Il sacrificio di Giuditta Levato
di Giuseppe Marino

 

    

   Dopo la storia di Carmela Borelli, l'eroica contadina che sacrificò la vita per salvare quella dei due figlioletti, voglio rendere un doveroso omaggio a un'altra eroina calabrese caduta sotto il piombo di un idiota per difendere il diritto alla vita e al pane per se stessa, la sua famiglia e i suoi compagni di lotta sfruttati da secoli da signorotti rapaci e usurpatori: Giuditta Levato.
   Giuditta era una contadina di Calabricata, un tempo frazione di Albi, oggi di Sellia Marina, a metà strada tra Crotone e Catanzaro. Nata nel 1915, nel 1936 si sposò e divenne madre. Intanto uno stato guerrafondaio scatenava l'ennesima guerra di aggressione chiamando alle armi giovani e meno giovani tra i quali anche il marito di Giuditta. Toccò perciò a leisobbarcarsi la dura fatica dei campi, coltivare il grano, procurare il pane per i figlioletti. sostituire in tutte le incombenze che di solito toccano a un uomo, il marito in guerra, in una guerra vile, quanto inutilmente sanguinosa della quale tutti avrebbero fatto volentieri a meno.
   Finito il conflitto con la più grave disfatta nella storia di questo paese, il marito tornò a casa, ma intanto iniziavano le battaglie per la terra, quella terra sempre promessa ai contadini meridionali, quella terra che aveva prodotto la grandiosa rivolta sociale bollata come brigantaggio repressa ferocemente nel sangue di migliaia di quei contadini poveri "che scrittori salariati tentarono di infamare chiamandoli briganti", come osservò Granmsci, e la rivolta di Bronte e dei paesi vicini; quella terra usurpata dai nobili e dai borghesi e da secoli agognata dalle plebi meridionali. 
   Questa, però, sembrava la volta buona; al governo c'era un ministro dell'agricoltura nato a Catanzaro, a pochi chilometri da Calabricata, un comunista, uno dei fondatori del PCI, un uomo che si batteva per i contadini e i lavoratori: Fausto Gullo. 
   Gullo era stato il primo politico italiano a proporre l'elezione di un'assemblea costituente che avrebbe dovuto predisporre il testo della nuova costituzione e fu il ministro che emanò i famosi decreti che garantivano ai contadini la metà della produzione dei terreni, il permesso di occupazione dei terreni incolti o mal coltivati associandosi in cooperative agricole di produzione, la proroga dei patti agrari ed altre agevolazioni. Una legge, insomma, che dava via libera all'occupazione delle terre, l'antico sogno di tutti i contadini meridionali. 
   Com'era prevedibile, la cosa scatenò la reazione degli agrari, i latifondisti molti dei quali usurpatori delle terrene demaniali, degli usi civici, delle fasce di transumanza, i quali, più o meno velatamente, come nei primi decenni del secolo, come nel XIX secolo, come sempre nella storia, ricorsero all'aiuto dei loro campieri, dei loro mazzieri, dei loro guardaspalle, a volte usando una violenza più o meno esplicita, a volte con mezzi più subdoli come l'espediente di spingere le loro mandrie o le greggi nei campi coltivati dai contadini che ne avevano avuto regolare concessione. 
   Il 28 novembre del 1946 i contadini di Calabricata accorsero nei loro campi per scacciare la mandria di buoi di un agrario che considerava usurpatori i contadini. Tra loro la battagliera Giuditta. Si accese subito un'animata discussione tra i contadini che cercavano di salvare il raccolto del grano e l'ex proprietario, discussione chiusa da una fucilata che colpì al grembo Giuditta Levato, quel ventre dal quale sarebbe dovuta nascere da lì a pochi giorni una nuova creatura.
   Giuditta fu portata a casa e poi in ospedale. Al suo capezzale accorse Pasquale Poerio, dirigente del PCI e delle associazioni contadine, poi deputato e senatore al quale Giuditta consegnò le sue ultime parole, il suo testamento politico: "
Io sono morta per loro, sono morta per tutti. Ho dato tutto alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che io sono partita per un lungo viaggio, ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me, per vendicarmi. A mio marito dirai che l’ho amato, e perciò muoio perché volevo un libero cittadino e non un reduce umiliato e offeso da quegli stessi agrari per cui ha tanto combattuto e sofferto. Ma tu, compagno vai al mio paesello e ai miei contadini, ai compagni, dì che tornerò al villaggio nel giorno in cui suoneranno le campane a stormo in tutta la vallata1) 
   Mentre Giuditta spirava era già cominciata l'opera di smantellamento dei decreti Gullo per opera del nuovo ministro dell'agricoltura, il democristiano Antonio Segni, uno dei più grandi proprietari terrieri della Sardegna. Nonostante ciò, il sacrificio di Giuditta non fu vano, né fu il solo. Tre anni dopo a Fragalà di Melissa altri tre contadini, Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito caddero sotto il piombo della polizia di Scelba mentre si battevano per la terra. 
   Questa ennesima strage di povera gente suscitò una grande mobilitazione di politici e intellettuali come Mario Alicata, Ernesto Treccani, Renato Guttuso che portò alla vittoria e alla rottura del latifondo. 
   In chiusura di queste brevi note mi torna alla mente una bellissima pieces sulla vita e sulla morte di Giuditta messa in scena l'anno scorso a Botricello dall'amico "brigante" Giuseppe Scalzo e da un gruppo di attrici del suo gruppo in occasione della Notte dei briganti, una serata di storia e cultura organizzata dall'associazione Bothros e da Franco Falbo.

 

1) Da uno scritto di DANIELA ALEMANNO · 24 APRILE 2015


                                                      

 

                                                        

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