LE
RAGIONI DI GIOVE
di Peppino Marino
Mi trovavo
una volta in una cittadina dell’Europa del Nord della quale, per
i motivi che capirete più avanti, non posso fare il nome. Stavo
trascorrendo un lungo periodo di vacanza in questa amena località,
posto ideale per rilassarsi e ritemprarsi delle fatiche di tutto
l’anno e, ogni giorno, dopo il pranzo, amavo dedicarmi alla lettura
del giornale nel parco, seduto su di una comoda panchina all’ombra di
un gigantesco platano. Erano parecchi giorni che avevo preso questa
piacevole abitudine e, oramai, non vi avrei più
rinunciato per nulla al mondo, almeno fin quando le vacanze non
sarebbero finite. Ogni giorno, proprio di fronte a me, sedeva un vecchio
signore incanutito e dall’aria distinta. Era piuttosto corpulento,
aveva i capelli folti e lunghi e una barba lunga e curata, candida come
la neve, gli incorniciava il volto. Spesso i nostri sguardi si
incrociavano ed egli accennava un timido saluto che ricambiavo con
cortesia, poi entrambi ci addentravamo nella lettura, ma, di tanto in
tanto, i nostri sguardi tornavano ad incrociarsi.
C’era
in quel vecchio qualcosa di straordinario, di misterioso ma, nel
contempo, nobile che non riuscivo a decifrare. Più lo guardavo e più
mi sentivo attratto da quell’uomo strano. Prima di andare via lo
salutavo ed egli, con un cordiale sorriso, ricambiava il saluto. La
curiosità e il desiderio di saperne di più su questo mio occasionale
amico crescevano di giorno in giorno, ma non osavo chiedergli chi fosse,
né mi sembrava discreto chiedere ad altri notizie sul suo conto.
Un giorno, per una inspiegabile, fortuita circostanza, ci
ritrovammo entrambi a chiudere e ripiegare il giornale
contemporaneamente, ad alzarci dalla panchina e accennare, con perfetta
sincronia, il consueto saluto. La cosa ci divertì e strappò ad
entrambi un sorriso mentre ci avviavamo per la stessa strada. Ad un
certo punto il signore mi si avvicinò apostrofandomi in perfetto
italiano: “A quanto vedo lei è italiano, mi disse accennando a
“l’Unità” che stringevo tra le mani, conosco molto bene
l’Italia e gli Italiani.” “Si, gli
risposi, effettivamente sono italiano, ma anche lei non mi sembra del
luogo o sbaglio? Sa, la sua persona mi ha sempre
incuriosito, ma non ho mai osato chiederle chi
fosse e il perché di quell’aria austera e triste su un volto da
persona saggia e buona quale lei mi sembra”.
Il vecchio sorrise con amarezza poi rispose .“ Si,
effettivamente non sono del luogo. Sono greco e esule, ma so che di lei
mi posso fidare e voglio raccontarle la mia storia, la mia triste
storia. E’ da molto che sento il bisogno di sfogarmi con qualcuno,
confidargli la mia amarezza , le mie pene. Magari domani quando ci
ritroveremo al parco, se la cosa non la disturba, inizierò
il mio lungo, sofferto racconto”.
Colpito dal tono e dalla piacevole sorpresa , rimasi per
qualche attimo inebetito. Poi lo ringraziai per la fiducia che riponeva
in me e risposi che avrei ascoltato con piacere la sua storia e che il
giorno dopo mi sarei fatto trovare, puntuale come sempre, al parco. Ci
salutammo con trasporto e ci avviammo ai nostri alberghi.
Il mattino dopo mi svegliai molto presto in preda ad una
strana agitazione. L’ansia mi rendeva quasi febbricitante e mi
sorpresi più volte a consultare meccanicamente l’orologio le cui
lancette sembravano non volessero saperne di andare avanti
. Il tempo passava con una lentezza esasperante.
Giunsero finalmente le tredici. Consumai in fretta il pasto
e mi avviai al parco a grandi passi. Arrivai venti minuti prima
dell’orario consueto e mi misi a passeggiare nervosamente nei pressi
della solita panchina. Finalmente vidi spuntare da lontano la testa
canuta del misterioso vecchio che si avvicinava a passi lenti, ma
sicuri. Giunse nel luogo ove io l’attendevo ,
mi salutò cortesemente e mi fece cenno di sedermi con lui sulla stessa
panchina , cosa che io feci di buon grado poi, con voce solenne, mi
disse:” Il mio nome è Giove, si, proprio Giove, il padre degli dei,
avrà certamente sentito parlare molte volte di me.” Fu come
se fossi stato colpito dalla folgore ; tentai di parlare , ma la
voce non mi usciva .
