Nonno Saverio era un
povero orfanello di Giffone, provincia di Reggio Calabria. Persi in
genitori quand’era ancora in tenerissima età, fu allevato fino
all’età di 12 anni dai nonni, con tantissimi sacrifici e comunque
nella fame e negli stenti tipici del periodo a ridosso dell’Unità
d’Italia in un paesino dell’Aspromonte, poi i vecchi non riuscivano
più a mantenerlo per cui lo “cedettero” a un pastore che gli faceva
pascolare le pecore e badare agli altri animali domestici. Fu in quel
periodo che nei boschi incontrò il celebre latitante "Peppi" Musolino che
lo mandò a comprargli dei sigari raccomandandogli di non far parola con
nessuno dell’incontro pena la vita.
A 17 anni si aggregò a un gruppo di cavatori di radica (radice
dell’erica), “’ i zommi” e da allora diventò “Saveriu ‘u
zommaru.” Fu proprio con questo gruppo di lavoratori che giunse a
Caccuri nel 1902. Poco dopo sposò nonna Guglielma e, dopo la nascita
dei primi due figli emigrò come molti negli Stati Uniti.
Emigrare non fu facile e gli riuscì solo alla maniera dei tanti
poveri profughi che arrivano da noi nei barconi della morte. Quando si
recò a Napoli per imbarcasi lo sottoposero alla visita medica, ma
avendogli riscontrato una macchiolina all’interno dell’iride, gli
negarono il visto, manco si trattasse di tracoma. Così uscì disperato
dal locale dov’era stato ricoverato. Il suo stato doveva essere
davvero pietoso se attirò l’attenzione di alcuni marinai di un
mercantile che stava per salpare per New Jork i quali, udito il suo
racconto, si dichiararono disposti a imbarcarlo da clandestino,
ovviamente dietro il pagamento del biglietto e lo nascosero nella stiva.
Giunti a New Jork gli diedero dei vecchi vestiti da marinaio e lo misero
a scaricare la nave dandogli
la possibilità di sgattaiolare e dileguarsi nella “Grande Mela”.
Con l’aiuto di alcuni compaesani riuscì a raggiungere Clarksburg nel
West Virgina dove trovò lavoro per sette anni in una miniera di
carbone,.
La sua vita non doveva
essere facile, però nonno Saverio conservò sempre un ricordo felice di
quegli anni. Dopo sette anni tornò in Italia per prendere moglie e
figli e tornare in America, ma trovò nonna Guglielma molto malata per
cui dovette rinunciare al sogno americano e rimanere per sempre a Caccuri.
Pur essendo analfabeta imparò un po’ di inglese maccheronico
che si mise in testa di insegnare anche a me. Così tutto il giorno mi
parlava di “exi” (eggs), giobba (job), cisu (cheese), che poi è il
nostro “casu” storpiato dagli americani come fanno sempre. Da
lui ascoltai per la prima volta, in un improbabile inglese, la celebre
canzoncina “It's a Long, Long Way to Tipperary”. Ma
la cosa che mi affascinava di più era il racconto di uno spettacolo per
minatori al quale aveva assistito a Clarksburg
e che aveva per protagonista un giovane comico, anch’egli
emigrato in America, che lo
aveva entusiasmato e che nonno Saverio, nel suo inglese maccheronico
chiamava Chara Chappa. Solo da adulto, riflettendoci bene, anche sulla
base della descrizione che me ne aveva fatto, ho
capito che l’artista di cui parlava era il grande Charlie Chaplin che
nonno aveva avuto la ventura di incrociare nella sua vita. Grande nonno
Saverio!
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