Le
mole di un antico frantoio con la barra dell' "ominu
mortu"
‘I
trappiti”, dal latino trappetum, erano gli antichi frantoi oleari
sparsi per le nostre campagne nei quali, con immane fatica, si
spremevano le olive per ricavarne “l’oglio perfettissimo” per
dirla col Marafioti che nel XVII secolo magnificò quello caccurese.
Uno dei primi
frantoi (trappiti) caccuresi del XX° secolo era ubicato in via
Portapiccola nella casa abitata nei decenni successivi dal signor
Giuseppe Pisano. Chissà perché, cosa molto rara nel nostro paese
dove ci curiamo poco delle testimonianza del passato, nel luogo è
rimasta ed è visibile ancora oggi, sul piccolo piazzale
antistante il fabbricato, la macina, la grossa pietra circolare
che veniva utilizzata per frangere le olive e preparare la pasta per
la gramola. Forse perché l’eccessivo peso ne sconsigliò la
rimozione o forse perché venne utilizzata come sedile in pietra.
L’opificio era di proprietà del cavaliere don Raffaele Ambrosio,
geometra, rampollo di una delle più influenti famiglie
caccuresi, più volte sindaco e podestà del paese.
Il mulino
di questo frantoio, a detta del compianto amico Peppino Benevento,
era azionato da un asino aggiogato a una barra che, girando in
cerchio, la faceva muovere all’interno della tramoggia (trimoia)
dove venivano frantumate le olive. La pressa invece era un semplice
torchio a vite. La pasta veniva deposta sui “fisculi” di canapa,
dischi circolari con un foro centrale dello stesso diametro della
vite della pressa e due o tre per volta venivano inframmezzati a
dischi circolari metallici. Si partiva col primo disco metallico,
poi due e tre fisculi riempiti di pasta e un disco metallico che li
chiudeva, quindi ancora fisculi e dischi metallici fino a
raggiungere la vetta della vite centrale. La pila, ovviamente, era
chiusa da un disco metallico. Il torchio veniva azionato da un
paletto (pannula), perpendicolare alla vite e quindi orizzontale che
veniva spinto dagli uomini. In questo modo un grosso “dado” di
ferro premeva sul primo disco metallico che, a sua volta, comprimeva
tutta la pila schiacciando la pasta per farne uscire il miscuglio di
acqua e olio contenuto nelle olive. Il liquido indistinto finiva in
un pozzo, la “santina” (sentina) e lasciato riposare un po’
per far si che acqua e olio si separassero grazie al diverso peso
specifico. Quindi si cominciava a raccogliere l’olio. Fin quando
lo strato di olio nella sentina era spesso l’operazione di
separazione era più o meno agevole; il difficile veniva verso la
fine quando il poco olio rimasto olio veniva raccolto in un piatto
metallico da mani espertissime che dovevano fare attenzione a non
raccogliere anche gocce d’acqua o residui e impurità.
Frantoio Ambrosio in
via Portapiccola (visibile la mola) nello spiazzo antistante
Abbiamo visto che la macina generalmente era azionata da un
asino o un mulo, ma a volte, quando non si disponeva di un animale o
questi era molto stanco, veniva sostituito da uno o due uomini (ominu
mortu). Oltre al frantoio del signor Ambrosio ve n’era un altro di
proprietà dei signori Lucente in via Simonetta e quello di
Forestella del barone Barracco, oltre ad altri sparsi per la
campagna caccurese tra i quali quello del maestro Umberto
Lafortuna in contrada Vignali. Uomo di fiducia del
poeta caccurese in questo opificio alle porte del paese era l'ex
finanziare Vincenzo Guzzo, molto amico del vecchio maestro dal quale
ereditò la passione per la poesia, tanto che egli stesso scrisse
molte liriche e tradusse I promessi sposi in dialetto. Lafortuna lo
aveva in così grande stima che gli dedicò questa poesia.
A Guzzo frantoiano
Sarò lieto, assai lieto
Di riaverti al tappeto.
T’informo fin d’ora
Ho mandato a malora
Parecchi pretendenti
Noiosi e impazienti
Di fare le tue veci.
Saranno stati dieci
A chieder il tuo posto.
Ma io così ho risposto:
A Guzzo finanziere
Conviene tal mestiere.
Vincenzo Guzzo detto
il Poeta
Frantoio
di Forestella del barone Barracco
Uno
dei primi frantoi azionati, da un motore diesel, fu invece quello di
Laconi, proprio a ridosso della vecchia Nazionale 107. Altri opifici
in epoca più recente erano quelli di Fedele Lacaria in contrada
Pantane e quello di Salvatore Durante a San Biagio. Entrambi
venivano azionati da un trattore la cui puleggia, per mezzo di una
cinghia trasmetteva il movimento al mulino.
Fino a una quarantina di anni fa, quando ancora non
esistevano i frantoi a ciclo continuo, la frangitura richiedeva un
bel po’ di mano d’opera per cui nelle ventiquattro ore si
alternavano due o tre squadre di frantoiani che alloggiavano in
qualche locale nei pressi dei frantoi, spesso capannoni monolocali
con un camino per scaldarsi e una serie di giacigli per riposare. Ciò
favoriva la socializzazione, ma a volte creava anche qualche
problema di convivenza, qualche lite o qualche rancore, anche se
senza gravi conseguenze. Questi locali erano anche luoghi di scherzi
a volte anche pesanti e vere e proprie fucine di aneddoti. Altri
tempi, altro mondo.
Frantoio
Diesel Laconi
Le vecchie presse a
vite
|