Riuscii appena a balbettare:” Lei , il padre Giove , ma
co….?”. “Si
,lo so , le sembrerà strano , ma sono ormai molti secoli che vago esule
per il mondo insieme ai miei figli ed ai miei fedeli collaboratori dal
giorno in cui fui spodestato, cacciato dall’Olimpo e costretto a
nascondermi nei luoghi più sperduti. Ovviamente confido nella sua
discrezione e spero non vorrà tradirmi, ma
sentivo l’estremo bisogno di raccontare a qualcuno la vera storia
della mia vita, l’origine delle mie disgrazie
e ristabilire un po’ di verità nella storia delle religioni. Lei lo
sa, vero , la storia le scrivono sempre i
vincitori e, purtroppo , la scrivono come a loro conviene ecco perché non
posso più tacere”. Lo rassicurai della mia discrezione giurando che
mai e poi mai lo avrei tradito, anche perché, lo confesso, la mia
innata vigliaccheria mi faceva temere per qualche folgore vagante che il
vecchio Giove avrebbe potuto ancora scagliare, come ai vecchi tempi e
che avrebbe potuto incenerirmi nel caso non avessi mantenuto fede alla
parola data. ”Naturalmente , continuò, lei
dovrà far conoscere al mondo la storia che sto per raccontarle,
altrimenti queste nostre conversazioni non avrebbe senso , solo che dovrà
aver cura di omettere ogni particolare che possa farmi individuare dai
miei nemici che hanno occhi e
orecchie dappertutto . Le stesse precauzioni dovrà adottare anche per
ciò che riguarda i miei colleghi e i miei collaboratori che, come me,
sono a rischio.”
Ribadii
la mia intenzione di rispettare la promessa e lo rassicurai sul fatto
che avrei fatto conoscere al mondo la storia ed egli, rinfrancato,
riprese: “Vede, amico mio, il mio unico torto è stato quello di avere
sempre amato tanto, troppo, forse, la democrazia. La mia modestia e la
libertà che ho concesso agli uomini , il non aver mai fatto promesse
assurde di paradisi, premi eterni eccetera, tutto ciò mi è stato
fatale. Da sempre gli uomini temono e apprezzano i dittatori, i
demagoghi, i populisti, ma sono pronti a disprezzare i giusti, i
democratici, quelli che non promettono miracoli, quelli che non cercano
il potere a tutti i costi, ne sapete qualcosa voi in Italia.
Dai tempi remoti (come lei sa noi siamo immortali) con i miei
colleghi, Buddha e Manitù ci eravamo divisi il mondo. A me era toccata
l’Europa, l’Africa settentrionale e l’Asia minore, agli altri due
rispettivamente l’Asia e l’America del Nord. Ma noi tre eravamo
magnanimi, ci accontentavamo; lungi da noi l’idea di prenderci tutto
e, infatti, ampie zone dell’Africa, dell’Europa del Nord, della
stessa Asia, l’America del sud le avevamo lasciate a colleghi meno
noti e meno fortunati di noi. Allora si viveva e
si regnava in perfetta concordia: mai una guerra di religione; ognuno
adorava liberamente il suo dio e il libero culto era consentito anche,
come dire?, nelle nostre zone di influenza e il fanatismo religioso,
l’integralismo erano banditi. Poi tutto è precipitato, tutto è
finito. A Buddha gli è andata anche bene, ma per me e per Manitù è
stata la fine. Io sono stato costretto all’esilio, a nascondermi come
un volgare malfattore e il povero Manitù è costretto a vivere in
incognito in una riserva indiana travestito da venditore di hot dog, che
pena!
Io avevo organizzato il mio regno molto bene: aveva una sua
sede immersa nel verde dell’Olimpo, un Gabinetto competente,
funzionale e compatto con una efficiente burocrazia. La mia era una vera
monarchia costituzionale. Mi fa ridere il signor Montesquieu con la sua
idea della suddivisione dei poteri: io c’ero arrivato decine di secoli
prima, altro che stato moderno!……… Beh, insomma, un po’ di
potere lo accentravo anch’io, ma sa, in fondo molti dei erano miei
figli, insomma c’era la necessità a volte di frenarne l’esuberanza.
