Condanna e morte di Cicco Simonetta
Umanista, letterato e politico caccurese
di Giuseppe Marino

 

  Personaggi

   Narratore

 


Cicco, segretario e cancelliere del duca di Milano

 


Piero di Luigi Guicciardini, ambasciatore fiorentino


Un messo

 


Bona di Savoia, duchessa madre  


1^ Dama
2^ Dama

 


Giovanni Simonetta


Il capo delle guardie
1^ Guardia
2^ Guardia


Roberto Sanseverino


1^ Giudice
2^ Giudice
Il boia
Ettore De Gaeta
Cesare Protospataro
Podestà e maggiorenti
Comparse

Atto 1°
L'arresto

 

Scena 1^

Cortile della Cancelleria. Cicco e Piero Guicciardini, ambasciatore di Firenze, passeggiano discutendo, mentre il narratore racconta la vita del cancelliere ducale, dalla nascita al rientro del Moro a Milano.

  Narratore (Rivolto al pubblico)

“Messer Cecco, uomo per prudenza e per lunga pratica eccellentissimo”, come ebbe a dire Niccolò Machiavelli nelle Istorie fiorentine, nacque a Caccuri, minuscolo, ma nobile e degno borgo di Calabria nel 1410. Il padre era Antonio di Gentile Simonetta e la madre Margherita da Policastro. Cecco visse la sua infanzia a Caccuri  prima di trasferirsi a Rossano,  presso i padri basiliani ove studiò e si laureò in diritto canonico e imparò il latino, il greco e l’ebraico. Quando Francesco Sforza sposò la nobile Polissena Ruffo che aveva il dominio anche sulle terre di Caccuri, il figlio di Muzio Attendolo conobbe lo zio di Cecco, Angelo Simonetta, uomo eccellente e di grande ingegno.  Tutta la famiglia dei Simonetta, tra i quali lo stesso Angelo e  i nipoti Cecco, Giovanni e Andrea si trasferirono con il condottiero, prima ad Ancona, poi a Milano quando lo Sforza ne divenne duca. Il duca  nominò Cecco cavaliere “aurato” e lo mandò a Napoli ad imparare l’arte di organizzare lo stato. Qui il re lo nominò Presidente della Regia Camera Sommaria. Dopo la morte dell’amato zio Angelo, il duca lo nominò suo segretario e cancelliere e Cecco seppe ben servire il suo signore e far grande lo stato tenendo buoni rapporti con gli altri signori, favorendo le arti e i mestieri,  le industrie  e  riorganizzando la cancelleria ducale. Quando Francesco morì, il nuovo duca, Galeazzo Maria, lo confermò nella carica ed egli seppe ancor meglio servire il suo signore e lo stato e la sua fama crebbe ulteriormente. Poi il duca cadde trafitto da lame nemiche in Santo Stefano in Brolo e la duchessa madre Bona di Savoia volle divider col suo fidato Cecco le cure e gli affanni dello Stato poiché il duchino Gian Galeazzo aveva solo 8 anni. Ma i fratelli di Galeazzo Maria tramarono subito contro il Simonetta, contro la duchessa  e contro il partito di Gian Galeazzo per impadronirsi del ducato. Cecco seppe sventare, con mille arti, le tante congiure di Ludovico e dei suoi fratelli. Purtroppo, però, Bona cominciò ad ascoltare i cattivi consigli di tale Tassino, un cameriere che il popolo riteneva l’amante della duchessa.  Allora Cecco era molto preoccupato……. Gravi e terribile eventi si preparavano per lo stato.  (Esce)

 

Piero                

Ma allora, messer Cecco, è proprio vero che la duchessa è preda delle menzogne di  Tassino e delle sue macchinazioni? Pare che le abbia consigliato di perdonare i cognati e gli altri congiurati e di permettere loro di tornare dall’esilio. Se ciò fosse, con l’aiuto di qualche traditore e alimentando la menzogna e la corruzione, potrebbero volgere il popolo dalla loro parte e impadronirsi del potere. Ma voi non potete impedire che un disegno così perverso possa essere portato a compimento?

Cecco              

Mio caro Guicciardini, nessun consiglio, nessun saggio monito trova orecchie attente se la persona alla quale è rivolto ha la mente offuscata da una insana follia. La duchessa è donna debole ed insipiente ed è soggiogata da un drudo perverso che la spinge verso il baratro. Più volte ho tentato di farla ragionare, ma ella si mostra assai ritrosa a seguire i miei consigli. Anche a me sono giunte voci sulla sua propensione a perdonare i cognati e farli tornare a Milano. Temo che finirà per cedere. Si preparano tempi infausti, amico mio!

Piero               

 Ma allora, messer Cecco, se è così voi siete minacciato da un pericolo mortale. I vostri nemici vorranno vendicarsi di voi, non lasceranno certamente al potere il loro più accanito avversario. Vi destituiranno, vi toglieranno il potere vi……

Cecco             

 No, non è la mia sorte che mi preoccupa. Il pericolo che sovrasta la mia persona è ben poca cosa di fronte a quello che incombe sul duchino, su Milano, sull’Italia intera. La situazione è brutta, amico mio, molto, molto brutta!

Piero               

 Ma se il Moro si impadronirà di Milano, Firenze perderà il suo più fedele alleato, il papa e il re di Napoli avranno le mani libere e anche per il mio signore sarà la fine, anche Firenze perderà la sua libertà. E’ vero, messer Cecco, nuvole di tempesta si addensano nei cieli d’Italia! Ma ora vi saluto, devo tornare a Firenze dove mi ha richiamato il mio signore. Possa Iddio impedire che questi progetti scellerati vadano a buon fine. Addio, amico mio e lunga vita a voi.

Cecco             

 Addio,  messer Piero, che Iddio vi assista durante il viaggio. Vi prego di testimoniare tutta la mia stima e la mia gratitudine a messer   Lorenzo,  Magnifico signore di Firenze. Fate buon viaggio, addio!  

Esce . Rimasto solo  Cecco passeggia nervosamente, entra trafelato un messo.

 Messo          

Messer Cecco, messer Cecco, non abbiatene a male, illustre cancelliere, ma vi porto una cattiva notizia: madonna Bona ha perdonato messer Ludovico. Egli ieri, di nascosto, ha fatto ritorno in Milano.  Ora ha preso alloggio in un appartamento del castello e il popolo lo acclama duca.

