STORIA DEL PANE CACCURESE
di Peppino Marino
 

    Fino alla metà del XX secolo a Caccuri esistevano moltissimi forni a frasche, alcuni privati (la maggior parte) utilizzati esclusivamente per cuocere il pane dei proprietari o dei parenti stretti, altri pubblici ai quali potevano accedere anche quelli che non avevano la fortuna o le risorse per costruirsene uno, le famiglie degli artigiani (‘a marranza), degli impiegati e dei braccianti senza terra. Personalmente, con uno sforzo di memoria, ma anche con il conforto e la collaborazione di amici come Rocco De Carlo e Peppino Noce, ne ricordo  alcuni come quello dei signori Ambrosio, dietro la casa di don Stano di via Buonasera, quello in via Simonetta di fronte la casa di Antonio Manfreda (zu ‘Ntoni ‘e Cerza) di proprietà dei signori Fazio, quello del dottore don Vincenzo De Franco, nel giardino del Palazzo di via Dardani e, soprattutto, quello di Nuzziatella, Annunziata Loria, cugina di Francesco Loria, il caduto sul lavoro nella miniera di Monongah e bisnonna della compianta Rita Mele.
    Nuzziatella, fin quando le forze glielo consentirono, più o meno la fine degli anni ’50, raccoglieva le frasche di cisto (mucchji) nella campagna caccurese e preparava parecchie fascine (sarcine) che poi trasportava sulla testa e depositava davanti il forno di fronte la casa della nipote Mafalda, nel piccolo orto adiacente la casa di Salvatore Lacaria. Qui cuoceva buona parte del pane che si consumava nel rione Croci, all’epoca un terzo di quello attuale, ma molto più popoloso di oggi. A quei tempi si usava rigorosamente il lievito madre (‘u criscente) preparato a turno dalle massaie caccuresi che se lo scambiavano quotidianamente e la farina di grano duro coltivato nelle campagne caccuresi e macinato prima nei mulini ad acqua lungo i torrenti Matasse, Lepre e Cucinaro dei fratelli Pisano, poi nel mulino Belsito di San Giovanni in Fiore e, dagli inizi degli anni ’60 in quello di Ciccio Pasculli presso la Santa Croce. Tra i vecchi fornai che sfamarono la popolazione caccurese e che si guadagnavano anche loro il pane dignitosamente e col sudore della fronte mi piace ricordare, oltre alla citata Nuzziatella, il signor Raffaele De Carlo e la moglie Giustina, Pierino Rizzuti e tanti altri che ora non ricordo, ai quali deve andare la nostra riconoscenza eterna.  Raffaele De Carlo e Giustina prestarono la loro opera in ben 6 forni diversi finché le forze glielo consentirono, Alcuni di questi lavoratori, come la signora Rosina Secreto, la madre di Luigino Pisano, detta ‘a panettera, si portarono scolpito anche nel soprannome il nobile mestiere di panificatore o di venditori di pane.  
  
Nel 1949 Salvatore Blaconà, che aveva combattuto in Africa, tornato dalla prigionia, decise di aprire un forno moderno per cui, ottenuto un suolo in piazza, sotto i Mergoli, provvide allo sbancamento di una parte della collina e alla costruzione dell’opificio, Ai lavori fu adibito anche un giovanissimo Peppino Noce che, con un carretto trainato dalla sua amata mula Marchesina, trasportava i materiali di risulta a una vicina discarica. Poiché Salvatore non aveva mai fatto il fornaio, assunse due panificatori di Petilia Policastro, i fratelli Francesco e Vincenzo Vona. Vincenzo trovò a Caccuri l’amore e sposò la signorina Angelina Miliè, figlia del calzolaio Vincenzo detto ‘u Frignocu. Tra i collaboratori di Salvatore, la più importante era za Luisa Cicuto (‘A varbera), nonna della signora Angelina. Poi Salvatore imparò l’arte della panificazione e continuò da solo a gestire l’esercizio fino al 1963 quando fu assunto alla Montecatini di Crotone e cedette il forno e la pompa di benzina per trasferirsi nella città di Pitagora.  Da allora il vecchio forno in piazza è gestito dalla famiglia Loria, prima dal compianto Francesco, poi dal figlio Davide e dalla sua famiglia.
   Il forno Blaconà fu il primo a utilizzare l’impastatrice elettrica che rendeva molto meno faticoso impastare e “scanare”(spianare ed appezzare il pane)     
     
Qualche anno dopo fu aperto un altro forno in via Murorotto per iniziativa del signor Salvatore Durante in un locale adiacente il vecchio cinema chiuso verso la metà degli anni ’50 e nel quale da fanciulletto feci in tempo a guardare il primo film della mia vita, Il brigante Musolino, fra l’altro girato in gran parte proprio a Caccuri. Dopo qualche anno il proprietario lo cedette al mio amico Salvatore Falese che lo gestì fino agli anni ’90 prima di chiuderlo definitivamente.
   Intanto negli anni 60 era nato un altro forno a due passi da quello di Blaconà, poi passato ai Loria, il forno di Francesco Pasculli che si affiancava al modernissimo mulino dello stesso Pasculli, che in precedenza aveva gestito per qualche anno anche il bar Caputo, poi Mercuri. Il nuovo forno era dirimpetto al mulino alla santa Croce oggi abitazione dei figli, al pianoterra del palazzone sotto strada. Alla panificazione e alla distribuzione del pane nei paesi vicini erano addetti Alessandro Scigliano e Ciccio Sellaro.
  Negli anni ’70, infine, Pierino Rizzuto tentò di aprire un forno a legna nel rione Parte che fu attivo per qualche mese, prima di essere costretto a chiudere per la mancanza delle necessarie autorizzazioni.
   Attualmente dei tre forni rimane aperto solo il più vecchio e quasi tutto il pane che si mangia a Caccuri proviene da forni dei paesi vicini: San Giovanni in Fiore, Verzino, perfino da Pietrafitta.