Lei dirà: “Ma allora anche nel suo regno allignava la mala pianta del
nepotismo?” Si, lo ammetto, ma era un nepotismo blando, qualche
piccolo privilegio ma niente di più; all’epoca non c’erano i conti
in banca ed i paradisi fiscali o le società off shore. Si, insomma
l’auto di servizio (allora era il cocchio alato), qualche stupida
ripicca con il conseguente "Lei non sa chi sono io!", qualche
piccola licenza sentimentale sull’esempio del padre (modestamente con
le donne ho avuto sempre successo), insomma peccatucci veniali frutto più
del narcisismo che della smania di arricchirsi o dello smodato desiderio
del potere.
Ai miei tempi avevo creato decine e decine di ministeri
(forse un po’ troppi per la verità) e ogni mio ministro riceveva
deleghe molto ampie. La burocrazia ministeriale era abbastanza
efficiente e gli affari procedevano bene. Certo, anche allora nelle
scelte politico – religiose, ogni tanto c’era qualche contrasto,
qualche conflitto tra i vari ministri, ma erano problemi facilmente
risolvibili. Anche noi, per fare un esempio, abbiamo avuto qualche
problema per una maledetta mela, ma, insomma …., ha provocato una
guerra che è durata dieci anni, qualche lutto,
la distruzione di una città, la morte di qualche guerrafondaio esaltato
come Achille, come Patròclo, come lo stesso Ettore, io stesso ci ho
rimesso qualche figlio come il povero Sarpedonte, ma poi, insomma…..,
è finita lì, i danni tutto sommato, sono risultati limitati,
circoscritti, mica come la mela del mio successore che ha inguaiato
tutto il genere umano e, ancora oggi, gente che nemmeno conosce quella
maledetta vicenda ne subisce le conseguenze.”
Le
argomentazioni del vecchio Giove, per quanto di parte, mi sembravano
abbastanza sagge e, più andava avanti, più lo ascoltavo con interesse.
“Vede, continuò, con Minerva alla sapienza, mai che ci sia stata una
disfunzione, una riforma contestata, un ciellino qualsiasi che si sia
permesso di criticare un provvedimento. E le poste? Accidenti se
funzionavano le poste quando se ne occupava Mercurio!…… La posta
prioritaria! Mi fanno ridere queste trovate moderne! E dire che allora
non avevamo neppure il fax o la mail box! E poi le guerre! Erano guerre
più folkloristiche che cruente; le battaglie erano più spettacoli che
combattimenti veri e propri; per ammazzarci si
impiegavano a volte molte ore, ci si ammazzava
con una lentezza esasperante. Le guerre più sanguinose al massimo
provocavano un centinaio di morti. E questo perché Marte ha sempre
bandito le armi chimiche, le mine anti uomo, i proiettili all’uranio e
le altre armi micidiali che si adoperano adesso. Insomma tutto
funzionava alla perfezione, ogni settore dell’amministrazione era
organizzato benissimo e anche i sottosegretari si davano da fare. Ecco,
se una critica forse si poteva fare alla mia monarchia era quella del
numero spropositato di sottosegretari: le Muse, Ebe, Maia, le Parche, le
Ninfe, i Dioscuri, insomma un po’ troppi, lo riconosco, ma, sa,
l’amministrazione di un regno com’era il mio era un bel po’
complessa e poi a me piaceva delegare ogni cosa, così mi restava tempo
a disposizione per qualche scappatella”, ridacchiò il vecchio Giove.
“E, invece, guardi adesso: una monarchia assoluta da far impallidire
l’”Ancienne regime”; tutto nelle mani sue e del figlio! Si, è
vero, ci sono anche adesso molti sottosegretari, ma non contano quasi
nulla. Alcuni tra i più capaci, come Giuseppe e Gennaro li hanno fatti
fuori, declassati, emarginati, altri li hanno promossi, ma non hanno
alcuna delega.”
Mentre il padre degli dei parlava osservavo l’amarezza che
stravolgeva quel volto sereno e disteso che
avevo conosciuto nei giorni precedenti. Il rimpianto, non tanto della
perdita del potere, quanto per la fine di un
mondo felice che non esisteva più, doveva essere veramente forte.