Cicco              

 Ma che accidenti è preso a madonna Bona? Quel che temevo è accaduto! Ormai la duchessa è fuori di senno, quel maledetto Tassino l’ ha convinta  a fari rimpatriare gli Sforzeschi felloni. Tutto è perduto oramai! I disegni del re di Napoli e del papa stanno per giungere a compimento e un grave pericolo minaccia Milano.  La malvagità e la  perfidia di questi nostri nemici si sfogheranno contro di noi e contro lo Stato; possa Dio impedire che  quest’odio accechi i traditori di Milano!

Scena 2^

 

Mentre Cicco parla col messo, si sente un vociare e un suono di trombe. Poi voci più nette: “Madonna Bona, arriva madonna Bona!”

Entra il corteo; Bona di Savoia passeggia accompagnata da due dame, e alcune comparse. Incontra Cicco che si avvicina corrucciato.

  Cicco               

Lunga vita, madonna Bona. Che iddio possa sempre vegliare sulla sua augusta persona e sullo Stato.

Bona               

Buona giornata, eccellente ministro. Oggi vi vedo corrucciato, cos’è che angustia il mio fido e valente cancelliere?

Cicco               

Signora, una grave e terribile notizia mi è stata portata or, ora da un messo. Io non  vorrei crederla vera, se così fosse lo Stato correrebbe un grave e mortale pericolo.

Bona              

 Di che vi allarmate, Cecco? Cos’è che vi rende così incerto e smarrito? Nessun grave pericolo minaccia lo stato, statene certo.

Cicco              

 Voi consentiste a messer Ludovico di far ritorno a Milano. Credete, madonna, che l’uomo muti in modo così repentino i suoi costumi e rinunci ai suoi propositi? No, mia duchessa,  la vostra decisione sarà foriera di grave danno per lo  stato e per voi stessa.

Bona             

 

  Cecco,  il perdono dei miei cognati porterà pace e sicurezza ai  Milanesi e porrà fine alle gravi dispute tra le diverse fazioni. Ora forse ritroveremo, finalmente, un po’ di pace.

Cicco             

  Mia duchessa, davvero sperate  che ciò sia vero? Che da oggi lo Stato non corra più alcun pericolo? Credete davvero che i vostri congiunti che tanto hanno tramato contro di voi, contro il Duchino  e contro il popolo milanese abbiano messo da parte i loro propositi?  Credete che il papa e il re di Napoli rinunceranno ai loro progetti, alle loro mire su Firenze e poi si Milano? Credete davvero che consentiranno al Moro di lasciarvi libera di opporvi ai loro progetti? Così non sarà e voi ve ne accorgerete quando sarà oramai troppo tardi. No, mia signora, “voi prendeste un partito che toglierà a voi lo Stato e a me la testa.”

Bona             

  Vedo che oggi l’animo vostro è assai turbato  e ciò vi fa vedere pericoli e congiure ad ogni canto. Se io avessi negato il perdono ai miei cognati, essi oggi sarebbero ancora  a tramar contro lo Stato, contro di  me, contro  voi e l’odio avrebbe richiamato altro odio e la vendetta altra vendetta  e il Ducato non avrebbe mai avuto pace. Sono sicura che il perdono li renderà riconoscenti e fedeli e nulla avremo da temere in futuro.

Cicco               

Mia amata duchessa, non sarà così e voi avrete da pentirvene. La storia è ricca di esempi illuminanti. Ludovico è uomo avido; egli di una sola cosa ha sete: di potere; un potere che gli consenta di arricchirsi sempre più, un potere che lo metta al riparo delle leggi che lo liberi da qualsiasi lacciolo, che gli consenta di manipolare le coscienze, di piegare tutto e tutti ai suoi interessi. Per far ciò diffonde notizie false, fa credere che si possano eliminare i balzelli, far ricchi i poveri, far vivere tutti felici. In quest’orgia di potere non ci sarà posto per Cecco, ma non ci sarà posto nemmeno per la duchessa Bona. Ogni voce critica sarà costretta a tacere; solo  cortigiani sciocchi, incapaci e ciarlieri troveranno posto nel nuovo stato. No, duchessa, non ci sarà posto per noi alla corte del tiranno. Io perderò la testa e voi non conserverete il governo dello stato.

 

 Bona              

 No Cecco,  vi sbagliate . Oggi inizia per Milano un ‘epoca di pace, di  serenità e di nuovo splendore. Assieme a Ludovico riformeremo lo Stato, lo faremo più grande, più ricco, più prospero. Ludovico è una preziosa risorsa e, in collaborazione con lui faremo grandi Milano e l’Itala. E ora addio, mio fido cancelliere, vi aspetto domani per le cure dello Stato, buona giornata.

Cicco              

Mia Duchessa, volesse  il cielo che domani possa ancora occuparmi dello Stato, ma ne dubito fortemente. Il mio destino è oramai compiuto. Comunque buona giornata a voi e lunga vita.

Bona e il suo seguito escono, Rientra discretamente il narratore

Narratore

Madonna Bona continuò la sua passeggiata mentre messer Cecco pensava ancor a ciò che l’insana opera della sua signora avrebbe prodotto in danno dello stato e dei Milanesi. Mentre così turbato pensava a tutto questo, irruppero le guardie mandate dal Sanseverino e da Ludovico che lo arrestarono e lo ridussero in catene.

 

              (Esce) Entrano le guardie

 Il capo              

(Inchinandosi) Salute a voi, messer Cecco, vengo a invitarvi, così come decisero messer Ludovico e i suoi consiglieri, a seguirmi in un luogo sicuro poiché oggi sono scoppiati gravi tumulti e molte persone hanno inveito contro di voi.  La vostra persona corre un grave pericolo.

Cicco                

Ringraziate da parte mia messer Ludovico, ma credo di non aver bisogno della sua protezione. Niente ho da temere dal popolo milanese che ho sempre servito fedelmente, così come ho servito con umiltà e zelo il mio duca. Resterò ad aspettare il verdetto di un popolo che ho sempre amato e che mi ha sempre amato, serenamente, nella certezza che il giusto, il degno, l’uomo leale e fedele al suo popolo e al suo Signore nulla debba temere.

