Antonio Cavalcante cavaliere dell'Ordine gerosolimitano |
Quando
i fanciulli caccuresi del secolo scorso, ma forse anche dei secoli
precedenti, apprendevano il significato che comunemente si attribuisce
all’aggettivo libertino (che è assai diverso da quello originario),
lo associavano alla figura di don Antonio Cavalcanti, figlio del duca
don Marzio e fratello del duca Rosalbo le cui gesta amatorie, a volte
forse con un tantino di esagerazione, ci erano state raccontate da
ragazzi più grandicelli che, a loro volta, le avevano sentite
raccontare da altri giovani. Probabilmente, nonostante
qualche aggiunta e qualche frottola inventata di sana pianta, don
Antonio, cavaliere dell’Ordine di Malta, generoso benefattore,
finanziatore della Cappella della Congregazione del SS. Rosario e priore
della stessa, forse non era davvero uno stinco di santo,
almeno per la Chiesa cattolica. Fu
così che il comportamento "libertino" di don Antonio, fra
l’ altro penalizzato da un cognome storpiato nel quale la
"e" sostituiva la "i" finale rendendolo troppo
simile al participio presente di un verbo che cadeva a fagiolo per
suscitare le ironie dei contemporanei, indignò le autorità religiose e
soprattutto il vescovo di Cerenzia mons. Carlo Ronchi. Il capo
della diocesi, per colpire il priore prese a pretesto la
leggerezza di molti parroci della diocesi che somministravano la
comunione anche a molti pubblici peccatori il cui comportamento
scandaloso era di dominio pubblico. Ovviamente, come spesso accadeva
( e accade anche oggi) i comportamenti più scandalosi per le autorità
ecclesiastiche non erano tanto le ruberie o le prepotenze dei
signori (quando ovviamente non ne erano vittime esponenti del clero), ma
le loro libertà sessuali. In particolare don Antonio era accusato di
comportamento “scandaloso, adultero, incestuoso e sacrilego,
concubinato con la sposata Serafina Piluso della stessa terra, prima
concubina dello stesso duca, suo fratello.” [1]
Don Antonio, dunque, nonostante la rinuncia alla successione che gli sarà pure costata qualche non lieve sofferenza, la sua appartenenza ai cavalieri gerosolimitani, la sua opera indefessa come priore e generoso finanziatore della Congregazione del SS. Rosario, venne ruvidamente strapazzato dalla Curia per avere amato le donne o una donna n particolare. Noi laici del XXI secolo ci sentiamo di essere più indulgenti nei confronti di questo grande uomo al quale Caccuri deve davvero tanto e lo perdoniamo di cuore. E intanto ci chiediamo cosa sarebbe stata la nostra cittadina senza la sontuosa, stupenda cappella del Rosario? Cosa sarebbe oggi Caccuri senza gli altari della Chiesa di Santa Maria del Soccorso finanziati anche in parte dalla famiglia Cavalcanti? Cosa sarebbe stata Caccuri senza la dimora ducale dei Cavalcanti poi trasformata in “castello” dai Barracco? E nel far ciò non possiamo non rilevare che i Cavalcanti e Guglielmo Barracco, con tutti i difetti che potevano avere agli occhi delle masse e della povera gente, furono gi unici nobili ad avere amato davvero questo paese tanto da risiederci a lungo e realizzarvi qualcosa di duraturo, a differenza di tanti altri feudatari per i quali Caccuri fu solo un feudo dal quale ricavare profitti.
[1] Andrea Pesavento, Clero e potere temporale, articolo pubblicato su La Provincia KR n. 8-9 del 2002
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