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Fabrizio Chiodo
Cardiochirurgo

    Fabrizio Chiodo, più noto come Gigi, nacque a Caccuri il 1° agosto del 1951 da Alfonso, primo sindaco del paese dopo la Liberazione, e da Silvia Rotundo. Visse l'infanzia e parte della fanciullezza nel paese natale nutrendosi  di quella cultura popolare che tanta parte ebbe nella sua formazione umana e professionale. Dal padre, comunista, antifascista, dirigente politico e sindacale ereditò, probabilmente, la passione politica  e quei principi di giustizia sociale, solidarietà, internazionalismo che lo marchiarono per sempre.  Gigi, infatti, coerente con la sua visione del mondo, non nascose mai le proprie idee e per esse si batté sempre appassionatamente pagandone, anche, in alcune occasioni, prezzi altissimi.
    Laureatosi in medicina, sogno che coltivava sin da bambino, conseguì la specializzazione in cardiochirurgia per cui si recò, per un periodo di tempo, a Bordeaux ove ebbe modo anche di condurre alcune importanti ricerche e sperimentazioni. Tornato in Italia lavorò per qualche anno a Parma, prima di trasferirsi a Palermo dove fissò la propria residenza.
     Gigi Chiodo, oltre ad essere un valente medico ed un bravo cardiochirurgo, era un intellettuale, un uomo pieno di interessi e curiosità che lo spingevano ad una continua, rigorosa ricerca in diversi campi dello scibile. Egli, infatti, si interessava di botanica, di zoologia, di archeologia, di antropologia, oltre che della storia e delle tradizioni della sua gente.
      Il destino lo ha fermato, improvvisamente, il 26 dicembre del 2008.

 

   Addio a Gigi Chiodo

      Caro Gigi,
ci siamo ritrovati, questa mattina, in questa casa, in queste stanze che ci videro bambini intenti ad esplorare il mondo, a misurarci noi stessi, a confrontarci con gli altri attraverso il gioco. Se guardo negli angoli, in ogni cantuccio della  casa della tua infanzia mi balzano agli occhi  i tantissimi, bellissimi giocattoli che possedevi e  dei quali non eri affatto geloso, anzi godevi nel condividerli con i tuoi amichetti e, tra questi, anch’io.
   Spesso ti rivedo e mi rivedo in quell’aula della scuola elementare intenti ad ascoltare  le lezioni di quel  grande maestro che era Alberto Macri, il nostro amato “professore Albertino”.  Ripenso ai tanti compagni di scuola: Adolfo Barone, Franco Blaconà, Enzo De Candia, Gigi Chiodo; si, Gigi Chiodo, col quale ci si ritrovava insieme a Franco o ad Agostino Falbo, nel pomeriggio per scoprire insieme il mondo e i suoi misteri, per capire la vita. C’era già allora un qualcosa che ci legava profondamente e che, nel corso degli anni, anche se poi ci siamo incontrati solo poche volte, si è andato via, via rafforzando. Si trattava, evidentemente, di concezioni filosofiche, etiche, politiche, ancora in embrione, forse, a quell’età,  ancora solo in potenza, ma che ci hanno condotto, nei decenni successivi, a ripercorrere strade convergenti, a fare più o meno, le stesse scelte, a combattere le stesse battaglie, a formarci una visione etico – filosofica, politica  coincidente. Rimane il rimpianto di non avere avuto molte occasioni di incontraci, di scambiarci le nostre esperienze, di condividere spazi di vita e ciò lo avverto come un qualcosa che mi è mancato e mi mancherà molto, come una serie di occasioni mancate di  arricchimento, perché l’incontro con un intellettuale come Gigi non poteva non costituire occasione di arricchimento.
    Gigi Chiodo non era solo un grande medico; era anche un grande uomo di vasta e profonda cultura, una cultura costruita con lo studio, col duro lavoro, con una ricerca metodica ed appassionata in tutti i campi dello scibile, dalla filosofia alla politica, dalla botanica all’archeologia, con una voglia,  oserei dire, spasmodica di apprendere e sperimentare, con una curiosità e un attivismo che sono tipici di chi considera questa nostra vita come l’unica occasione che abbiamo per maturare esperienze, arricchire la  propria personalità, soddisfare i propri interessi speculativi, per dare un nostro contributo al progresso dell’Umanità e per cercare di alleviare le sofferenze dei nostri simili e concorrere a promuovere la felicità dell’uomo.
    Proprio per alleviare le sofferenze dei suoi simili Gigi aveva deciso di diventare medico, conseguendo brillantemente la laurea e la specializzazione in cardiochirurgia. Per alcuni anni si trasferì a Bordeaux per affinare le tecniche cardiochirurgiche e per avviare una serie di sperimentazioni, Ricordo con quanto orgoglio il compianto Alfonso mi parlava, quasi quotidianamente, del lavoro di Gigi, del suo amatissimo figliuolo,  in quella lontana città francese e delle aspirazioni del mio amico ed io, modestissimo cronista di periferia, mi sforzavo di far conoscere questo giovanissimo cardiochirurgo, orgoglio e vanto del nostro paese, all’interno della regione.
    Tornato dalla Francia, lavorò per qualche tempo a Parma prima di trasferirsi definitivamente a Palermo.  Da allora lo incontrai sempre meno frequentemente. L’ultima volta, qualche anno fa, quando mi mise al corrente di alcune sue decisioni pratiche che scaturivano da profondi convincimenti  etici dei quali prese atto con coerenza, così come faceva sempre nella vita. Gigi, infatti, sapeva, coerentemente, affermare e praticare i valori nei quali credeva, quei valori di giustizia sociale, solidarietà, onestà intellettuale, fino alle estreme conseguenze, pagando, a volte, anche prezzi altissimi. La stessa coerenza mostrò sempre nel rifiuto di qualsiasi religione, di qualsiasi elemento metafisico, agendo di conseguenza, secondo i principi del razionalismo e dell’Illuminismo.
     Questo era Gigi Chiodo: un uomo giusto, un uomo onesto, un uomo leale, un uomo umile nella sua grandezza, un altruista, un combattente dell’internazionalismo proletario, un persona, insomma, che amava gli altri, così come amava la vita  e i suoi piacerei, nei suoi molteplici aspetti.
      Caro Gigi, mi è difficile parlarti come se tu potessi veramente sentirmi; se solo pensassi questo entrerei in contraddizione con tutto ciò in cui tu hai creduto e ci hai insegnato, oltre che con me stesso che ritengo, come te, la  vita terrena come  unica esistenza, unico teatro dell’agire umano,  ma lo faccio come se ciò mi fosse davvero consentito e per dirti che se è vero, come abbiamo creduto insieme, che la morte sia la fine di tutto, sappi, però, che tu continuerai a vivere nel  ricordo della tua famiglia, dei tuoi colleghi, dei tuoi amici, di tutti coloro i quali hanno avuto la ventura di conoscerti. Sappi, caro Gigi, che la tua urna è urna dei forti. Da parte mia ti porterò sempre nel cuore, fin quando avrò ancora un barlume di vita.
               Addio Gigi,  Hasta la victoria siempre.
                                                                                          Peppino Marino

                                                     
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