla foce del fiume  Neto la sera del 16 giugno 1844, il gruppo dei patrioti iniziò il  viaggio verso Cosenza preoccupandosi subito di provocare l'insurrezione della popolazione. A questo scopo consegnarono a Gerolamo Caloiro, un fittavolo degli Albani, un nobile manifesto che avrebbe dovuto essere affisso a Crotone, ma che il contadino, per paura di conseguenze, evitò di rendere pubblico.

 

 

    
 Il monumento sul luogo dello sbarco inaugurato dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat nel 1966

 

 

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L'itinerario della comitiva

 

Dopo una sosta presso la masseria Poerio del barone Albani, si avviarono verso la Sila, Intanto,  Boccheciampe  finse di essersi lussata una gamba  per sganciarsi dal gruppo e correre a denunciare i compagni, cosa che fece regolarmente appena il gruppo si fu allontanato.

   Le Autorità di Crotone furono, così, immediatamente informate della presenza dei rivoluzionari  e misero in allarme la Guardia Urbana di Belvedere che si appostò nei pressi del paese in contrada Pietralonga. La sera del 17 il gruppo dei patrioti si scontrò con gli urbani e caddero in combattimento il capo dei gendarmi Antonio Arcuri ed il nipote Nicola Rizzuto. Una terza guardia, ferita gravemente, morì dopo alcun giorni. Secondo alcune ricostruzioni la morte delle guardie urbane sarebbe da attribuire al cosiddetto "fuoco amico", ovvero a fucilate degli stessi loro compagni appostati dalla parte opposta della strada, ma la cosa non fu mai accertata con precisione.

La notizia dello scontro di Pietralonga mise in allarme le Autorità di Caccuri, il paese verso il quale i giovani mazziniani si stavano dirigendo. Intanto, dopo essersi nascosti nella zona di Campodenaro pei l'intera giornata del 18, i patrioti ripresero la marcia notturna e all'alba del 19, giunsero al Bordò.

 

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Bordò (Caccuri) Masseria presso la quale, secondo alcuni storici,  sostò la comitiva; altri sostengono che in realtà sostarono presso la bettola del Bordò, nelle vicinanze della stessa masseria. 

 

   La giornata del 19 fu densa di avvenimenti, mentre si preparava l'epilogo della sfortunata impresa. Al casino del Bordò Giuseppe Meluso, il brigante di cui abbiamo già detto capitolo  e che a Corfù, dove si era rifugiato, si era aggregato al gruppo in qualità di guida grazie alla perfetta conoscenza dei luoghi, fu immediatamente riconosciuto. La presenza del Meluso fece ritenere ai contadini che l'intera comitiva fosse composta da uomini dediti al saccheggio e all' assassinio, per cui mandarono un ragazzo a S. Giovanni in Fiore per recapitare un biglietto al capo urbano di quel paese nel quale lo si informava della presenza dei patrioti e della loro intenzione di dirigersi verso la cittadina. Certamente, comunque, gli agrari ed i baroni della zona conoscevano le vere intenzioni dei giovani e, proprio per questo, per far fallire un'impresa che ritenevano avrebbe potuto mettere in discussione l'assetto socio-economico della zona e far sparire i loro privilegi, si diedero molto da fare per armare quanta più gente possibile  per catturare ed uccidere i sovversivi, coloro i quali avrebbero potuto ficcare brutte idee in testa ai contadini. Così, avendoli etichettati come briganti, ebbero anche l'appoggio dei loro fittavoli. Comunque, per quanto nobili potevano essere, com'erano in realtà le intenzioni di giovani, la loro era, comunque, alla luce del diritto internazionale, una spedizione sovversiva in un paese straniero che aveva lo scopo di rovesciare il governo legittimo per cui le autorità di polizia erano obbligate ad agire contro di loro.

