Quindici anni fa moriva Alberto Macrì

                                                            
                                                                                       
                                                                                 
Alberto Macrì - 1 aprile 1929  - 29 giugno 1997

 

  Nel pomeriggio di una calda giornata del mese di giugno del 1997, mi giunse la triste notizia della scomparsa di Alberto Macrì, mio amatissimo maestro di quarta e di quinta elementare, amico e collega per tanti anni nella Scuola elementare di Caccuri. La notizia, improvvisa e inattesa, mi lasciò sconvolto, anche perché non lo sapevo ammalato. Quel giorno piansi in silenzio il maestro, il "padre", l’amico, il compagno di partito insieme al  quale avevo combattuto molte battaglie.

               
   Alberto nacque a Caccuri nel 1929 da Amedeo e da Angela Maria Pizzuti.  Conseguito il diploma di abilitazione magistrale, dopo una parentesi di insegnamento  nelle scuole di Isola Capo Rizzuto, ottenne la titolarità nel suo paese. Insegnò per qualche anno a un paio di generazioni di alunni tra le quali la mia, poi quando il professore Mario Sperlì vinse il concorso per Direttore didattico per cui lasciò la scuola di Caccuri, Alberto lo sostituì come segretario didattico, mansione allora affidata agli insegnanti  in grado di far funzionale un ufficio che venivano, ovviamente, esonerati dall’insegnamento. In questa veste Alberto Macrì, già eccellente maestro ferrato soprattutto nella didattica delle discipline umanistiche, si rivelò un vero è proprio portento. Egli era un bravissimo dattilografo, un archivista protocollista provetto e un uomo instancabile e innamorato del proprio lavoro. Spesso, anche di domenica o durante le altre festività, lo si poteva trovare nella direzione didattica semi nascosto da faldoni e cartelle o intento a battere freneticamente sui tasti della sua mitica Olivetti Lexikon 80.

 Allora non era facile portare avanti il lavoro che in mancanza di quelli che oggi vengono definiti collaboratori amministrativi, ricadeva tutto sulle spalle di “Sant’Abberto ‘e ru quatru ” come lo apostrofava ironicamente ( o anche quando era un pochino arrabbiato) il mitico direttore  Mario Sperlì che verso la fine degli anni ’60 divenne titolare del Circolo didattico di Caccuri e con il quale diede vita ad una coppia di masochisti dediti e votati a un lavoro durissimo  e alla quale fu aggregato d’ufficio, verso la metà degli anni ’70, anche chi scrive.  

                      

   Uno dei lavori più massacranti del povero Alberto, oltre a quello di battere a macchina interminabili documenti, spesso in 6- 7 copie inframmezzate da carta carbone che gli tingeva le dita di nero, era quello della compilazione dei famigerati modelli degli stipendi degli insegnanti che venivano predisposti verso la metà del mese. Lo stipendio era formato all’epoca da tre voci e bisognava anche calcolare l’indennità di presenza da ridurre in caso di assenze dal servizio e, nonostante oramai da decenni la lira valesse meno di un chicco di riso, un’ottusa burocrazia ti costringeva a  tenere conto anche dei centesimi. Ed erano proprio quegli stramaledetti centesimi che spesso non facevano quadrare i conti col risultato di dover rifare tutto dall’inizio perché si dovevano sommare prima una settantina di righe  (una per insegnante) con le tre voci dello stipendio e poi le tre colonne e i totali dovevano corrispondere al centesimo. Per fare gli stipendi Alberto aveva a disposizione solo una vecchia addizionatrice meccanica alla quale, ogni volta che si accingeva a fare quell'immane lavoro, cambiava il rotolo di carta che alla fine, quando tutto filava alla perfezione, srotolava  imprecando come i rotoloni di una famosa pubblicità televisiva che non finiscono mai per farci vedere quante centinaia e centinaia di operazioni aveva dovuto eseguire. A quel tempo non c'erano ancora le calcolatrici elettroniche, Excell e le altre diavolerie tecnologiche.  Verso la fine degli anni ’70, quando nella segreterie arrivarono torme di applicati, quelli che poi diventeranno i Direttori Generali dei Servizi Amministrativi, calcolatrici elettriche ed elettroniche, computer ed altri marchingegni,  il maestro Macrì tornò a fare il maestro fino al giorno in cui andò in pensione. Poi, come ho già detto, in un giorno di giugno, se ne andò in silenzio,  discretamente lasciandoci, un patrimonio inestimabile di insegnamenti, ma anche uno struggente ricordo che il tempo non riuscirà mai a cancellare. A me mancano tanto la sua mirabile arguzia, la sua bonomia, quel sorriso timido ed educato che ti entrava nell'animo. Chissà se nell'aldilà insegnerà ancora la storia, chissà se racconterà ancora infervorato di quell'improbabile "Perdio!" che Garibaldi avrebbe gridato rivolgendosi ad un demoralizzato Bixio,  con l'aggiunta di un "Qui si fa l'Italia o si muore!" quando il luogotenente del Generale gli consigliava la ritirata a Calatafimi? Caro Maestro, non te l'ho mai detto, ma  furono proprio quel tuo fervore e, soprattutto quel "Perdio!" che mi fecero amare per sempre la storia.

 

 

                                     

  

 

 

                        

 

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