“E la giustizia? Vogliamo parlare della giustizia?, riprese il
padre degli dei. Adesso si parla tanto di lentezza della giustizia, di
lunghezza dei processi. Ai miei tempi la certezza della pena era un
problema risolto da sempre, i dibattimenti penali rapidi, le condanne
eque e immediatamente eseguite. Le potrei citare centinaia e centinaia
di esempi: Tantalo, Sisifo, Prometeo….. decine e decine di rei puniti
adeguatamente e rapidamente. Vede, amico mio, ai
miei tempi i ladri, per esempio, venivano puniti severamente: pensi un
po’ a Prometeo, altro che Tangentopoli!”
“Ecco, cercai di obiettare, padre Giove, una delle critiche che
le viene mossa spesso è proprio l’eccessiva severità mostrata in
alcune circostanze. Per esempio, con Prometeo non le sembra di avere
calcato un po’ la mano? In fondo la sua era un’azione a fin di bene;
gli uomini avevano assoluto bisogno del fuoco. Non crede che tra il
furto del fuoco e quello della mela nell’Eden non ci sia poi tanta
differenza dal punto di vista etico? Eppure lei, poco fa, è stato
eccessivamente polemico nei confronti del suo successore per il fatto
della mela.”
“No, amico mio, se ci riflette bene si renderà conto che
tra i due episodi ci sono differenze notevoli. Nel caso di Prometeo si
trattò di un classico caso di spionaggio industriale. Non del desiderio
di conoscenza, della voglia di apprendere nuove cose, di scoprire,
ricercare, ma del furto di una invenzione già bella e confezionata.
Certo, gli uomini avevano bisogno del fuoco ed
io glielo avrei dato, ci mancherebbe. Ma l’invenzione era coperta da
brevetto e i diritti, come lei ben sa, si pagano. Se si deroga da questo
principio è il caos economico finanziario, quale società investirebbe
più nella ricerca scientifica? Comunque io mi limitai a punire
l’autore del furto evitando di punire anche i suoi discendenti o gli
uomini che poi utilizzarono il fuoco. L’altro
no, l’altro per una mela (che poi era solo la voglia di conoscenza)
non solo è stato molto severo con quei due poveri ragazzi nell’Eden,
ma ha punito e continua a punire anche adesso i suoi discendenti e tutto
il genere umano, una cosa inaudita! Insomma è come se, fra tremila
anni, continuassimo a punire i discendenti dei politici di tangentopoli
(che, fra l’altro, come lei ben sa, non hanno mai fatto un giorno di
carcere) e tutti i militanti dei partiti che ne discenderanno per le
colpe dei loro antenati. E poi lei può immaginare come sarebbe stato
l’uomo senza quella mela, senza, cioè, la conoscenza, la scienza, lo
stimolo a scoprire, inventare, ricercare sempre nuove soluzioni,
innovazioni. Insomma non sarebbe stato un uomo, ma un fantoccio, un
pupazzo, una marionetta, un burattino senza fili, ma sempre un
burattino. Che senso avrebbe avuto allora creare un pupazzo capace solo
di obbedire, senza un briciolo di autonomia, di orgoglio, di amor
proprio, di volontà, di voglia di formarsi una personalità autonoma? E
questo legittimo desiderio, questo anelito di libertà è stato sempre
bollato, chissà perché, come superbia, come se un figlio che decidesse
di vivere autonomamente la propria vita senza seguire le orme e i
desideri del padre, nuotando in un mare aperto, fosse solo per questo un
uomo superbo.. Ma poi, quello che non capisco è che non so come
facciano gli uomini a tollerare il
proibizionismo, questa cappa opprimente e che,
pure, molti accettano di buon grado. Prendiamo la sfera sessuale: è mai
possibile che una cosa bella e salutare come il sesso debba essere
considerato un peccato mortale solo perché qualche pastore ebreo un
po’ misogino ha deciso così? E’ giusto, è serio, è accettabile il
voler criminalizzare a tutti i costi chi fa sesso? E’ logico che si
pretenda di decidere quando, con chi, in che modo uno possa far sesso,
entrare, addirittura, nei dettagli tecnici, insomma intromettersi così
pesantemente nella vita privata di ogni uomo? Delle due l’una: o ci
troviamo in presenza di un regime autenticamente totalitario che vuole
perfino mettere il naso nelle alcove o le prescrizioni in materia di
sesso, il proibizionismo, il peccato, i sensi di colpa sono invenzioni
di una burocrazia ottusa e invidiosa e Dio non c’entra niente in tutto
questo. Il sesso, dia retta a me che l’ho molto praticato (per Bacco
se l’ho praticato) è una attività bella e
salutare e, recentemente, lo ha confermato anche un uomo assai
autorevole.