Il capo            

Messer Cecco, a questo punto  sono costretto a imporvi di seguirmi. Gli ordini di messer Ludovico non si discutono: messer Ludovico è il nuovo signore di Milano; a lui, solo a lui spetta decidere il bene e il male, cosa sia utile e cosa sia dannoso per le sorti del Ducato. (Rivolto alla guardie) Guardie, conducete,  con tutto il rispetto che gli si addice, messer Cecco nel castello di Pavia ove sarà trattenuto fino a nuovo ordine.

 

Cicco               

  (Mentre le guardie gli si scherano al fianco) Ahimè, fui facile profeta! Duchessa Bona, perché decretasti la fine di tutto? Perché decidesti di non ascoltare i consigli del più fedele dei tuoi servitori? Voglia il cielo che almeno tu e il Duchino possiate sfuggire la vendetta dei traditori! Ma una terribile tempesta incombe su Milano e l’Italia intera. Ecco che i tristi disegni del re di Napoli e del Papa stanno per realizzarsi. Non volgerà il secolo alla fine che il suolo italico conoscerà il tallone dell’oppressore straniero!

(Le guardi lo conducono via) (Rientra il narratore)

Narratore

E mentre Cicco viene condotto prigioniero nel castello, il capo delle guardie si precipita dal Moro a comunicargli l’arresto del cancelliere. La duchessa Bona, intanto, beata nel suo stato, ignora l’arresto del potente ministro e, accecata dalla insipienza, non riesce a prevedere la sciagura che sta per abbattersi anche sulla sua casa. Il messo li segue a distanza.

     (Esce)

Scena 3^

Dalla sinistra rientra in scena Bona di Savoia accompagnata da due dame di compagnia.  Entra trafelato il Messo.

 Messo               

Duchessa Bona, duchessa Bona, perdonatemi vengo a darvi una terribile notizia: messer Cecco, arrestato per ordine di messer Ludovico è tradotto in catene nel castello di Pavia. Il popolo esulta alla notizia istigato dal Moro e dal Sanseverino,  invoca il vostro arresto e acclama Ludovico nuovo duca di Milano.

Bona               

  (Sbiancando in viso) Cecco tradotto in catene? L’uomo che seppe dare a Milano pace, prosperità, benessere e sicurezza incarcerato come un volgare malfattore? E Ludovico fellone? E il popolo milanese in tumulto contro la sua signora? Come è possibile tutto questo? Come può, Ludovico, l’uomo al quale  perdonai tanti misfatti,  mostrarsi così ingrato e crudele, così perfido contro il figlioletto del proprio fratello, il sangue del suo sangue? Dio, fa  che ciò non sia vero, fa che il traditore si ravveda e il popolo rinsavisca. O giorno infausto per Milano e per i Milanesi; meglio sarebbe stato se quest’alba non fosse mai sorta!

Irrompe Roberto Sanseverino seguito dalle guardie e si rivolge a Bona.

Sanseverino  

  Salute a voi, madonna Bona, vengo a invitarvi, così come decisero messer Ludovico e i consiglieri, a seguirmi in un luogo sicuro poiché oggi scoppiarono gravi tumulti e il popolo inveisce contro di voi. La vostra persona non è al sicuro e vostro cognato intende adottare ogni misura opportuna per garantire la vostra incolumità.

Bona              

  Vi prego di ringraziare Ludovico per le sue premure, ma la duchessa di Milano non ha  bisogno della sua protezione. Giammai il popolo milanese oserà far del male alla sua signora, a colei che tanto lo ha amato e servito. I tumulti, se mai ci sono stati, cesseranno al mio apparire in pubblico e messer Cecco,  fedele e valente ministro, saprà riportare la pace e la serenità nel ducato. Vi ordino di impartire immediatamente le opportune disposizioni affinché egli sia liberato.

Sanseverino   

Madonna Bona, allora mi costringete  a imporvi di seguirmi. Forse non lo avete ancora capito; gli ordini di messer Ludovico non si discutono: messer Ludovico ha deciso così; a lui, solo a lui spetta decidere il bene e il male, cosa sia utile e cosa sia dannoso per le sorti del Ducato. Da questo istante consideratevi agli arresti e sperate nella clemenza di vostro cognato. Deponete il vostro stupido orgoglio e la vostra alterigia; le vostre prepotenze sono finite.

Bona                

Voi parlate di prepotenze? Voi che tradiste più volte il vostro signore, voi che tramaste contro il vostro benefattore e contro il ducato? Come vi permettete di usare un tono così arrogante contro la duchessa di Milano? Vi farò pentire amaramente della vostra insolenza.

Sanseverino 

  Le vostre minacce mi lasciano indifferente. Il popolo ha emesso il suo verdetto; messer Ludovico è il nuovo signore di Milano e voi finirete i vostri giorni in prigione.

Bona                 

Ludovico traditore è signore di Milano? Mio Dio, che ne sarà del Ducato? Che ne sarà del duchino, di me stessa? Dio, Dio, com’è possibile tutto ciò? Ma allora è la fine di tutto?  Maledetto Tassino, che consiglio perverso mi desti! Ahimé, sciagurata, che caddi in un così vile tranello! Ah, Cecco, Cecco, come fosti facile profeta! Perché non ascoltai i tuo consigli, perché, perché …… perché?……. Iddio maledica i traditori di Milano e maledica te, Sanseverino, il più odioso tra i traditori!

Sanseverino  

  La vostra lingua è ancora tagliente, il vostro veleno sempre pronto a colpire come faceste con Sforza Maria, ma oramai le vostre unghie sono spuntate. Avrete tempo in cella di meditare sulla vostra arroganza e sulla vostra insipienza.

Bona                 

Siete ancora la serpe di sempre, il traditore, la vipera malefica che da anni infesta il territorio del ducato: possa Dio maledirvi in eterno.

Le guardie prendono in consegna Bona e la portano via mentre il messo e le dame rimangono ammutoliti.

