Salvatore Gigliotti, il mago del legno

                  
                 

Da qualche giorno, nel castello di Caccuri, oltre alla mostra dedicata a Mimmo Rotella, è possibile ammirare un'altra mostra, quella di un umile, grande artigiano caccurese, Salvatore Gigliotti, meglio conosciuto come "l'artista del legno."
   Salvatore, uno degli ultimi grandi ebanisti caccuresi, è nato a Caccuri il 13 giugno del 1928 e nel paese di nascita è vissuto fino agli anni '60 quando anch'egli è emigrato a Torino per andare a lavorare nella Fiat, la grande azienda simbolo del boom degli anni '60, anche se il cuore è sempre rimasto a Caccuri.
   Giovanissimo era andato a bottega da mastro Peppino Pitaro, un grande maestro che insegnò il mestiere a tanti giovani caccuresi compreso il padre del webmaster di questo sito e, già da allora, Salvatore mise in luce il suo talento e la sua abilità che gli consentivano di lavorare il legno con la stessa facilità con la quale un grande scultore  lavora il marmo o un vasaio plasma l'argilla. Purtroppo il talento e la professionalità non erano sufficienti a consentirgli di vivere nel paese che lo aveva visto bambino per cui anch'egli è dovuto emigrare come altri grandi maestri caccuresi.
  Tra le opere esposte in copia nelle vetuste sale del castello di Barracco figurano lo stemma  di Caccuri, donato al comune negli anni '80 e  il cui originale è conservato nei locali del municipio, una gigantesca arpa trasformata in un appendi abiti, alcune cornici e il pezzo forte:   una riproduzione in scala della torre del Mastrigli utilizzata come mobile bar.



Qui di seguito riportiamo l'intervento di Salvatore Secreto per la  presentazione della mostra.  Nell'occasione era presente anche il sindaco Marianna Caligiuri.

                                     
                                                Salvatore Secreto e Adolfo Barone

   Trattandosi di mio zio, cercherò di non cadere nella partigianeria, di non inciampare nel conflitto d’interessi. E poiché non mi ha promesso nessuna percentuale sugli incassi, mi prendo la licenza di fare qualche riflessione.
Viviamo in un mondo di cartapesta dove le relazioni umane, i rapporti sociali sono dominati, fra le altre cose, dall’indecenza della fretta, dalla pornografia della velocità. Tutto muore senza ritegno per fare spazio al nuovo che piú nuovo non si può, ma il nuovo, per definizione, é destinato ad invecchiare.
Viviamo nella società dell’usare e gettare, avendo trasformato il pianeta intero, che più non sopporta l’impronta di questo bipede irresponsabile e sporcaccione, come discarica della nostra stupidità.
Stiamo alterando la natura, abbiamo creato un stato confusionale nel ritmo delle stagioni, i prodotti della madre terra maturano contro natura.
   Usare e gettare, é questa la modernità che favorisce l’accumulazione dei soliti noti e la fame dei dimenticati, mentre le risorse sono limitate ed il sistema é finito.
   Abbiamo organizzato la nostra esistenza condizionati da macchine ed artefatti che hanno creato una specie di anestesia delle capacità manuali. Si perdono nella notte, tra le luci accecanti delle metropoli, la troppa luce che impedisce una visione più umana, mestieri, saperi e conoscenze che davano dignità all’uomo. Adesso non si aggiusta più nulla, niente dura, adesso si programma la morte di un marchingegno perché uno nuovo, con più luccichio e di un altro colore, deve soddisfare la nostra vanità. Ma si può anche credere, senza peraltro tornare al neolitico, che la risposta é nel vento, come cantava Bob Dylan, e sta nel vento e nel vasto mare, nei fiumi limpidi come gli occhi di un bambino, sta nella memoria delle piante che ci raccontano il passaggio delle stagioni, sta nella loro instancabile fatica nel catturare i raggi del sole.
   Allora questo giovane artista di 83 anni, ci appare come uno degli ultimi samurai che resiste, con la sua sapienza, la sua pacata destrezza, il suo amore per i dettagli che sfuggono al nostro sguardo giacché siamo governati da un tempo nemico del piacere, resiste a questo allucinato viaggio verso il nulla. Questi vecchi combattenti armati soltanto con l’ingegno che rispettano ed amano la materia nobile con la quale lavorano, sono una specie in via d’estinzione ed é per questo che dobbiamo mimarli e rendere loro omaggio come io faccio con l’indimenticabile zu’ Peppino Pitaro, che fu uno dei maestri di mio zio. Sono loro i degni rappresentanti di quell’Italia del Rinascimento la cui eredità e tradizione i nuovi barbari, con la loro volgarità, ogni giorno calpestano senza vergogna.
   Forse la speranza ha le mani nobili e rudi di questi sapienti artigiani della bellezza, forse uomini come mio zio possono ancora spiegarci l’importanza dello sforzo, l’amore per le cose ben fatte, destinate ad essere godute anche dalle altre generazioni e che non muoiono nello spazio d’un mattino. Per cui credo che posso concludere, in nome di tutti noi dicendo, semplicemente, grazie.