“Comunque, continuò Giove, ci sarebbe da discutere per mesi e
mesi ma ora voglio anche parlarle dei soprusi che io e gli altri dei
abbiamo dovuto subire, delle espropriazioni, delle umiliazioni che ci
sono state inferte. Quanti nostri progetti, quante nostre realizzazioni,
quante feste, quanti templi, quanti luoghi di culto ci sono stati
espropriati e sono stati fatti passare per idee, progetti, realizzazioni
degli altri. Prendiamo ad esempio la discesa all’ inferno per
resuscitare i morti sbandierata come chissà quale impresa: ebbene,
Orfeo aveva fatto la stessa cosa molto tempo prima senza tanto rumore. E
pensare che non era nemmeno un dio! Vogliamo parlare di feste? Ebbene,
parliamone pure! Prendiamo il Carnevale: cos’ è il Carnevale? Una
imitazione in fotocopia dei Saturnali, le celebri feste in onore di
Saturno. Ma si poteva continuare a lasciare celebrare una festa in onore
di mio padre? No, è chiaro che gli usurpatori non lo avrebbero permesso
e allora che ti fanno? Gli cambiano il nome e il mese da dicembre a
marzo; sempre tre giorni di festa, stessi riti, stesso significato,
identiche motivazioni, nome e periodo diverso, e,
in più, l’agganciano alla Quaresima e alla Pasqua. E le feste di
Maia? Altra appropriazione indebita: ora sono diventate un’ altra
festa, non so bene come le chiamano “mese……….mese……..boh?”
Mentre parlava si fermò per indicarmi una donna alta e robusta
che passava proprio in quel momento per il viale centrale del parco
spingendo una carrozzina con un bambino dentro. “Vede quella donna lì?
Si, quella che spinge la carrozzina? Ecco quella è Giunone. Povera
donna costretta a trovarsi un lavoro da baby sitter! E
quella ragazza lì, seduta su quella panchina, si proprio quella in
minigonna con la camicetta bleu, si, ecco, quella: è Venere. Adesso
lavora in un beauty-center. Vulcano invece lavora in un’ azienda
metalmeccanica in un paesino vicino, mentre Nettuno si è imbarcato come
marittimo su una nave da crociera. Insomma, ognuno di loro, per fortuna,
ha trovato un lavoro dignitoso e anch’ io me la cavo abbastanza bene
dando lezioni private di greco agli studenti liceali. Il solo Bacco,
ormai alcolizzato, è diventato un clochard. Dorme sui marciapiedi della
stazione e vive di elemosine. Che pena, povero dio! Ma torniamo al
discorso precedente.”
“Già, feci io, mi diceva di luoghi di culto
espropriati.” “Certo, amico mio, molti il conosce anche lei. Il
Pantheon, lei sa cos’ era, vero? Un tempio dedicato a ai nostri dei e
poi cos’è diventato?: la chiesa di Santa Maria ai Martiri. E il
tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna? Che c’è ora a Capo Colonna, a
due passi dai ruderi del tempio? Ma come, io pagano ho la rivelazione
che un luogo è sacro, mi lo rivela una mia dea, ci costruisco un tempio
e poi vieni tu e mi dici: “No, qui la tua dea non c’entra, tu sei un
pagano ignorante, è la mia divinità che tutela questi luoghi!:”
E
in centinaia e centinaia di altri posti? Vede, io non nego agli altri il
diritto di costruirsi i loro templi, i loro luoghi di culto, ci
mancherebbe, ma perché proprio sui nostri e distruggendo i nostri?
