Cenni sulla storia archeologica di Caccuri

di Giuseppe Marino

 

  

   Caccuri ha una interessante storia archeologia che risalgono al neolitico. Ciò è attestato, fra l' altro, dal rinvenimento fortuito, in località Patia, non molto lontano dal vecchio monastero dei Tre Fanciulli, un bellissimo esemplare di ascia in basalto nero risalente al periodo neolitico da parte di un contadino, ma autorevoli studiosi confermano la presenza dell’uomo nella zona in quel periodo.
   L’ingegnere Francesco Principato, a questo proposito scrive:
    “ Dalla succinta indagine riportata al cap. I sulla presenza dell’uomo preistorico in Calabria nessun elemento è risultato sull’esistenza di esso nell’altipiano silano; i rinvenimenti finora accertati e più vivini ad esso si fermano a Caccuri, Verzino, Petilia Policastro, Gimigliano, Savelli, Albi, Cicala, Titiolo, Soveria Mannelli e Longobucco per l’età della pietra e si fermano a Tiriolo, Corigliano, Acri e Caccuri per l’età del ferro. [1]
   Una presenza, dunque, diffusa lungo la fascia presilana crotonese, catanzarese e cosentina. Rinvenimenti più consistenti di reperti di epoche più recenti risalgono al 1929 e al 1933.
   Il primo si riferisce a un sepolcreto di epoca romana il località Pantane nell’allora proprietà del sacerdote don Francesco Pasculli, professore che seguì D’Annunzio nell’avventura fiumana. Nell’occasione, mentre si eseguivano lavori per l’impianto di un uliveto, vennero alla luce alcune tombe con la copertura in terracotta che testimoniano l’esistenza di una via di accesso alla Sila già nel periodo classico che lambiva l’antica Acerenthia, cittadina che alcuni storici come l’archeologo francese Honoré Théodore Paul Joseph d'Albert, duca di Luynes identificarono con la Pandosia presso la quale morì combattendo Alessandro il Molosso, zio materno di Alessandro Magno.
   All’interno delle tombe furono trovati  un asse romano repubblicano di peso ridotto e risalente al II° secolo avanti Cristo,  una monetina enea di Petelia (Strongoli) con la testa di Demeter  sul recto e di Zeus folgoratore sul rovescio e la scritta in caratteri greci “Petelinon” del III° secolo avanti Cristo e  un frammento di embrice con margini rialzati che faceva parte della copertura di una tomba del periodo ellenistico romano.

   Un secondo ritrovamento, questa volta di una tomba barbarica probabilmente longobarda, comunque antecedente l’anno 1000, avvenne, anche questo, fortuitamente ad opera di alcuni scalpellini caccuresi che stavano scavando pietre sulle pendici della Serra Grande, una delle tre colline arenarie che circondano il paese, il 20 maggio del 1933. All’interno di un’intercapedine naturale furono rinvenute le ossa di un cadavere ed una ricca suppellettile metallica di facies barbarica molto ossidata e costituita da oggetti  di ferro tra cui due staffe a pianta laminata, tre cuspidi di lancia  a cannone delle quali due più grandi ed una di dimensioni inferiori, una forbice per tosare le pecore, tipico strumento rinvenuto in altre tombe barbariche sparse sul territorio italiano, una forbice più piccola e di diversa fattura, 4 falci per il grano delle quali due integre ed una frammentaria, un' accetta bipenne e una monopenne, una scarpa per aratro a bordi rialzati, una subbia, uno scalpello ed altri frammenti.  Oltre agli oggetti in ferro ne furono rivenuti anche alcuni in bronzo ed un oggetto vitreo. Il corredo in bronzo era costituito da un pettine a denti triangolari molto robusti che in origine doveva avere un manico di legno o di osso, un vasetto a forma di olla con ventre espanso e bordi superiori rinforzati sormontati da tre trilobi forati per l'attacco di tre catenelle, un attingitore e un busto dell'imperatore Claudio che, secondo gli esperti, potrebbe essere capitato per caso fra la suppellettile e che, comunque, non è sufficiente a far nascere dubbi sull'esatta datazione della sepoltura che rimane confermata quale tomba risalente all'VIII - IX secolo d. C.
   Dall'archeologo Catanuto in "N. Catanuto, Importante piatto invetriato scoperto a Caccuri (Catanzaro) , Faenza, Stabilimento grafico P. Lega, 1955 XIII, pag. 3",
apprendiamo che il il piatto invetriato, opportunamente restaurato, entrò a far parte delle collezioni statali del Museo Centrale della Magna Graecia di Reggio (tav. V e VII). Purtroppo, nonostante  approfondite ricerche, in due occasioni, nel museo reggino, pur coadiuvato efficacemente dai custodi, non sono riuscito a trovare traccia del prezioso reperto. Misteri caccuresi come la sparizione del vescovo Carnuto e quella di tante altre preziose testimonianze cancellate dai nuovi barbari.

1) Francesco Principato, Nella mia Calabria con la macchina del tempo, Brenner Cosenza 1948