      Atto 2°  
Processo, condanna e morte

Scena 1

La scena rappresenta  un’aula di tribunale

 

Narratore

Nell’ottobre del 1480 inizia il processo contro il potente ministro caccurese. Davanti ai giudici Cecco si difende con coraggio e dignità dalle accuse e dalle calunnie che gli vengono riversate addosso dal Sanseverino e dai giudici istigati dal Moro. Il grande cancelliere che aveva tenuto in pugno il Ducato di Milano facendone uno stato moderno, l’unico vero stato italiano in grado di competere con il Regno di Napoli, avrebbe potuto salvare la vita accettando la proposta del Moro di rinunciare a tutti i suoi averi, a tutte le sue ricchezze accumulate in lunghi anni di duro lavoro e di fedele servizio alle dipendenze del suo Signore, ma egli rifiutò con sdegno  il ricatto del traditore e preferì affrontare serenamente il processo e la morte, con la forza dei grandi.

Entrano i giudici e il Sanseverino accompagnati dalle guardie e siedono su alcuni scranni.

 

1° Giudice       (Rivolto alle guardie) Guardie, conducete in nostra presenza il prigioniero!

 

Le guardie escono e rientrano poco dopo conducendo Cicco in catene.

 

2° Giudice     

  (Rivolto a Cicco) Messer Cecco, siete accusato di tradimento nei confronti del Ducato di Milano, di aver tramato per conquistare il potere perseguitando i figli del nostro defunto signore, l’eccellentissimo Francesco Sforza ed aver fatto avvelenare Sforza Maria, di esservi alleato con Firenze, con messer Lorenzo dei Medici  e con altri principi italiani in danno del Ducato, di nepotismo per aver collocato nei posti chiave dello Stato i vostri parenti e i vostri compaesani calabresi, di aver preso dimora illegalmente nel castello di proprietà del duca. Vi si accusa ancora di usura e sodomia e di altre scellerate nefandezze. Sono queste tutte accuse gravissime che, se provate, comporteranno la pena della decapitazione. Spero, nel vostro interesse, che riusciate a mostrare la vostra innocenza a questo tribunale che l’autorità e la clemenza dell’eccellentissimo duca messer Ludovico Sforza ha voluto istituire per giudicare il vostro comportamento.

Cicco                

  E’ impresa disperata, signor giudice, difendersi da accuse completamente inventate, mostrare ciò che è a tutti  evidente a gente che non vuol vedere l’evidenza. Mai mi resi colpevole di ciò che mi si accusa. Per anni e anni ho servito con fedeltà e con zelo il mio signore: l’eccellentissimo duca Francesco del quale godetti  munificenza e stima che ricambiai con l’essere il più devoto servitore Ho servito con altrettanta fedeltà il duca Galeazzo Maria poi e il duchino Gian Galeazzo. Mai atto alcuno mio o dei miei congiunti Angelo, Giovanni che seppe tramandare ai posteri la grandezza del nostro Signore, e  Andrea, l’altro mio fratello, fu contrario agli interessi del ducato e del popolo milanese. L’opera mia fu sempre improntata a far grande lo Stato, a preservarlo dalle ambizioni e dalle brame dei suoi nemici esterni ed interni, a garantirgli pace, prosperità, benessere. La grandezza del Duca e il mio umile lavoro di servitore fecero grande tra i grandi lo stato milanese, temuto e rispettato dai nemici, prospero e ricco per il benessere del popolo. E se per far ciò mi avvalsi dell’opera dei miei congiunti e dei miei amati conterranei, non fu per nepotismo, ma perché le loro capacità, le loro belle intelligenze erano utili ai disegni del mio Signore. La Calabria, signor giudice, come ebbi a scrivere a Sua Santità Paolo II, è la più fertile e la migliore provincia che ci sia nel reame e i Calabresi non sono cattivi come vengono ingiustamente reputati. Io, assieme ai miei collaboratori, mi reputo nel numero dei buoni e credo di averne fatto opera e professione. Se l’aver messo a disposizione dello Stato calabresi intelligenti, ricchi di ingegno, fedeli  e capaci che hanno contribuito a far grande lo stato milanese è un reato, ebbene, allora sono colpevole. Ma così non è: le colpe che, evidentemente mi si attribuiscono, sono ben altre; l’essere sempre stato fedele al mio signore, l’aver sventato trame e congiure contro di lui, l’essermi opposto con tenacia all’ingordigia e alle brame di potere di chi voleva tradire il mio signore e impadronirsi dello Stato in combutta con i nemici di sempre. Il loro odio nei miei confronti e il desiderio di vendetta li spinge perfino a riversami addosso l’odiosa accusa di sodomia. Questa è la cruda verità, signor giudice.

1° Giudice      

  Messer Cecco, vi ricordo che siete imputato di gravi reati; non vi è consentito infangare l’onore e la dignità del vostro signore, l’eccellentissimo duca Ludovico e dei suoi ministri. Moderate il vostro linguaggio o questo tribunale dovrà rinunciare alla clemenza.

Cicco                 

Signor giudice, mi è difficile difendermi dalle accuse se mi è impedito di dire la verità. La verità è uno strumento devastante, è un macigno che si abbatte sui miei accusatori; è un grido represso che prorompe dalla bocca e dai cuori dei Milanesi oppressi dalla tirannide, un grido che spaventa i nemici di Milano, il Re di Napoli, il Papa, i principi e i re stranieri da sempre nemici di Milano e che oggi vedono in chi governa Milano il cavallo di Troia per impadronirsi del Ducato e dell’Italia intera. E io vi dico voi non vedrete il volgere di questo secolo prima che il tallone straniero calpesti il vostro collo; a questo condurrà la politica sciagurata che avete intrapreso e che io combattei con tutte le mie forze.

Giudice           

  Imputato Simonetta, vi ricordo che vi trovata davanti al giudice, un giudice chiamato a giudicare i vostri misfatti e di questo solo dovete rispondere. Non v’è concesso contestare il potere dello Stato, di quello stato contro il quale tramaste. I giudizi politici non interessano a questa Corte. 

Cicco                 

Strano, molto strano, signor giudice. Strano perché questo è un processo politico. Un processo politico rovesciato, Qui non si processa il potere , un potere che si è instaurato con l’arbitrio e l’inganno; qui, questo potere illegale processa i difensori della legalità; è successo molte volte nel passato, succederà ancora nel futuro. Un potere frutto di violenza, prevaricazione, inganno, demagogia populistica distrugge ogni potere legale, ne ricostruisce uno simulacro ed utilizza la sua forza reale, la sua violenza contro chi si opponeva a questo disegno.  Questo tribunale, signor giudice, non ha autorevolezza, è un tribunale speciale.

