Devo
questo aneddoto sul mio nonno
Peppino Marino che conobbi per pochi anni e che ricordo con
affetto e nostalgia, ad un
racconto orale del mio amico Peppino Sperlì che ringrazio per avermelo
tramandato.
Peppino era un cacciatore diciottenne esuberante come può
esserlo un ragazzo che si affaccia alla vita, che si bea della sua
gioventù, della sua forza, del suo ottimismo, dei suoi sogni, delle sue
abilità; che si sente padrone del mondo. E Peppino, a dire la verità,
era un giovane in gamba, sveglio, capace, un
bravo tiratore anche, considerata l’età e la scarsa esperienza.
Un
giorno d’autunno si recò a San Biagio in compagnia di zu Peppino
Marino, un vecchio oramai ultra settantenne, dal passo malfermo che
camminava a fatica sulla strada di Furnia, pipa in bocca e fucile in
spalla. Peppino, che le gambe le aveva buone, saltellava di qua e di là
ai lati del sentiero precedendo il vecchio e sparando ai tordi che si
alzavano in volo appena sentivano i passi dei due uomini che si
avvicinavano. Ogni tanto colpiva un animale e allora lo andava a
raccattare e lo metteva in
uno zainetto di vimini che
portava a tracolla. Poi estraeva dalla cartucciera due cartucce e
ricaricava il fucile.
Zu
Peppino sembrava non seguire le prodezze del giovane e continuava a
camminare badando ai fatti suoi. In vita sua non aveva mai sparato ad un
tordo, non lo considerava dignitoso; le sue prede ambite erano le
beccacce, le pernici, le quaglie, le lepri. Una volta aveva ucciso anche
un lupo, ma era stato un episodio isolato, un qualcosa di cui il vecchio
cacciatore di “pinna” quasi si vergognava. Zu Peppino era contento
quando vedeva Grassi, il suo fedele setter, in punta. Allora lanciava il
cane che faceva alzare la beccaccia o la quaglia ed egli con la sua
proverbiale abilità, immancabilmente l’abbatteva con un colpo solo.
Peppino,
intanto, continuava a sparare a destra e a manca, a volte colpendo la
preda, a volte mancandola. Quando oramai avevano iniziato la discesa su
San Biagio, un tordo volò saettando dal ciglio del burrone che sovrasta
i Campanelli. Peppino, lestamente, mirò; un tiro abbastanza difficile,
tuttavia abbatté
la bestiola, poi, con fare beffardo si rivolse al vecchio cacciatore:
“Zu Peppì, ha vistu cu’ se sparari?”
Zu
Peppino a prima vista non sembrò raccogliere la provocazione. Aspirò
lentamente dalla pipa di creta con la cannella di canna che sembrava
incollata alla bocca l’ennesima boccata di fumo, si gustò
voluttuosamente il non proprio profumato effluvio, con lentezza
esasperante sganciò dalla spalla la cinghia del ribotte, prese l’arma
in mano, tolse dalla cartucciera due cartucce e la caricò. Poi rivolto
a Peppino, con tono che non ammetteva repliche, gli intimo: “Jetta
‘na petra ‘ntra chillu scinu!”. Il giovane, confuso e intimorito,
eseguì l’ordine, Appena il sasso cadde nel cespuglio di lentischio,
due tordi s’alzarono lestamente in volo, uno in direzione dei Corvi,
l’altro dalla parte opposta, verso San Biagio. Il vecchio cacciatore,
serafico, pipa ancora in bocca, sparò con calma al primo che cadde
fulminato, poi ruotò lentamente l’arma di cent’ottanta gradi ed
abbatté anche il secondo volatile, quindi rivolto al giovane ancora a
bocca aperta per la sorpresa disse: “Guagliò, va ricogliali e fattìcce
‘u broru.”
Nonno
Peppino a Rittusa
Antonio Fazio - Partita a scopa (Nonno Peppino è il personaggio a
sinistra)
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