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A focera
Don Ciccio De Franco
L’esperto
vecchio veniva invocato a gran voce, come un sacerdote acheo, a celebrare
il consueto rito: la preparazione della “pira.” Nessuno come l'anziano
perito agrario sapeva accatastare con maestria l’enorme “percia”(4) di
legna che occupava il sagrato, circondato dai suoi accoliti pronti a eseguire i
suoi ordini secchi e ad assecondare i suoi gesti sacerdotali. Egli, dapprima con
quattro grossi ceppi sui quali adagiava delle traverse più lunghe preparava il
fornello, il cuore della fociara, poi, piano, piano, sistemava il resto della
legna a cerchi concentrici sempre più ampi alla base e sempre più stretti al
vertice. Alla fine della giornata la fociara si ergeva maestosa nel centro del
sagrato, pronta per essere accesa. Non rimaneva altro che riempire il fornello
di frasche secche e “pampuglie” (5) e aspettare le 8 di sera, quando era
prevista l’accensione. Allora cominciava la trepidante attesa dei monelli che
avrebbero voluto dar fuoco alla catasta già alle cinque del pomeriggio. Però,
nonostante l’impazienza fosse tanta, nessuno
osava, compiere l’atteso gesto per la paura e la soggezione che il vecchio don
Ciccio incuteva e tutti aspettavano il suo arrivo.
Alle
sette, finalmente, il vecchio arrivava insieme a zu ‘Ntone e a un gruppo di
ciucciari, ma non era ancora il momento. I fedeli cominciavano ad affollare la
chiesa, mentre il prete, preso dalle sue faccende, si faceva, come sempre,
attendere. Quando mancava un quarto
alle otto, arrivavano zu Vincenzo con le ciaramelle, zu Salvatore con il piffero
e zu Francesco con le zampogne. Qualche attimo dopo le dolci note di una
pastorale, seguite da quelle di “Tu scendi dalle stelle”, spandevano l’armonia
e la gioia per via Chiesa e salita Catello,
via Buonasera, fino alla Destra. Ora era giunto il fatidico momento. Don
Ciccio inzuppava uno straccio nel secchio di petrolio che aveva nascosto nell’”orticello”
ai piedi del campanile, lo infilava nel fornello della fociara e, con uno
zolfanello, dava fuoco, mentre dalle bocche dei monelli, che fino a qualche
attimo prima disegnavano una curiosa “o”, usciva un “ohhhh!” di stupore
e di gioia. Pochi attimi e migliaia di gioiose “faille” (6) si libravano in
cielo, mentre gli scoppiettii della legna rallegravano l’ambiente e un tepore
dapprima gradevole, si trasformava in calore infernale e costringeva gli
entusiasti monelli ad allontanarsi di qualche passo. Poco più in là, seduti
sui sedili del sagrato, don Ciccio e gli altri vecchi, antichi patriarchi, si
godevano lo spettacolo come valorosi guerrieri a riposo, aspirando voluttuose
boccate dalle pipe di creta, lanciando nell’aria nuvole di fumo che si
mischiavano a quello della fociara. Intanto era già iniziata la messa di
Natale. Poco prima della mezzanotte nasceva il bambinello e zu Vincenzo,
intonando con la sua ciaramella “Tu scendi dalle stelle”, partiva dalla
porta della chiesa e attraversava, camminando sulle ginocchia, l’intero tempio
per andare a baciare il pargoletto che il prete, commosso, mostrava ai fedeli.
Poi il sacerdote faceva tre volte il giro della chiesa passando tra i fedeli che
baciavano con devozione il Figlio di Dio.
La
fociara oramai ardeva a tutto spiano e le lingue di fuoco, dapprima altissime,
ora cominciavano a scemare. La mezzanotte era passata da un pezzo e, attorno a
quel “frajerinu” (76) cominciavano a celebrarsi i riti pagani delle patate e
delle salsicce arrostite, arrivavano i soliti fiaschi di vino mentre qualcuno si
divertiva a gettarvi di nascosto qualche castagna che esplodeva fragorosa come
un petardo. E mentre si banchettava, qualche teppistello riusciva perfino ad
infilare di nascosto una brace nella tasca del pastrano di uno dei tanti vecchi
che circondavano la fociara. Attimi di panico, maledizioni all’ignoto
mascalzone, imprecazioni, poi tutto finiva annacquato in un buon bicchiere, fino
alle quattro del mattino quando il sonno e il vino avevano la meglio e il
sagrato, lentamente si spopolava.
All’alba,
un grande mucchio di cenere e alcune braci fumanti, erano tutto quanto rimaneva
del grande falò. Zia Giulia schiudeva l’uscio, con la paletta riempiva il
braciere con quella grazia di Dio e, per quel giorno almeno, il riscaldamento
del suo povero tugurio era assicurato.
1)
Proprietari
di asini, vaticali, uomini che si dedicavano al commercio della legna
2)
ciocco,
parte bassa dell’albero
3)
radice
dell’albero
4)
catasta
di legna
5)
foglie
secche usate come esca per il fuoco
6)
faville
7) insieme di braci ancora vive, ardenti