Perché si è voluto a tutti i costi cancellare ogni traccia della
nostra presenza, ogni retaggio del nostro culto? Perché se non per
spirito di sopraffazione, per presunzione, per integralismo, per
affermare la propria superiorità sugli altri: “Noi siamo la verità,
noi siamo nel giusto, gli altri sono solo dei volgari
impostori dei quali bisogna fare sparire ogni traccia”. Questo modo di
ragionare è all’origine di ogni guerra di religione; sono questi e
non altri i motivi scatenanti delle guerre di religione: il voler
a tutti i costi negare le ragioni dell’altro, irridere al suo credo,
mentre non si dubita nemmeno un attimo della propria fede. Ciò
porta al fanatismo e all’estremismo religioso. Ma io dico: ti
vuoi costruire il tuo bel tempio, la tua bella cattedrale, la tua bella
moschea? Benissimo! Cercati un luogo libero, un luogo dove non ci sono
altri retaggi, altre testimonianze religiose e costruiscilo lì il tuo
luogo di preghiera, così non disturbi nessuno e nessuno disturba te.
Perché devi andare a piazzarti dove c’è già qualcuno? Ecco, queste
sono le cose che non capisco.”
Mentre mi esponeva queste sue considerazioni, lo sguardo di
Giove si volse verso un cespuglio di
ibiscus dietro il quale si intravedeva un giovane paffutello e biondo
con i i riccioli che gli cadevano sulla fronte. “Vede quel giovane, mi
disse additandolo discretamente, quello è Cupido. Se ne sta tutto il
giorno ad oziare ai giardini pubblici annoiandosi a morte: guai a
scagliare una freccia!, ne andrebbe di mezzo la libertà e la sicurezza
di tutti noi. Capisce perché oggi la gente non si innamora più?”
Guardai a lungo Cupido, poi volsi lo sguardo su Venere, stupenda nella
sua minigonna mozzafiato e poi, più in là, lo sguardo cadde su Giunone
che cullava il bambino nella carrozzina. Una
sensazione di angoscia e di impotenza mi assalì repentinamente: provavo
improvvisamente una struggente nostalgia per quel mondo che avevo
imparato a conoscere attraverso le pagine di Omero e che ora, per uno
strano scherzo del destino, mi si era improvvisamente materializzato,
parato innanzi, anche se attraverso il racconto patetico di quello che
una volta era stato il padre degli dei, l’Altitonante Giove e che ora
era solo un povero vecchio costretto a nascondersi, bistrattato e
vilipeso. Un groppo mi stringeva la gola.
Meditavo sulle sagge parole del padre degli dei e le sentivo sempre più
vere, sempre più foriere di libertà, di tolleranza, di civile e
pacifica convivenza. All’improvviso mi ritrovai inginocchiato dinnanzi
al vecchio. Gli presi le mani, gliele baciai rigandole di calde lacrime.
“Grazie, padre Giove, mi ritrovai a dirgli, lei mi ha aperto gli
occhi, mi ha dato una grandissima lezione di vita. E’ vero, anche la
storia delle religioni è stata scritta dai vincitori e per i vincitori,
si sa, le ragioni dei vinti non esistono. Ma noi sappiamo benissimo che
l’amore, la pace, la stima, la tolleranza, la reciproca comprensione
sono inconciliabili con il fanatismo, l’integralismo, la certezza di
avere in tasca la verità e la luce. Grazie per la fiducia che ha avuto
in me e per aver voluto confidarsi con un comune mortale come me.” A
questo punto Giove si alzò, mi costrinse ad alzarmi a mia volta e mi
disse: “Grazie a lei, amico mio, ecco, da secoli sentivo il bisogno di
sfogarmi con qualcuno e credo di aver avuto la fortuna di incappare
nella persona giusta. Faccia conoscere al mondo questa storia, non perché
io voglia tornare sul trono degli dei, so benissimo che ciò non accadrà
mai, ma per ristabilire un po’ di verità. Io, intanto, per quel che
può valere, voglio impartirle la mia benedizione.” Dette queste
parole mi abbracciò a lungo, poi si staccò da me e, lentamente, si
avviò verso l’albergo.
Il giorno dopo tornai come sempre al parco, ma del vecchio
Giove non v’era più alcuna traccia. Così ancora per altri cinque
giorni. Poi, finite le vacanze, tornai in Italia portando negli occhi e
nel cuore l’immagine del padre degli dei. E ora, a distanza di qualche
mese, mi sono deciso a mantenere l’impegno assunto pubblicando la
storia del mio incontro con il grande vecchio.
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