Antonio Parrotta, (Antonio da Caccuri)


   Antonio Parrotta, conosciuto con diversi soprannomi, nacque a Caccuri il 28 dicembre del 1912. Era un ometto minuto dal viso squadrato dal quale fuoriuscivano due occhietti vispi ed intelligenti che le ripetute, memorabili sbornie quotidiane non riuscirono mai ad appannare del tutto. Viveva da solo e non si era mai sposato. Aveva pochi parenti dei quali non parlava mai volentieri. 

   Antonio Parrotta ( Antonio da Caccuri)  (1912 - 1978)

Da giovane era stato frate in un convento e, pare, dovesse prendere  messa da lì a qualche tempo, ma il culto smodato per il dio Bacco lo indusse a svestire il saio. Tentò qualche mestiere, poi divenne pastore "accordato", come si diceva allora, cioè alle dipendenze di un allevatore, e, infine, finì per vivere di assistenza pubblica e della carità dei compaesani.  Anche nei momenti più difficili seppe, comunque, conservare e difendere la propria dignità arrivando perfino a rifiutare la carità quando si rendeva conto che si trattava di carità pelosa o troppo esibita.  E, tuttavia, era felice del suo stato.  Monaco mancato, ex studente liceale di buona cultura, uomo mite e semplice,  conservò sempre l'innocenza  ed il candore di un vero fraticello. Non volle mai essere chiamato col suo vero nome, ma, come se fosse stato un frate vero, si fece chiamare semplicemente Antonio da Caccuri e, se fosse riuscito un giorno a coronare l'improbabile sogno di diventare papa, come soleva ripetere spesso quando era completamente sbronzo, in un curioso idioma che rendeva al femminile aggettivi e sostantivi, si sarebbe chiamato  Giovanni: " Se saremo assunti  al pontificata ci chiameremo Giovanna, sennò patata.", ripeteva spesso. Tutti, però, lo conoscevano con un curioso soprannome che si era scelto da solo: "Muzzilla", cioè "Mano mozza", per via di una leggera menomazione che, a seguito di un infortunio, gli aveva semiparalizzato la mano. I giovani del paese, sebbene gliene combinassero di tutti i colori facendone spesso la vittima di scherzi anche pesanti, lo amavano profondamente e accorrevano al suo capezzale a vegliarlo e assisterlo ogni volta che si ammalava o che, nel corso di una delle tante sbornie, "misurava" qualche dirupo rompendosi l'osso del collo, come quella volta che precipitò nello "Sguiglio" al ponte della Parte fratturandosi entrambe le gambe, ma rimanendo miracolosamente vivo. Ed egli se ne rendeva conto  e ringraziava a suo modo, quando, con fare solenne, ripeteva ai giovani "Vi vogliamo molto bene al nostro cuore, straccioni!". Antonio aveva una sua fede politica che sbandierava orgogliosamente, nei fumi dell'alcol, nel suo solito, curioso idioma: "Voteremo PTUPISCHI!" ( il PSIUP di Vecchietti e Valori) ed una fede religiosa profonda e sicura. Spesso dettava improbabili disposizioni per il suo funerale: "Vogliamo essere traslati al camposanta da sei vergini vestite di bianco." Ma la massima più celebre per la quale merita di passare alla storia (a questa piccola storia dei filosofi minori caccuresi) è la famosa "La civiltà dei popoli si misura dalla quantità di sapone che consumano" che da sbronzo sintetizzava sbrigativamente: "La civiltà dei popoli al sapone!" Antonio si spense serenamente il 16 marzo del 1978 fra la costernazione dei giovani caccuresi che avevano perduto l'oggetto dei loro lazzi e scherzi, ma anche un carissimo, umilissimo amico.