Giudice            

  Non compete a voi, imputato di reati gravissimi, attestare o meno l’autorità di questo tribunale, soprattutto a voi che perseguitaste con accuse infamanti, servendovi di una magistratura al vostro servizio, chi oggi, per volere del popolo sovrano è duca di Milano. Voi sì faceste un uso politico della giustizia!

Cicco               
 
Signor giudice, questa è la favola di tutti i tiranni di ieri, di oggi e di domani. Questi individui hanno in spregio tutte le leggi, calpestano il diritto e, quando vengono perseguitati per i loro illeciti, usano tutti i mezzi per conquistare il potere, mettersi al di sopra delle leggi, cambiare il giudice e la legge, farsene una nuova a proprio uso e consumo, perseguitare, incarcerare, eliminare, spegnere ogni voce di dissenso, soprattutto di chi si opponeva ai suoi nefasti disegni.

Sanserverino  

Signor Giudice, questo reo malvagio continua ad offendere il Signore di Milano e chi lo serve devotamente. Non sono già questi gravi reati meritevoli di una condanna a morte? Io credo che il processo possa finire qui.

Cicco                 

Questa è la dimostrazione lampante che il mio è un processo politico. Non una sola prova è stata portata in questo tribunale a suffragare le accuse che mi sono state mosse se non quelle di essermi opposto al tiranno. Ma se questa è una colpa, se l’aver difeso la legalità è un reato, ebbene, si, sono colpevole. Colpevole di essermi opposto alla conquista fraudolenta dello Stato, alla sua spoliazione, al suo asservimento ai potentati stranieri, ad una politica estera fatta da servi sciocchi e compiacenti, ciarlatani incapaci, trasformisti interessati. Questi sono i miei cosiddetti reati: reati di lealtà e fedeltà allo Stato; il resto sono solo maldicenze frutto dell’invidia dei miei nemici.

Sanseverino  

  Ebbene, signori, l’imputato è reo confesso. Egli ha tramato contro il nostro Signore, contro messer Ludovico che il popolo ha voluto Duca di Milano  e che costui perseguitò a lungo con un accanimento feroce. Anche in questa sede ha offeso il nostro amato Duca, un uomo mandato dalla Provvidenza che si è accollato la responsabilità del governo dello Stato per il bene dei cittadini ed opporsi alla nefasta dittatura di costui.

Cicco                 

Questo è il colmo, signor giudice: il carnefice si fa vittima e la vittima la si vuol fare carnefice! Viviamo davvero tempi oscuri!

Sanserverino  

Giudice, a che serve oramai continuare il processo? Messer Cecco è reo confesso; vedete con quanta audacia e alterigia si rivolge a Codesta spettabile Corte? Non rinnega alcuno dei suoi atti scellerati! Egli perseguitò a lungo i figli di Francesco Sforza, li combatté, li processò, li esiliò al solo fine di impadronirsi del potere e di arricchirsi smodatamente. Cacciò dallo stato i milanesi sostituendoli con il suo parentato, i suoi conterranei che occuparono i posti migliori per brama di potere e di ricchezza. Fu lui, in combutta con la duchessa  Bona ad avvelenare Sforza Maria. E ancora oggi, nonostante ridotto in catene, continua a tramare con gli Estensi, con il Duca d’Austria e con i Guelfi contro il nostro amato signore Ludovico Sforza.  Non sono già sufficienti queste accuse per decretarne la condanna morte? Ma se ciò non bastasse, pensate all’enorme ricchezza che quest’uomo malvagio ha accumulato: 200.000 ducati, frutto dei sui intrighi delle sue ruberie, dell’usura che ha praticato senza alcun ritegno. Costui, signori, rappresenta un pericolo mortale per il nostro signore, per il Ducato, per la pace e la prosperità dei Milanesi. Quest’uomo deve essere mandato prestamente a morte.

Cicco               

  Roberto Sanseverino,  come sempre non ti smentisci! Sei la serpe, il fellone di sempre, colui che tradì ripetutamente la munificenza e la generosità del duca Francesco passando al nemico e marciando in armi contro Milano. E ancora una volta trami contro lo Stato. Fingendoti amico del duca, con i tuoi cattivi consigli lo spingi verso il baratro per poi passare -al nemico come facesti un tempo.  Fingi di servirlo, ma, in realtà, servi i suoi nemici che vogliono distruggerlo ed estendere il loro dominio a tutta l’Italia. Quando questo accadrà Milano sarà costretta a chiedere aiuto allo straniero e per l’Italia sarà la fine. Possano un giorno i milanesi rinsavire e liberarsi di un essere viscido e maligno come te!

1° Giudice       

  A questo punto è evidente l’inutilità di cercare altre prove ed altri riscontri. Messer Cecco, le vostre colpe sono più che evidenti. Voi stesso le ammettete con la vostra superbia e la vostra arroganza e ve ne vantate. Voi vi macchiaste di tradimento nei confronti del Ducato. Siete colpevole di aver perseguitato ed esiliato i figli di Francesco Sforza, di avere assassinato Sforza Maria, di esservi alleato con i Medici e con altri principi italiani contro la nostra patria, di aver estromesso dalle cariche pubbliche cittadini milanesi per favorire i vostri conterranei, di esservi arricchito illecitamente e di altri reati minori per i quali, tutti quanti minuti e  provati vi condanniamo alla pena di morte per decapitazione da eseguirsi domani mattina all’alba nel rivellino del castello di Pavia. Vi informo che, come condannato a morte, avete la possibilità di esprimere un vostro ultimo desiderio che questa Corte  avrà premura di esaudire.

Cicco                 

Signor Giudice, come ultimo desiderio chiedo che mi venga concesso un colloquio con mio fratello Giovanni, colui che ha saputo tramandare ai posteri le gesta del nostro eroico, compianto duca Francesco Sforza che Iddio lo abbia in gloria.

1° Giudice       

Il colloquio è concesso. Domattina all’alba, prima che il boia ponga fine alla vostra scellerata vita, vi sarà concesso incontrare vostro fratello secondo il desiderio da voi espresso.

