Richiami o incitamenti alle bestie: un patrimonio linguistico da custodire |
Quando ripenso alla mia infanzia o a quella dei fanciulli della
mia età mi ritrovo a ringraziare l’Entità che mi fece nascere a quei
tempi, in un paese di campagna circondato da porcili, stalle, ovili, in
mezzo alle pecore, alle capre, ai maiali, alle galline ed altre nobili
bestie. Questa immensa fortuna mi consentì di fare un sacco di
esperienze importanti, come insegna Gramsci con la storiella dei ricci
che raccolgono le mele o dell’incontro con la volpe, e di acquisire un
importante patrimonio di conoscenze. Per esempio i richiami usati per i
vari animali o i comandi che si impartivano alle bestie impegnate
ad aiutare l’uomo nei suoi lavori. Parole ed espressioni
bellissime, meravigliose che dovrebbero diventare patrimonio
dell’Unesco e che invece rischiano di andare perdute per sempre.
Allora cosa c’è di meglio che usare “le armi dei giovanissimi”,
le nuove tecnologie, i social network per affidare alla memoria
collettiva e alle nuove generazioni questo prezioso tesoro. Eccovi
alcuni esempi: richiamo per il maiale - succhi te, succhi te; richiamo
per la gallina -
curi, curi, curi, per
cacciarla via invece si usava sciaaaaaaa! Richiamo
per il gatto
- mmisci te, mmisci te ; cacciata o minaccia
- mmisci llà! Richiamo
per il cane -
cucci te; cacciata o minaccia zaaaaaahhh! Poi
c’era un incitamento particolare, non so quanto risolutivo, che i pastori rivolgevano alle capre
e ai becchi restii alla copula quando volevano produrre capretti; herci,
herci beeeeee, che aveva una lontanissima origine e si rifaceva al nome
latino della capra, hircus.
Infine due comandi fondamentali che si davano all’asino: il
via: ahhhhhh e l’alt:
isciiiiiih! A volte l’uomo, che ha sempre considerato l’asino e il mulo animali testardi, faceva di tutto per emularli, soprattutto quando, a suo insindacabile giudizio, riteneva che l’animale avesse sete per cui non capiva perché quel testardo dell’asino si rifiutasse di bere. Allora ricorreva a quello che, secondo lui, era un metodo infallibile per convincerlo o invogliarlo a bere: mettersi a fischiettare in un modo particolare, suadente, intrigante. Ma la bestia spesso rimaneva ferma nelle sue convinzioni per cui qualche padrone più saggio osservò: “Quannu ‘u ciucciu ‘un vo’ acqua, ha voglia u’ frischi!” (Quando l’asino non ha voglia di bere hai voglia di fischiare!), massima bellissima che oggi mi fa pensare a certi nostri politici.
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