Dopo la storia di Carmela Borelli, l'eroica contadina che sacrificò la
vita per salvare quella dei due figlioletti, voglio rendere un doveroso
omaggio a un'altra eroina calabrese caduta sotto il piombo di un idiota
per difendere il diritto alla vita e al pane per se stessa, la sua
famiglia e i suoi compagni di lotta sfruttati da secoli da signorotti
rapaci e usurpatori: Giuditta Levato.
Giuditta
era una contadina di Calabricata, un tempo frazione di Albi, oggi di
Sellia Marina, a metà strada tra Crotone e Catanzaro. Nata nel 1915,
nel 1936 si sposò e divenne madre. Intanto uno stato guerrafondaio
scatenava l'ennesima guerra di aggressione chiamando alle armi giovani e
meno giovani tra i quali anche il marito di Giuditta. Toccò perciò a
leisobbarcarsi la dura fatica dei campi, coltivare il grano, procurare
il pane per i figlioletti. sostituire in tutte le incombenze che di
solito toccano a un uomo, il marito in guerra, in una guerra vile,
quanto inutilmente sanguinosa della quale tutti avrebbero fatto
volentieri a meno.
Finito il conflitto con la più grave disfatta nella storia
di questo paese, il marito tornò a casa, ma intanto iniziavano le
battaglie per la terra, quella terra sempre promessa ai contadini
meridionali, quella terra che aveva prodotto la grandiosa rivolta
sociale bollata come brigantaggio repressa ferocemente nel sangue di
migliaia di quei contadini poveri "che scrittori salariati
tentarono di infamare chiamandoli briganti", come osservò Granmsci,
e la rivolta di Bronte e dei paesi vicini; quella terra usurpata dai
nobili e dai borghesi e da secoli agognata dalle plebi
meridionali.
Questa, però, sembrava la volta buona; al governo c'era un
ministro dell'agricoltura nato a Catanzaro, a pochi chilometri da
Calabricata, un comunista, uno dei fondatori del PCI, un uomo che si
batteva per i contadini e i lavoratori: Fausto Gullo.
Gullo era stato il primo politico italiano a proporre
l'elezione di un'assemblea costituente che avrebbe dovuto predisporre il
testo della nuova costituzione e fu il ministro che emanò i famosi
decreti che garantivano ai contadini la metà della produzione dei
terreni, il permesso di occupazione dei terreni incolti o mal coltivati
associandosi in cooperative agricole di produzione, la proroga dei patti
agrari ed altre agevolazioni. Una legge, insomma, che dava via libera
all'occupazione delle terre, l'antico sogno di tutti i contadini
meridionali.
Com'era prevedibile, la cosa scatenò la reazione degli
agrari, i latifondisti molti dei quali usurpatori delle terrene
demaniali, degli usi civici, delle fasce di transumanza, i quali, più o
meno velatamente, come nei primi decenni del secolo, come nel XIX
secolo, come sempre nella storia, ricorsero all'aiuto dei loro campieri,
dei loro mazzieri, dei loro guardaspalle, a volte usando una violenza più
o meno esplicita, a volte con mezzi più subdoli come l'espediente di
spingere le loro mandrie o le greggi nei campi coltivati dai contadini
che ne avevano avuto regolare concessione.
Il 28 novembre del 1946 i contadini di Calabricata
accorsero nei loro campi per scacciare la mandria di buoi di un agrario
che considerava usurpatori i contadini. Tra loro la battagliera
Giuditta. Si accese subito un'animata discussione tra i contadini che
cercavano di salvare il raccolto del grano e l'ex proprietario,
discussione chiusa da una fucilata che colpì al grembo Giuditta Levato,
quel ventre dal quale sarebbe dovuta nascere da lì a pochi giorni una
nuova creatura.
Giuditta fu portata a casa e poi in ospedale. Al suo
capezzale accorse Pasquale Poerio, dirigente del PCI e delle
associazioni contadine, poi deputato e senatore al quale Giuditta
consegnò le sue ultime parole, il suo testamento politico: " Io
sono morta per loro, sono morta per tutti. Ho dato tutto alla nostra
causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia
giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di
giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora,
dirai che io sono partita per un lungo viaggio, ma ritornerò
certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli,
alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che
combattano, combattano con me, più di me, per vendicarmi. A mio marito
dirai che l’ho amato, e perciò muoio perché volevo un libero
cittadino e non un reduce umiliato e offeso da quegli stessi agrari per
cui ha tanto combattuto e sofferto. Ma tu, compagno vai al mio paesello
e ai miei contadini, ai compagni, dì che tornerò al villaggio nel
giorno in cui suoneranno le campane a stormo in tutta la vallata”1)
Mentre Giuditta spirava era già cominciata l'opera di
smantellamento dei decreti Gullo per opera del nuovo ministro
dell'agricoltura, il democristiano Antonio Segni, uno dei più grandi
proprietari terrieri della Sardegna. Nonostante ciò, il sacrificio di
Giuditta non fu vano, né fu il solo. Tre anni dopo a Fragalà di
Melissa altri tre contadini, Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni
Zito caddero sotto il piombo della polizia di Scelba mentre si battevano
per la terra.
Questa ennesima strage di povera gente suscitò una grande
mobilitazione di politici e intellettuali come Mario Alicata, Ernesto
Treccani, Renato Guttuso che portò alla vittoria e alla rottura del
latifondo.
In chiusura di queste brevi note mi torna alla mente una
bellissima pieces sulla vita e sulla morte di Giuditta messa in scena
l'anno scorso a Botricello dall'amico "brigante" Giuseppe
Scalzo e da un gruppo di attrici del suo gruppo in occasione della Notte
dei briganti, una serata di storia e cultura organizzata
dall'associazione Bothros e da Franco Falbo.
1)
Da uno scritto di DANIELA ALEMANNO · 24 APRILE 2015
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