Escono i giudici – Cicco è condotto in cella – La scena si svuota è rimane per un po’ deserta. Gioco di luci : è l’alba del giorno dopo.

Scena 2^

Rientrano le guardie con Cicco in catene: poco dopo arrivano altre guardie che conducono Giovanni anch’egli in catene.

 

Capo guardie    

Messer Cecco, la beneficenza di messer Ludovico, nostro grande duca, vi concede il colloquio con vostro fratello. Parlerete alla presenza delle guardie. Subito dopo riceverete i conforti religiosi,  prima che vi conducano al patibolo.

Giovanni           

(Si lancia verso Cicco con un gesto di affetto) Fratello amato, quale sorte malvagia si è abbattuta su di noi, su di te che fosti sempre leale e fedele al duca, al popolo, che facesti grande, temuto e rispettato lo Stato. Perché?, perché accanirsi contro di te? Può, mio caro Cicco, la brama di potere rendere gli uomini così crudeli, ciechi, ottusi, bramosi di vendetta? Quale immane sciagura sta per abbattersi si di noi, quale tremenda ingiustizia patirai e patiremo, com’è doloroso questo momento!

Cicco                 

Giovanni, non lasciarti abbattere. Era fatale che ciò accadesse, fa parte delle regole del gioco. Il tiranno non può lasciare in vita chi sempre si oppose alle sue insane mire. Oggi trionfa e, ebbro della vittoria, si libera del suo nemico, ma la sua cecità lo porterà ben presto alla rovina. Già i suoi alleati affilano le armi contro il Ducato di Milano che un tempo temevano. Vorranno eliminare questo ostacolo alle loro mire e Ludovico dovrà cercarsi nuovi alleati, pagare nuovi prezzi. In Italia oramai ha solo nemici e allora dovrà vendere Milano agli stranieri e il suolo italico sarà calpestato dagli stivali francesi. A me una sorte, tutto sommato benigna,  concede di non vedere la fine di tutto; muoio con questa consolazione almeno. Ma ho voluto chiamarti, adorato fratello, per affidarti un compito: l’ultimo incarico che affido nella mia vita è per te, Giovanni. Il Moro non oserà mandare a morte colui che celebrò le gesta dell’augusto suo genitore; non passerà molto e tornerai libero. Tu rivedrai il tuo feudo di Rocca di Neto, i nostri parenti,  la nostra amata Caccuri, i Caccuresi. Racconta loro la mia triste fine; dì loro che di nessuna colpa mi sono mai macchiato, se non di quella di avere amato troppo il mio signore, il mio Stato, il mio popolo, l’Italia tutta. Caccuri, amata patria, potrà vantarsi di avermi annoverato tra i suoi figli, che i Caccuresi non abbiano mai a vergognarsi di Cicco. E dico ancora che ella sarà illustre nei secoli e lodata dai suoi vicini. Quanto a te, Giovanni carissimo, avrai ancora grandi soddisfazioni: i tuoi rampolli saranno celebrati tra le nuove generazioni e rinverdiranno i fasti della nostra famiglia. Va’, fratello mio e che il cielo ti accompagni, la mia vita volge alla fine, addio!

Giovanni           

Cicco, fratello mio, farò quanto tu mi chiedi. Voglia il cielo che possa davvero farlo! Com’è doloroso questo distacco, com’è cattiva l’umana sorte! No, non è possibile che si mandi a morte un uomo giusto e pio come te, sorte crudele, duca infame, traditori maledetti! Possano un giorno pagare duramente l’orrenda colpa di cui si macchiano. (Abbraccia il fratello) Addio, fratello mio, luce e gloria di Milano e della nostra stirpe, addio, addio per sempre!

Le guardie conducono via Giovanni. Si affaccia il boia con la scure pronto alla decapitazione. Entrano cortigiani e soldati.

Scena 3^

Boia                     

Messer Cecco, la tua ora è giunta!

Cicco                   

Eccomi pronto ad affrontare la morte con dignità e limpida coscienza. Andiamo.

Tutti si avviano al luogo della decapitazione. Cicco, legato, precede il boia e il corteo. La scena rimane per qualche attimo vuota, mentre si ode una musica in sottofondo. Poi un rumore secco annuncia l’avvenuta esecuzione. Entra Roberto Sanseverino.

Sanseverino      

Giustizia è fatta! La testa che tanto male fece ai miei signori ed all’Italia tutta è stata finalmente staccata dal collo. Ora inizia un’era nuova, finalmente si respira!

 

Atto 3°  
Testamento spirituale

 

Scena 1

Caccuri 1482 – Via Misericordia – Casa De  Gaeta, ex casa Simonetta.: Ettore De Gaeta e Cesare Protospataro, insieme agli altri parenti, attendono l’arrivo di Giovanni Simonetta  

Cesare                          

(rivolto al cugino Giovanni De Gaeta) Allora, Ettore, ma davvero oggi arriverà lo zio Giovanni? Fra poco giungeranno i maggiorenti del paese per salutarlo ed apprendere da lui della triste fine dello zio Cicco.

 Ettore De Gaeta         

Non temere, Cesare, all’alba è giunto al galoppo  un messo inviatomi dallo zio attardato dalla rottura di una ruota della sua carrozza per dirmi che oggi il nostro congiunto sarà sicuramente qui. Anch’io, come te,  e come tutti i Caccuresi, desidero ardentemente il suo arrivo per apprendere della fine del nostro amato zio Cicco, un uomo che tanto bene ha fatto al suo signore, al Ducato e a tutti i Milanesi

Cesare                      

Si, Ettore, grande è il bene che Cicco ha fatto a tutti, anche a noi caccuresi, a noi calabresi, ma grandissimo è il servigio che ha reso al suo Duca, ai Milanesi, all’Italia intera eppure è stato mandato a morte quasi fosse un volgare malfattore e un criminale. Ma vedrai, i suoi nemici si pentiranno del male che gli hanno fatto, pagheranno duramente la loro cecità e rimpiangeranno Cicco Simonetta.