   Poco dopo mezzogiorno il Sindaco di Caccuri, Pasquale Montemurro, spedì una lettera allarmata al capo urbano di S. Giovanni così concepita: "Mi sollecito notiziarLe che sono venuto a conoscenza stragiudizialmente, ma con certezza, di essere stata attaccata la Guardia Urbana di Belvedere e la gendarmeria di Strongoli con ventidue Corsi sbarcati in questa marina riuniti con altri venti casalini.  Fra i morti si conta lo sventurato capo urbano di Belvedere. Io, quindi, con espresso Le ne do conoscenza al momento che corrono le ore 16 (Mezzogiorno attuale) prevenendoLa che io, con gli urbani e proprietari che si possono riunire vado a mettermi in quei punti ove potrebbero transitare."

 Il Sindaco era appena partito quando la comitiva dei patrioti giunse a Laconi.

 

Laconi1.jpg (38496 byte)      Laconi (Caccuri) Casolari dell'epoca      

 

A questo punto il secondo eletto di Caccuri, Luigi Antonio Quintieri, spedì un secondo dispaccio urgentissimo a San   Giovanni in Fiore con il quale informava che "Una forza di venti  persone armate e due o tre vetture si sono fermate nel luogo detto Laconi, territorio di Caccuri e sono dirette verso S. Giovanni in Fiore."  Così nella cittadina florense si organizzò la spedizione che avrebbe dovuto catturare i "briganti".

I patrioti continuarono la loro marcia sostando alla bettola della Stragola ove consumarono una frugale colazione.

 

                       Stragola.jpg (46927 byte) Stragola (Castelsilano)

 

Poco dopo, verso le 4 del pomeriggio, arrivarono alla fontana della Stragola, poco distante dalla bettola. Qui furono attaccati da ingenti forze con una ferocia inspiegabile. Miller e Tesei furono uccisi e Domenico Moro   ferito ad una gamba; tutti gli altri  catturati. L'unico che riuscì a scappare e a far perdere le sue tracce fu il Meluso che, comunque, si costituì alle autorità il 15 agosto dello stesso anno. Processato e condannato a 25 anni di carcere ai ferri, rimase effettivamente in carcere per circa due anni, poi fu graziato  e rimesso in libertà.  Due mesi dopo, però, capeggiò una sommossa contro il sindaco di San Giovanni in Fiore che si opponeva alla divisione delle terre silane per cui fu abbattuto da una scarica di fucileria della Guardia nazionale mentre gridava "Viva la Repubblica."

     
                                             
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Stragola (Castelsilano) Luogo della cattura

 Poco tempo dopo la cattura, il 25 luglio del 1844,  i Bandiera, furono processati e condannati a morte e fucilati assieme ad altri sette compagni, Giovanni Venerucci, Anacarsi Nardi, Nicola Ricciotti, Giacomo Rocca, Domenico Moro, Francesco berti e Domenico Lupatelli,  nel vallone di Rovito, alle porte di Cosenza.   Solo ventiquattro giorni prima, nello stesso luogo, erano stati fucilati Raffaele Camodeo, Sante Cesareo, Nicola Corigliano, Giuseppe Franzese, Antonio Rao e Pietro Villacci, animatori della insurrezione del marzo dello stesso anno.


                     La lapide commemorativa


          
                 
Il sacrario sul luogo della fucilazione                           

 

Come si vede le Autorità caccuresi furono abbastanza solerti nel contribuire alla cattura dei patrioti mazziniani. A questo zelo non fu certamente estranea, come si evince anche dalla lettera del sindaco Montemurro,  l'influenza degli agrari locali sempre nemici di qualsiasi rivolta, di qualsiasi tentativo di sovvertimento dell'ordine sociale che potesse rimettere in discussione privilegi e potere.

                                                                         Giuseppe Marino

 

 

Note
1) G. Marino, Cronache di poveri briganti, ed. Pubblisfera, San Giovanni in Fiore 2003 pp. 31 - 38

                    

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