Ettore                    

Caro cugino, Cicco è morto, ma il suo spirito aleggia su Milano, sull’Italia e sulla sua Caccuri.  Sono d’accordo con te, i suoi nemici, coloro che lo hanno mandato a morte, rimpiangeranno la sua abilità, il suo equilibrio, la sua intelligenza politica che ne fecero uno degli uomini più illustri del secolo. Cieco fu il Moro e, i frutti della sua politica nefasta già si intravedono: Sanseverino ha tradito ed è passato al servizio di Venezia, i nemici che tramavano contro Firenze e che per questo vollero sbarazzarsi di lui sono stati sconfitti e Lorenzo, caro amico di Cicco è ancora signore di Firenze. Il Moro è sempre più solo, e deve difendersi dai tanti nemici che si è procurato. Il suo stato ha i giorni contati oramai!

Cesare                       

Certo è una fortuna che il nostro feudatario non risieda a Caccuri e non sia oggi presente. Sarebbe stato davvero imbarazzante per il nipote di Sisto IV, uno dei carnefici dello zio, assistere al ritorno di un Simonetta nella sua patria.

Ettore                          

Si, certo, imbarazzante per lui, ma non credo avrebbe fatto villania allo zio Giovanni che il Moro non ebbe il coraggio di condannare per la sua grandezza e le sue virtù, soprattutto ora che il papa e il Moro, per la loro politica sciagurata, si trovano in gravi difficoltà.

Cesare                       

  Questo è vero, comunque meglio così, meglio che Geronimo Riario non sia a Caccuri e che ci venga risparmiata l’odiosa presenza, nella nostra casa, in questo giorno di gioia, di un nemico dei Simonetta. Ma ora la mia impazienza cresce: è quasi mezzogiorno e lo zio non si vede.

Ettore                         

Cesare, ti prego di calmarti, oramai dovrebbe arrivare da un momento all’altro. Capisco la tua ansia, ma ti prego di pazientare.

Scena     2^

Dall’ esterno giunge un vociare  confuso. Dopo un po’ le voci sfanno distinte e si sente gridare

Voci                             

Viva Giovanni Simonetta,  viva il signore di Rocca di Neto e nostro concittadino! Viva Cicco, viva Caccuri!

Ettore e Cesare si precipitano verso la finestra. Entra un messo e annuncia l’arrivo di Giovanni.

Messo                       

  Signori, l’eccellentissimo signore Giovanni Simonetta chiede udienza alle Signorie vostre. Egli è giunto poco fa con il suo seguito e chiede di essere ricevuto.

Ettore                         

  Fatelo entrare senza alcun indugio nella sua casa. Lo aspettavamo con ansia.

Esce e rientra poco dopo precedendo Giovanni

Messo                        

  L’eccellentissimo signore Giovanni Simonetta

Ettore                         

Benvenuto, illustre zio, nella tua casa. Grande è la gioia e l’onore che ci fai tornando al tuo paese, fra la tua gente.

Si odono voci dall’esterno

Voci                             

Lunga vita a Giovanni Simonetta, cancelliere e signore di Rocca di Neto. Viva Giovanni, viva Cicco!

Giovanni                   

  (Abbracciando i nipoti) Lunga vita a voi, nipoti carissimi! La sorte mi è stata amica. Mi è stato concesso di rivedere voi, diletti parenti, e la casa di Antonio di Gentile che mi diede i natali. M’è caro questo luogo, questo palazzo, questa mia gente. La mia gioia è grande anche per l’accoglienza dei Caccuresi; il loro affetto mi riempie il cuore di orgoglio. Ed io sono qui per portarvi l’ultimo saluto di Cicco, il suo testamento spirituale. Son qui per riportare Cicco nella sua casa, fra le mura amiche, fra la sua gente.

Cesare                       

Raccontaci, zio, gli orrendi avvenimenti che tanto ci hanno tubato e di cui sei stato testimone. Siamo ansiosi di sapere  come Cicco affrontò la morte, quali furono i suoi ultimi pensieri, le sue ultime angosce, qual è il testamento che oggi ci affida.

Giovanni                    

Certo, nipoti cari, vi racconterò anche questo. Ma prima che arrivino i maggiorenti del paese voglio raccontarvi anche qualcos’altro, qualcosa che solo voi potete capire, qualcosa che dovrete pazientemente far capire ai Caccuresi, ai Calabresi: la vera ragione della morte di Cicco, del perché mio fratello fu odiato dai nemici già molto prima di inimicarsi il Moro, sin dai tempi del duca Francesco. Solo a voi voglio confidare tutto ciò perché solo voi potete capire, gli altri non capirebbero: gli sciocchi, gli stolti, gli individui servili non capirebbero e noi potremmo ancora soffrirne.  Il vero motivo, nipoti cari, che portò Cecco alla morte fu un grande sogno, chiamatelo pure utopia, un sogno che si realizzerà, forse, nei secoli futuri e che costerà lacrime e sangue.  Cicco, nipoti cari, dopo aver costruito il primo stato davvero moderno ed efficiente, voleva costruire l’Italia; una grande Italia, una nazione unita dalla Calabria alla Lombardia; uno stato forte come la Francia, come la Spagna. Per far ciò, per fare l’Italia, si dovevano fare prima gli Italiani: questa fu la grande intuizione di Cicco Simonetta. Per questo egli tentò di favorire l’integrazione tra Calabresi e Milanesi e questo suo disegno, questo tentativo di eliminare diffidenze, luoghi comuni, di far convivere due popoli per farne uno solo fu scambiato per nepotismo, per prevaricazione; il tentativo di superare le divisioni, di far lavorare insieme calabresi e milanesi fu visto come il tentativo dei calabresi di appropriarsi del ducato, di soggiogare i milanesi e sostituirsi a loro, da qui l’odio per mio fratello. Questo suo sottile disegno,  che se portato a compimento, avrebbe fatto di Milano la guida politica ed economica del nuovo stato, gli procurò l’inimicizia del papa e del re di Napoli e della stessa borghesia milanese che, stranamente, non lo capì e lo accusò a più riprese di aver favorito i calabresi e di aver affidato loro le più prestigiose cariche pubbliche.  Per questo Cicco fu osteggiato prima e poi mandato a morte.

Ettore                          

Ma se allora questo era il disegno dello zio i Milanesi furono ciechi? Se il progetto di Cicco un giorno si fosse realizzato si sarebbe unificata l’Italia e l’Italia sarebbe stata milanese, Milano ne sarebbe diventata la capitale.

Giovanni                    

Si, Ettore, per questo i Milanesi si mostrarono stolti. Non capirono ciò che capì benissimo il papa, ciò che capì il re di Napoli che in questo disegno grandioso e recondito di costruire l’Italia, Milano avrebbe avuto un ruolo di primo piano e fecero fallire proprio servendosi dello stesso duca di Milano. Morto Cicco il sogno svanisce. Forse qualcuno lo realizzerà ma ci vorranno secoli e Milano avrà comunque un ruolo marginale; non c’è Italia nel futuro della Penisola!

Cesare                     

Ma se allora questo era il disegno dello zio non era forse un sogno irrealizzabile,  un’utopia?

Giovanni                    

Si, forse lo era, così come utopia fu quella del figlio di un contadino che diventa duca e fonda uno stato moderno, ma di questa utopia saranno impregnati i secoli futuri. Non sarà facile costruire l’Italia, farne una grande nazione, creare gli Italiani, farne un solo popolo superando diffidenze, incomprensioni, pregiudizi, ma un giorno questo bellissimo sogno, il sogno di Cicco, sarà realtà.

Ettore                          

Si, passerà certamente tanto tempo e, forse anche quando l’Italia sarà unita ci sarà sempre chi si opporrà all’integrazione tra i popoli, chi tenterà di seminare l’odio, la diffidenza, di alimentare egoismi, di creare nuove barriere e nuovi pregiudizi.

Giovanni                    

Si, Ettore, è fatale, ma il cammino della storia non lo si può arrestare; la storia è un fiume in piena che travolge le cose come fuscelli. Un giorno l’Italia, ma anche l’Europa saranno unite.

Scena 3^

Entra un messo

Messo                         

Chiedo perdono alle Signorie vostre, ma podestà e i maggiorenti del paese chiedono udienza.

Ettore                          

Fateli entrare, li aspettavamo per riceverli con tutti gli onori.

Entrano

Podestà                     

Lunga vita all’eccellentissimo Giovanni Simonetta e ben tornato nella sua casa, tra la sua gente. Grande è l’onore per tutti noi, nell’ incontrare il valente storico nostro concittadino e fratello del grande Cicco.

Giovanni                   

Signor podestà, signori consiglieri, sono io a sentirmi onorato per l’accoglienza calda e il grande onore che i miei amati paesani e le Signorie Vostre mi hanno voluto tributare. Al mio arrivo alla Porta grande, ho ricevuto un’accoglienza trionfale e l’affetto dei Caccuresi. In quel momento il pensiero è andato a Cicco al quale una sorte avversa ha voluto togliere una gioia così grande. Ed io sono tornato a Caccuri per riportare Cicco nella sua casa, fra la sua gente, fra le mura amiche perché Caccuri e i Caccuresi mai dimentichino.

Podestà                   

  Eccellentissimo signore, messer Cicco rimarrà sempre nei nostri cuori e nella nostra mente. Ardiamo dal desiderio di conoscere la sua triste fine, l’atroce destino che lo ha strappato all’Italia, alla Calabria, a Caccuri.

Cesare                        

Si, zio, raccontaci come è morto, quali sono stati i suoi ultimi pensieri, le sue angosce, le sue speranze, il messaggio che ci affida

Podestà                    

  Si, Signore, raccontaci di lui, dicci qual è il testamento spirituale che il grande cancelliere ci ha lasciato.

Giovanni                  

  Amici, anche nella morte Cicco ha saputo essere grande. L’usurpatore, dopo averlo accusato delle peggiori nefandezze, voleva infliggergli l’ultima umiliazione e appropriarsi dei suoi beni. Gli promise salva la vita se avesse rinunciato a tutti i suoi beni. Ma avrebbe significato ammettere colpe di cui egli mai si macchiò, avere salva la vita in cambio dell’onore, riscattare una vita limpida e specchiata col vile danaro. Il Moro, tentò di rubargli l’onore e i beni, ma Cicco sdegnosamente rifiutò l’odioso ricatto e fece salvi onore e beni. E io oggi vengo a dirvi altro.  Vengo a dirvi che egli vi amava come amava la sua terra, questo orgoglioso popolo caccurese , la Calabria che egli difese dal Papa Paolo II°, ma anche da altri marrani. Caccuri il suo popolo,  la Calabria tutta siano fieri di Cicco, ora che il suo spirito aleggia sulla sua terra. Sappiate, Caccuresi, anche  nei secoli futuri, esser degni del più illustre dei vostri concittadini talchè la luce di quest’umile borgo sia sempre faro di civiltà alle altre genti: questo è quanto Cicco vi dice attraverso le mie parole.

Podestà                     

Si, mio Signore,  terremo ben a mente la lezione di Cicco, un uomo che ci ha insegnato la coerenza, la lealtà, lo spirito di sacrificio per ideali nobili e grandi; no, non lo dimenticheremo mai; Cicco Simonetta rimarrà sempre con noi.

Ettore                          

Si, così sarà! Cicco rimarrà nei cuori e nelle menti dei Caccuresi. Egli è l’essenza stessa di Caccuri; il suo operato, la sua grandezza, il suo testamento politico e spirituale sono  la vita del nostro paese. Caccuri e Cicco vivranno ancora insieme per secoli e quando la saggezza, l’acume, l’esempio di coerenza e di fedeltà ai principi che Cicco ci ha insegnato non ispireranno più i Caccuresi, Caccuri morrà e morrà per sempre.

Cesare                    

   Infelice quella generazione che dovesse vivere quei tempi quando la solitudine e la morte regneranno nelle strade di questo borgo: le case rimarranno chiuse, gli usci sbarrati, i rovi e le erbacce copriranno ogni cosa e la vita fuggirà da Caccuri.  Allora l’oblio coprirà ogni cosa e sarà la fine di tutto. Allora anche Cicco morirà e morirà per sempre insieme alla sua patria. Ma fino a quando una fiammella, anche tenue, della sua saggezza resisterà al soffio perverso di chi vuol spegnerla e brillerà nelle tenebre caccuresi, la speranza non morrà.!

 

                                                                    Fine